Direzione didattica di Pavone Canavese

La valutazione dopo la legge 169


30.11.2008

Il tracollo della valutazione
di Stefano Stefanel

 

L’intervista a Benedetto Vertecchi apparsa sabato sul nostro sito non richiede alcun commento e va sposata in tutti i suoi punti. In questo drammatico passaggio della scuola italiana sono assenti dal dibattito pubblico proprio gli esperti di valutazione, travolti dalle molte stupidaggini che da entrambe le parti si stano dicendo. Nel confermare la mia adesione a quanto scritto da Vertecchi vorrei segnalare, comunque, un paio di punti che mostrano lo stato confusionale della scuola italiana.

Nella legge 169/2008 è inserita la boutade relativa alla certificazione delle competenze tramite voti numerici (scala 10). Sommerso dal maestro unico e dal voto in condotta questo “scandaloso” passaggio della legge non ha scandalizzato molto, soprattutto per due motivi:

*      in controtendenza con l’Europa siamo totalmente disinteressati alla certificazione delle competenze: tutti i soggetti protagonisti della scuola (dirigenti, docenti, alunni, genitori) vivono la certificazione delle competenze come uno scomodo inconveniente;

*      la certificazione delle competenze ostacola il normale metodo valutativo italiano che consiste nell’assegnare giudizi e voti attraverso criteri generici, senza crediti reali e collegati alla personale sensibilità del valutatore, che è anche il docente che ha trasmesso le informazioni su cui si viene valutati.

La legge 169/2008 trasforma una scala a 5 (Non sufficiente, Sufficiente, Buono, Distinto, Ottimo) in una scala a 7 0 10 (da 4 a 10 o da 1 a 10, per i più buontemponi) senza entrare nel merito di cosa vogliano valutare o comunicare quei numeri. In questo modo non fa che favorire ulteriormente il maggiore arbitrio possibile: quello che vuole valutare i processi attraverso i prodotti, compensando poi una certificazione di conformità (il compito o l’interrogazione riproducono in forma corretta o scorretta quanto il docente o il libro hanno comunicato) con astruse e empatiche percezioni personali (“è migliorato”: sì, ma rispetto a cosa?; “non si impegna”, “dovete vedere i progressi”, ecc.).

Il delirio percettivo e compensativo della scuola italiana trova la sua massima espressione nei Consigli di classe, luoghi atroci in cui 8/10 adulti parlano di una persona assente utilizzando buon senso, luoghi comuni ed ora voti.
Anche la scuola primaria non è da meno: le ore di programmazione vengono dedicate a definire il programma della settimana successiva in una sorta di trailer del “Cartellone” prossimo venturo e a parlare a lungo di bambini che hanno bisogno di essere ascoltati, non descritti.

In questa atroce commistione di generi quello che più colpisce è la sicurezza del Ministero nello scrivere qualcosa che nessuno al mondo oserebbe scrivere, la compiacenza dei docenti nell’aumentare il tasso di dispersione della scuola italiana dilettandosi con i 2 e i 3, la svogliata acquiescenza delle famiglie che si trasformeranno in piccoli totalizzatori.

Le possibilità di invertire questa tendenza sono pressoché nulle per ora, ma penso di poter dire che abbiamo toccato il fondo e che dunque non possiamo che risalire: invece di imparare dai Paesi più virtuosi ci vantiamo dei risultati delle Scuole primarie nelle rilevazioni internazionali, ma facciamo finta non esistano quelli delle secondarie; non accettiamo il cambiamento e continuiamo a valutare nel modo che tutti descrivono come il più scorretto. Credo siamo l’unico Paese dell’Ocse in cui non esiste una vera valutazione esterna, neppure minima, per gli alunni. L’esperienza dell’Invalsi agli esami di terza media è stata esilarante ed avvilente: non solo a nessuno è interessato nulla, ma gli insegnanti hanno fatto finta di tenere conto dei risultati, quando invece hanno utilizzato la vecchia scala come se nulla stesse succedendo.

La valutazione italiana non è trasparente e tende ad essere un semplice giudizio di conformità: certifica invece di valutare, ma lo fa su prodotti inutili e spesso stupidi. Se l’insegnamento italiano è accettabile nel complesso, la valutazione è la tara della nostra scuola: con questo tipo di valutazione l’apprendimento è un semplice venticello che qualcuno riesce ad intercettare. Quando una società declina valuta la sua gioventù con gli strumenti della sua vecchiaia.


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