LAVAGNE DELLA
STRENNA
(a cura di Paola Tarino)
dal
26/12/2000 questa pagina è stata visitata volte
"Momo alla conquista del tempo" di Enzo d'Alò, Italia, 2001
"Aida degli alberi" di Guido Manuli, Italia, 2001
ALLA RICERCA DEL
TEMPO RUBATO
"Ogni secondo può essere
bello, tutto dipende da come lo vivi"
Dopo il successo del film La gabbianella e il
gatto, l'ultima fatica di Enzo d'Alò consiste anche stavolta nel misurarsi con un
testo sacro della letteratura infantile: Momo (1972) di
Michael Ende, noto per aver scritto il romanzo La storia infinita, già tradotto
sul grande schermo per opera del regista Wolfang Petersen (1984). In entrambe le storie
toccava ad un ragazzino salvare il destino del mondo, minacciato in un caso dal Nulla,
distruttore del regno di Fantàsia, nell'altro dalla presenza di tenebrosi Uomini Grigi,
dediti a rubare il tempo, per capitalizzarlo, rinchiudendolo in una banca, sotto forma di
"sigaro" da fumare in faccia ai poveri malcapitati, irretiti dall'idea che più
si risparmia tempo, pur perdendo in umanità, più si guadagna ("Il tempo è
denaro" direbbe zio Paperone con i suoi sardonici occhi dalle pupille a forma di
dollaro).
«Cerco di andare avanti per metafore, evitando riferimenti precisi. In questo caso
m'interessava, più che stigmatizzare il consumismo e il merchandising, parlare del
pericolo dell'omologazione, di quando cioè tutti i bambini del mondo iniziano a giocare
con gli stessi giocattoli. È importante, invece, che ognuno resti se stesso, altrimenti
si finisce come i ragazzini del film, quando dicono a Momo: "Sai, andiamo a scuola,
ci insegnano a giocare". [...] Ho sempre lavorato nel mondo dei bambini -
dice d'Alò -, di loro mi affascina la capacità visionaria di risolvere i problemi e
sono convinto che saprebbero trovare soluzioni anche a quelli terribili di oggi, magari
trasformando la guerra in una metafora» (Fulvia Caprara, Momo «questa bambina
ci salverà», La Stampa, Torino 18 dicembre 2001).
Sceneggiato da d'Alò, accompagnato come di consueto
da Umberto Marino, il film si avvale della collaborazione di Walter Cavazzuti, creatore
dei personaggi, e di artisti famosi nel mondo dello spettacolo: la rockstar Gianna Nannini
firma le musiche e canta le canzoni; Giancarlo Giannini, Sergio Rubini e Diego Abatantuono
danno rispettivamente voce al Presidente dei Signori Grigi, al suo vice e a Mastro Hora,
il saggio amministratore del tempo.
Allo scorrere della prima sequenza, fattosi ormai buio in sala, si ha come l'impressione
di continuare ad assistere alla proiezione dei precedenti film di d'Alò: l'elementare
segno morbido che contraddistingue e delimita i disegni, il movimento impresso ai
personaggi, gli sfondi, i colori, i tagli delle inquadrature sanno di déjà vu e
risultano pertanto riconoscibili e inconfondibili, poiché portano l'imprinting
del loro autore (noto per aver girato i film La freccia azzurra e La
gabbianella e il gatto), che in quest'occasione ha preferito associarsi a Cecchi
Gori, voltando la schiena alla bottega artigiana che gli ha insegnato il mestiere, quella
Lanterna Magica, sempre officina di meraviglie, come dimostra il loro ultimo prodotto, Aida degli alberi.
La sostanza del film è scandita dal tempo, quello
biologico, rappresentato da una teoria di orologi pronti a diventare molli come piaceva a
Dalì, forse per ricordare i meccanismi che regolano la vita e al contempo dare senso allo
scorrere delle giornate, impegnate in fasi di lavoro, intervalli, momenti di ristoro,
riposo, occasioni di "otium" di stampo ciceroniano, per assegnare dignità
all'esistenza e al contempo ricordare che le ore cadenzate dal battito del cuore hanno un
ritmo non misurabile dai consueti apparecchi addetti a registrare il trascorrere delle
durate.
