Direzione didattica di Pavone Canavese

[educazione interculturale] [home page]

 

La rubrica quindicinale
n. 5 del 3.11.1998

OSPITI O CITTADINI?

 

In questo numero della rubrica, a partire da due recenti avvenimenti (presentazione del rapporto Caritas sull’immigrazione e costituzione della Consulta sull’immigrazione), ci interroghiamo sul concetto di cittadinanza e sul diritto di voto degli stranieri sottolineando come l’educazione interculturale non possa restare chiusa nel solo recinto della scuola ma implichi un processo di trasformazione dell’intera società.

1. Rapporto sull’immigrazione in Italia (Caritas diocesana Roma)

A fine ottobre è stato presentato il Rapporto sull’immigrazione in Italia curato dalla Caritas diocesana di Roma. Un rapporto che negli anni si è imposto come uno tra i più accurati e precisi.

I dati offerti dal rapporto sono molti e fra questi vale qui la pena di sottolinearne alcuni:

tornasu.gif (876 byte)

2. La Consulta sull’immigrazione

Sempre a fine ottobre (il 27) il Ministro della Solidarietà Sociale, Livia Turco, ha presentato la Consulta per l’immigrazione prevista dall’ art. 44  della legge 40 sull’immigrazione. Si tratta di uno strumento importante, sia in ordine all’applicazione della legge stessa che in vista del più ampio dibattito sui diritti di cittadinanza e di voto (almeno alle amministrative) degli stranieri presenti in Italia da alcuni anni.

tornasu.gif (876 byte)

3. Verso un nuovo modo di concepire la cittadinanza

Storicamente il diritto di cittadinanza è stato regolato seguendo due principi:

La legge in Italia ha poi lentamente, e con moltissime difficoltà ampliato, il diritto di cittadinanza riconoscendo la possibilità di diventare cittadini

Nella sostanza nessuno di questi principi si applica alla stragrande maggioranza degli stranieri immigrati in Italia. Del resto non è neppure detto che uno straniero voglia diventare cittadino italiano. Tuttavia il problema è più complesso.

In particolare il fatto di non essere cittadini non permette di partecipare (né in modo passivo né in modo attivo) alle elezioni. Il fatto merita un riflessione più accurata.

A ben riflettere il non poter partecipare alla definizione della politica del paese dove si vive e lavora costituisce una sostanziale negazione della parità di diritti/doveri e, nello specifico, contraddice anche l’ art. 2 della legge 40 che al comma 3. scrive: "Lo straniero regolarmente soggiornante partecipa alla vita pubblica locale". È infatti del tutto evidente che partecipare alla vita pubblica nel pieno senso della parola non può che implicare anche il diritto di voto.

Infatti, a ben riflettere, è assurdo che un cittadino lavoratore straniero paghi le tasse ma non partecipi in alcun modo alla definizione delle modalità con cui le risorse comuni vengono utilizzate a favore di tutta la società. Certo, lo straniero usufruisce di servizi forniti dalla società ma, in assenza di una sua partecipazione attiva, tali servizi appaiono più una concessione che il riconoscimento di un diritto.

Come è noto il tentativo di legiferare entro la legge 40/98 sul diritto di voto alle elezioni amministrative e sul nuovo concetto di cittadinanza è fallito. Ora il Ministro Livia Turco promette un impegno su questi due fronti: per un verso adeguando la legislazione italiana alla nuova proposta della Germania che oltre al diritto di sangue ha deciso di riconoscere anche il diritto di suolo e per l’altro legiferando sul diritto di voto alle elezioni amministrative da parte di cittadini stranieri residenti in Italia da alcuni anni.

Sarebbe un passo importante nell’ottica dell’integrazione politica.

tornasu.gif (876 byte)

4. Scuola e cittadinanza: interculturali solo a scuola?

La riflessione sulla cittadinanza reale si fa ancora più pregante se si parte dall’educazione.

Infatti la scuola con il suo processo di trasformazione implica e richiede una acculturazione democratica e politica che tuttavia non si estende automaticamente alla totalità della socializzazione degli immigrati (e forse anche dei cittadini italiani...). Da qui la contraddizione tra il riconoscimento del diritto all’educazione/istruzione che al suo interno contiene ed esplicita una concezione di cittadinanza democratica che non sempre trova poi luoghi di praticabilità nel resto della vita sociale e politica del paese ma che al contrario rischia di mettere in campo una cittadinanza monca (ovvero una non-cittadinanza) con tutte le ovvie conseguenze derivanti da una "promessa non mantenuta".

L’interculturalità non può essere progetto riferito solo all’ambito educativo. Infatti. Come scrive Jurgen Habermas, "Solo i diritti politici di partecipazione fondano per davvero la posizione giuridica riflessiva del cittadino, cioè quella posizione che è capace di avere effetti retroattivi su se stessa. I diritti negativi di libertà e i diritti sociali di benessere, invece, possono essere conferiti paternalisticamente. Stato di diritto e stato sociale sono possibili, in linea di principio, anche senza democrazia".

