Direzione didattica di Pavone Canavese

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(03.12.2002)

Con i "gravi" non "giochiamo" a fare i dottori
di Angelo Vita

Carissimo Piraccini,

apprezzo il tuo intervento ma vorrei aggiungere qualche considerazione in più. L’inadeguatezza strumentale, strutturale e specialistica della scuola che abbiamo ti fa sottolineare, insieme a quanti si sono spesi per migliorare la qualità dell’integrazione umana dei ‘gravissimi’, la necessità di aprire porte e finestre al fuori scuola per coinvolgere nuove competenze e rendere più efficiente il ruolo che la scuola si è dato con la chiusura di quelle squallide ed inutili classi speciali.
Su questa lunghezza d’onda mi trovi perfettamente sintonizzato ed interessato. Quello che tuttora non emerge a sufficienza, invece, è l’idea che il processo d’integrazione necessiti sempre e comunque della scuola. A mio avviso non è così. Ed i motivi – che me lo fanno supporre - sono diversi.

Ci sono bambini che per ‘sopportare’ il proprio status necessitano di assistenza specialistica mirata ad aumentare la soglia di coesistenza col deficit che, di certo, non può fornire in nessun modo la scuola che, nella migliore delle ipotesi, garantisce un insegnante tête a tête insieme all’assistente offerto dal Comune per gestirne e contenerne le difficoltà. L’integrazione o la convivenza col deficit grave è altro. Ne convieni?

Quale ricaduta sulle potenzialità psico/motorie e apprenditive minime può avere la scuola più e meglio di centri, o luoghi/spazi, all’uopo attrezzati?

Chi necessita di cure va medicalizzato nell’accezione più alta del termine. Pretendere che la scuola possa adempiere, sempre e comunque, al suo compito - anche in situazione d’impossibilità d’intervento formativo - è miope più che deleterio. Dobbiamo avere il coraggio di volgere lo sguardo verso percorsi che siano rispettosi dello status di ciascuno e quando ‘giochiamo’ a fare i fisioterapisti, i logopedisti o gli psicomotricisti senza che lo siamo, è chiaro che non possiamo andare lontano. Può darsi che avremo fatto, magari, una buona azione, ma non siamo stati all’altezza delle richieste implicite che la presenza di un ‘gravissimo’ pone ed impone.

Detto questo mi sembra opportuno specificare in merito ai tuoi quattro si il mio punto di vista:

1. Potresti portarmi un solo esempio in cui la "parte sana" di ogni persona definita gravissima e che sfugge ad ogni accertamento strumentale, consente di ipotizzare che attraverso l’interazione con i coetanei possa implementare tutte le sue potenzialità
Perché non usciamo dalle ipotesi chiamando le cose col loro nome? E ancora. Non capisco perché la scuola, comunque, debba darsi un ruolo che non può avere e, pur di darselo, debba compartecipare alle attività integrative avvalendosi delle risorse dell’extrascuola coerenti con la specificità di ogni caso? Anziché avvalersene perché non lascia fare, a chi può, il suo intervento mirato e sicuramente efficace dal punto di vista psico/medico e fisioterapico?
Mi chiedo pertanto: i centri come quelli di Torino e Bologna hanno bisogno dell’intervento della scuola per il raggiungimento degli obiettivi riabilitativi od integrativi dei gravissimi? Che la chiamino! Dobbiamo cioè dare vita ad una sorte di rivoluzione copernicana. Anziché essere la scuola/cenerentola a chiamare l’extrascuola che sia quest’ultima, molto più competente, a dare ‘inizio alle danze’. Che c’è di strano in tutto questo?

2. Carissimo Piraccini già ora, grazie alla legge cui fai riferimento, su un gravissimo agiscono più figure, cosa vuoi dire quando dici che bisogna cominciare a parlare di questo personale? Abbiamo bisogno di altro personale ancora? Magari includiamo nuove competenze in modo da costituire un’equipe d’intervento intrascolastico ancora più folta? Dimmi che non è così o se è così dimostramene l’efficacia nei trent’anni d’esperienza attivata.

3. Il problema – come dici - gira e rigira è dunque finanziario?… della serie i buoni propositi vanno a farsi benedire, ma considerato che non possiamo permetterci tutto, e subito, almeno pensiamo al "dopodinoi"? Sarebbe interessante che la società pensasse al prima, durante e dopo con serietà e senza ipocrisie. Non credi?
Quello che sembra assurdo (attivazione di centri luoghi competenti) durante l’età scolare perché è possibile in quella postscolare?
La scuola esautora il proprio ruolo nel tempo/scolastico per consegnare alle strutture riabilitative permanenti la responsabilità assistenziale e medico/riabilitativa dei gravissimi? Solo allora dunque le strutture territoriali possono avere cittadinanza? È di questo – carissimo Piraccini - che stiamo parlando. Quando parlo di errori e di ipocrisie mi riferisco a queste risposte che i gravissimi non possono più tollerare da una società incentrata su un selvaggio liberismo economico di costi/benefici.

4. Davvero sei persuaso che parlare del fallimento dell’Istituto del Sostegno significhi sparlare o sparare nel mucchio? Se dovessi fare una proporzione tra quanti (la stragrande maggioranza + 1) acquistano titoli di specializzazione biennale da ditte private alle quali rinomate istituzioni universitarie hanno dato l’appalto e quelle figure di grande valore umano e di rilevanti competenze non pensi che il gap richiederebbe come conseguenza una rivisitazione/rifondazione strutturale rilevante?

Onore a Mario Tortello e Sergio Neri, che come altri hanno contribuito alla formalizzazione di percorsi epistemologici e metodologici dagli elevati coefficienti pedagogici, didattici e civili, ma detto questo – caro Piraccini - la coscienza ci impone che si faccia di più.

Quando ca. l’82/% degli insegnanti di sostegno, maturati i cinque anni prescritti di servizio, decidono di buttare alle ortiche la loro ‘esperienza’ per chiedere di entrare nell’organico della scuola comune a te non fa fare delle considerazioni di ordine professionale, giuridico, etico ed umano? Possibile che solo il 18,7% dei docenti di sostegno supera la soglia dei dieci anni d’insegnamento nella classe d’appartenenza? Se non riusciamo a capitalizzare l’esperienza dei più qualche macrointerrogativo dobbiamo pur porcelo. O va bene così purché non si intacchino i diritti acquisiti (parlo ovviamente degli insegnanti di sostegno)?

Solo quando troveremo la forza di chiamare le cose col loro nome avremo contribuito a dare una mano a chi continua a chiedere competenza ed in risposta riceve solo assistenza.

Con affetto

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