Appare una piazza, che ricorda quelle italiane immortalate da De Chirico, con la consueta
fontana al centro. La scena è occupata dalla presenza di un personaggio dedito al lavoro:
uno spazzino, che segue il proprio ritmo, orchestrato dall'andirivieni della scopa sul
selciato, senza accennare a frenesie o a desideri di svolgere la sua attività di corsa.
Il mondo che gravita intorno a questo piazza, prima dell'arrivo delle berline nere guidate
dagli uomini grigi, evoca anche atmosfere già viste in alcuni film francesi: i negozietti
prospicenti, caratterizzati dal trantran dei negozianti o dal lavorio del barbiere, fanno
tornare alla memoria ambientazioni care a Truffaut o a Rohmer. All'improvviso, sotto un
cielo plumbeo pronto ad aprirsi ad un temporale, compare Momo: una fanciulla dalla
vaporosa capigliatura nera, dai grandi occhi azzurri (dal taglio simile a quello che
caratterizza i personaggi dei fumetti giapponesi: i manga), avvolta in un cappottone a
quadri di due/tre taglie superiore alla sua corporatura. Si direbbe sgorgare dal nulla,
come una creatura aliena, alla ricerca di casa, affetti e amici con cui giocare.
La sua presenza non può passare inosservata: un vigile la sottopone ad un interrogatorio,
tempestandola di domande inquisitorie; un gruppo di bambini, abituato a radunarsi nei
pressi delle rovine di un anfiteatro, sulle quali campeggia la statua di una divinità o
di un sapiente greco-romano ridotta soltanto ad un primo piano del volto, le chiede
dapprima incuriosito se sia scappata da casa o da un orfanotrofio, per poi includerla
immediatamente nelle loro imprese oniriche, capaci persino di sfidare un mare in tempesta
per portare in salvo la loro nuova amica, di cui hanno intuito il cuore grande, la
dolcezza e la generosità sconfinata. Sarà però lei a salvare la ciurma dall'uragano
mostruoso, cantando una nenia in grado di rabbonirlo.
Tutti si apprestano a darsi da fare per procurare a Momo una dimora confortevole in
quell'agorà, mentre la bambina ripaga i loro sforzi, intrecciando con le lucciole una
danza notturna, al suono della canzoncina cantata dalla Nannini, volando in cielo in un
tripudio di luci, come accadeva anche a Bastian in La storia infinita.
Fa da contraltare a questo microcosmo sereno, l'irrompere irruento degli squadroni grigi,
il cui fumo tossico emesso dal sigarone che aspirano, viene anticipato dai gas di scarico
delle loro automobili nere. Programmati in serie, vengono addestrati presso la loro Banca
del Tempo, che ricorda per l'ambientazione scenografie espressioniste (Metropolis
di Fritz Lang è il riferimento più diretto) e l'assemblea annuale dei quadri Fiat per i
modi di gestire le adunate da parte del Presidente. Essi si apprestano ad uscire dalle
autorimesse per scippare il tempo "agli uomini di buona volontà" con ritmi che
sembrano scanditi da un metronomo. Le loro berline invadono la città e occupano la
piazza, per dar modo agli uomini grigi di esercitare i loro subdoli malefici, ipnotizzando
gli abitanti e convertendoli alla loro fede, che considera il tempo solo come un capitale
da investire. "Tutto occupa tempo, tutto consuma tempo. L'amore è l'attività
più costosa in termini di tempo. Considerando il tempo che ha già usato e sprecato, se
ne ricava che lei è già morto! Ha già speso tutto. Per cui deve risparmiare tempo e lo
può fare solo depositandolo e investendolo presso la nostra banca", dirà
l'agente in grigio al povero barbiere credulone, che, da quel momento in poi, sarà
destinato ad ammalarsi di stress per affaticamento da lavoro, negandosi ogni pausa e
distrazione, mettendo soprattutto fine a suoi affetti, incapace di ascoltare i battiti di
un cuore ormai omologato.