Nelle condizioni della post-modernità il concetto di demos non è più riconducibile al concetto di ethnos. La centralità dell’educazione interculturale si definisce quindi non solo come sfida educativa ma soprattutto come sfida alla democrazia reale e "planetaria". La scuola "forma" cittadini. Un nuovo demos interculturale. Ma senza una polis multiculturale adeguata tali cittadini (con le loro nuove pratiche e saperi) sono destinati a sicura frustrazione. E non è detto che la ricetta con cui oggi si tenta di sanare il vuoto di senso e l’alienazione funzionerà per sempre. Anche i beni di consumi (siano essi più o meno simbolici) a un certo punto manifestano la loro vera natura: perline colorate di nessun valore.

tornasu.gif (876 byte)

5. Lettere, suggerimenti, richieste & altro....

Tra i diversi messaggi giunti alla nostra rubrica vorrei segnalare (ed invitarvi a visitare il relativo sito http://members.xoom.com/rsunil/rsunil/afghanistan.htm) la lettera della scuola Media Fiorentino di Lamezia Terme-Sambiase che, a proposito di chador e donne nell’Islam, ha condotto una significativa azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica a riguardo della condizione della donna in Afghanistan.

Alcuni lettori hanno inoltre chiesto informazioni a riguardo dei centri territoriali permanenti (cm 685/97) e della relazione tra gli stessi ed i corsi di alfabetizzazione degli stranieri. Uno dei prossimi numeri di questa rubrica sarà dedicato all’analisi dei centri territoriali. A tal fine sarebbe certamente utile per tutti i molti visitatori del sito avere a disposizione esperienze e progetti di quanti effettivamente lavorano a questa problematica. Lo stesso vale per i Centri Interculturali. Insomma, chi vuole e può ci spedisca in posta elettronica informazioni, progetti, sfide. Fatiche, anche.

Da ultimo credo di far cosa gradita a riportare gli artt. 41 e 42 della legge 40/98   Si tratta di articoli riferiti Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi che presentano una precisa definizione di discriminazione sulla quale credo sia utile riflettere (ed agire) sia a livello personale che a livello educativo.

Un piccolo contributo alle molte manifestazioni-celebrazioni dei 50 anni della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo

tornasu.gif (876 byte)


Legge 40/98 art. 2

1. Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.

2. Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l'Italia e la presente legge dispongano diversamente. Nei casi in cui la presente legge o le convenzioni internazionali prevedano la condizione di reciprocità', essa è accertata secondo i criteri e le modalità previsti dal regolamento di attuazione.

3. Lo straniero regolarmente soggiornante partecipa alla vita pubblica locale.

4. Allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell'accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge.

tornasu.gif (876 byte)

Legge 40/98 art. 41

Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi

1. Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.

2. In ogni caso compie un atto di discriminazione:

a) il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di pubblica necessità che nell'esercizio delle sue funzioni compia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente;

b) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l'accesso all'occupazione, all'alloggio, all'istruzione alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;

d) chiunque impedisca, mediante azioni od omissioni, l'esercizio di un'attività economica legittimamente intrapresa da uno straniero regolarmente soggiornante in Italia, soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, confessione religiosa, etnia o nazionalità;

e) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificata e integrata dalla legge 9 dicembre l977, n. 903, e dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza.

Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all'adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una modificata e integrata dalla legge 9 dicembre l977, n. 903, e dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, compiano qualsiasi atto o comportamento

3. Il presente articolo e l'articolo 42 si applicano anche agli atti xenofobi, razzisti o discriminatori compiuti nei confronti dei cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea presenti in Italia.

tornasu.gif (876 byte)

Legge 40/98 Art. 42

Azione civile contro la discriminazione

1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.

2. La domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del pretore del luogo di domicilio dell'istante.

3. Il pretore, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.

4. Il pretore provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda. Se accoglie la domanda, emette i provvedimenti richiesti che sono immediatamente esecutivi.

5. Nei casi di urgenza il pretore provvede con decreto motivato, assunte, ove occorra, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a se entro un termine non superiore a quindici giorni assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza il pretore, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati nel decreto.

6. Contro i provvedimenti del pretore è ammesso reclamo al tribunale nei termini di cui all'articolo 739, secondo comma, del Codice di procedura civile. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del Codice di procedura civile.

7. Con la decisione che definisce il giudizio il giudice può altresi' condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale.

8. Chiunque elude l'esecuzione di provvedimenti del pretore di cui ai commi 4 e 5 e dei provvedimenti del tribunale di cui al comma 6 è punito ai sensi dell'articolo 388, primo comma, del Codice penale.

9. Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio in ragione della razza, del gruppo etnico o linguistico, della provenienza geografica, della confessione religiosa o della cittadinanza può dedurre elementi di fatto anche a carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti dell'azienda interessata. Il giudice valuta i fatti dedotti nei limiti di cui all'articolo 2729, primo comma, del Codice civile.

10. Qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche in casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni, il ricorso può essere presentato dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentativi a livello nazionale. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del presente articolo, ordina al datore di lavoro di definire, sentiti i predetti soggetti e organismi, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.

11. Ogni accertamento di atti o comportamenti discriminatori ai sensi dell'articolo 41 posti in essere da imprese alle quali siano stati accordati benefici ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle Regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, è immediatamente comunicato dal pretore, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione del beneficio, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni o enti revocano il beneficio e, nei casi più gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.

12. Le Regioni, in collaborazione con le Province e con i Comuni, con le associazioni di immigrati e del volontariato sociale, ai fini dell'applicazione delle norme del presente articolo e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per gli stranieri, vittime delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

tornasu.gif (876 byte)

Legge 40/98 Art. 44

Commissione per le politiche di integrazione

  1. Presso la presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari sociali é istituita la Commissione per le politiche di integrazione.
  2. La Commissione ha i compiti di predisporre per il Governo, anche ai fini dell'obbligo di riferire al Parlamento, il rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche per l'integrazione degli immigrati, di formulare proposte di interventi di adeguamento di tali politiche nonché di fornire risposta a quesiti posti dal Governo concernenti le politiche per l'immigrazione, interculturali, e gli interventi contro il razzismo.