Solo Momo appare inossidabile alla prospettiva di
guadagnare tempo, vissuto come investimento, e alla seduzione esercitata dalla subdola
comparsa di giocattoli prodotti in serie: non a caso pubblicizzati dalla televisione per
invadere l'immaginario collettivo infantile. Compare una bambola parlante che assomiglia a
Barbie e un bambolotto che si chiama Bobo Boy, capaci di ripetere un unico ritornello
fondato sul consumismo e sulla smania di accumulare sempre più merce per completare le
collezioni. La piccola non si farà naturalmente irretire da siffatti adescamenti,
annoiata dall'idea di non poter giocare con simili pupazzi dal cuore di pietra. La sua
reazione inaudita sarà in grado di smascherare l'agente della banca, cooptato per
convertirla a quell'allettante messinscena massmediatica, mandando in aria il sigaro che
farà svaporare la sua essenza, fatta di nulla, per inchiodarlo ad un'amara evidenza:
"Chi ti vuole bene? Nessuno mi vuole bene. Sono condannato a rubare il
tempo agli uomini. Devo farlo per tener in vita il mio sigaro".
Scoperto il piano dei ladri del tempo, a Momo non resta che tentare di salvare il resto
della città da quella terribile minaccia, inseguita dagli Uomini Grigi che hanno ricevuto
dal loro Presidente l'ordine di rapirla a tutti i costi.
A giocare il ruolo di aiutante magica della giovane
Momo non poteva che essere una tartaruga, Cassiopea, l'emblema della lentezza e dei
movimenti dilatati anche a causa dello strano guscio che deve trasportare, contraltare
dell'altra tartaruga centenaria, Morla, che nel film La storia infinita
assomigliava a Robert Mitchum. Il guscio magico di Cassiopea, oltre ad indicare la strada
che conduce all'universo di Mastro Hora, illuminandosi come la costellazione che porta il
suo nome, ha la virtù di "conservare il futuro prima che le cose accadano",
a dispetto di coloro che pretendono di rubare il tempo prima che questo venga vissuto e
quindi consumato.
In fuga attraverso scale che sembrano prese in prestito dai quadri di Escher, volando all'interno
di una bolla di sapone come il Piccolo Principe, Momo riesce a raggiungere il labirinto
vegetale che ospita l'orologio del mondo e della vita, custodito dal saggio Mastro Hora,
che la stava attendendo per spiegarle come mai la sua presenza fosse vissuta come un
pericolo: "Tu sei una minaccia perché conosci l'importanza dell'amicizia: quando
sei vicino agli altri, gli altri pensano con il cuore e non con la testa".
Mastro Hora conduce Momo a visitare il regno del tempo e a scoprire la bellezza che può
scaturire dal baluginare di un attimo: un fiore compare e sboccia in un tripudio fragrante
di forme e colori, per poi scomparire all'istante, ma la poesia consiste nel capire che
"ogni secondo può essere bello, perché tutto dipende da come lo vivi [ndr
come ci insegnava Ovidio con il suo Carpe Diem]. La musica del mondo si sente
con il cuore. Dovrai aspettare che le parole mettano radici, come i semi che attendono di
germogliare. Ogni uomo deve essere libero di fare quello che vuole del suo tempo, io
controllo solo che ognuno abbia il suo e nel frattempo curo il giardino del tempo. Non
posso addormentarmi, perchè il tempo si fermerebbe".
Insieme escogiteranno uno stratagemma per fermare l'avanzata degli Uomini Grigi. Mastro
Hora si addormenterà per un'ora soltanto, immobilizzando e pietrificando uomini e cose:
il tempo necessario a Momo per distruggere il deposito di sigari, fatti di petali
essiccati di ora pura; nel frattempo i Grigi "tabacronometrati" avranno modo di
consumare il tempo contenuto nell'ultimo avana aspirato, costretti pure ad ingaggiare una
lotta all'ultimo sigaro per evitare di dissolversi. Di loro resteranno soltanto le
bombette da impiegati della City, volteggianti in aria, in un fermo di fotogramma che vuol
essere un eplicito omaggio alla memoria di Magritte.
Il tempo liberato (non dal lavoro, purtroppo) invade lo schermo sotto forma di vento mescolato ad un vorticare di foglie, intanto la canzoncina della sigla finale avverte lo spettatore che il tempo della visione sta per volgere al termine. Mentre raggiungo l'uscita, spero di non imbattermi nella maschera della sala in versione grigia, pronta a reclamare un ulteriore pagamento del prezzo del biglietto, perchè il tempo consumato deve essere assolutamente investito, altrimenti si è in debito con il proprio capitale di risorse temporali. Così finisce che mi metto pure a scrivere, condannandomi ad un girone infernale di "debiti formativi".
La strenna continua con