06.01.2014
…Sentiti
gli oratori...
di Franco De Anna
“…La più adatta a distinguere i
propositi di più alta utilità è la maggioranza (dell’Assemblea) dopo
che su di essi ha seguito il dibattito (ascoltati gli oratori)….”
(Tucidide, IV, 39).
Traduzione più sintetica: “l’assemblea, uditi gli oratori, decide a
maggioranza”.
Così Tucidide esalta la democrazia ateniese e la “regola” della polis che la
fa essere una costruzione sociale ben diversa dall’oligarchia e dalla
tirannide.
Sappiamo che, sia la regola della maggioranza che quel “uditi gli oratori”,
costituiscono i nuclei di una “critica storico-politica” che ha occupato i
secoli successivi e non solo.
La maggioranza può essere infatti lo strumento per condannare Socrate o per
decidere il supplizio di Gesù.
E quell’inciso “…sentiti gli oratori…” acquista un significato critico
fondamentale se ci si riferisce alla modernità. Quali oratori, e da quale
pulpito e quale assemblea? Quella del salotto di casa di fronte al
televisore (molto numerosa)? Quella seduta al proprio PC e connessa in rete
che si esprime in “mi piace/non mi piace” e che argomenta in 140 caratteri,
molti spesi in insulti e battute (molto meno numerosa)? O quella ancora più
esigua che compulsa ogni mattina la propria bibbia laica, popolata da
oratori “fidelizzati”?
Quel “sentiti gli oratori” riletto nella società della comunicazione
mediatica e della passivizzazione televisiva palesa clamorosamente il
carattere intrinsecamente incerto della “mediazione” del rapporto tra verità
e doxa, tra consapevolezza e manipolazione, e lo scarto tra esercizio
del logos e ricerca della verità.
Tucidide stesso rammenta, nel suo racconto, di una assemblea rumoreggiante
contro Pericle, che. requisito il tesoro, lo impegnava in un munifici
progetti di spesa pubblica. Ebbe buon gioco l’oratore a dimostrare che tante
imprese di abbellimento della città davano lavoro a tanti artigiani, ecc…
L’assemblea si tacque e approvò a maggioranza….
Sembra di rileggere a quasi 2500
anni di distanza certe decisioni delle moderne assemblee che nel nostro
paese, a cavallo degli anni ‘70/’80, destinavano gli interventi della spesa
pubblica a costruzione del consenso e alla remunerazione di un corpo sociale
esteso, dai ceti della rendita e profitto, a quelli popolari dei baby
pensionati, alle corporazioni professionali… una cittadinanza costruita
“sulla spesa delle risorse pubbliche” e non sulla “produzione della
ricchezza pubblica”… E noi oggi, come allora l’Atene del dopo Pericle, a
patire le conseguenze di quelle “maggioranze” e di quegli “oratori”.
La dimensione dell’assemblea, della “decisione politica”, diremmo oggi, è
comunque quella della doxa. Non a caso i laici ricordano a tutti
coloro che si propongono come portatori di “valori non negoziabili” che,
appunto in nome di tali ritenute verità, non è compito dell’assemblea (della
politica) affermarle come “ortodossia”. Sibbene creare la condizioni per
garantirne la libera espressione a tutti i portatori, senza prevaricare
altre “verità” e convincimenti “non negoziabili” diversi.
Non dissimile deve essere il
rapporto tra “assemblea”, doxa e ricerca scientifica.
Vi sono certamente decisioni politiche che riguardano la “politica della
scienza” (organizzazione, fondi, promozione…) ma non possono riguardare “i
protocolli e le metodologie”. Quando la politica e la legge invadono tali
campi di intrinseco esercizio della ricerca scientifica le conseguenze sono
devastanti. Abbiamo due esempi recenti: la questione “Stamina” (con risorse
pubbliche che dovrebbero essere destinate ad una “setta di credenti”,
assolutamente liberi di curarsi come credono, ma non di affermare la
scientificità di un protocollo privo di validazione) e quella della
sperimentazione animale nella ricerca farmacologia, che dovrebbe avvalorare
l’opinione di chi pensa che l’unico animale su cui sperimentare i farmaci
sia, in definitiva, l’uomo.
Questione delicata dunque quella del rapporto tra politica, legge, e ricerca
scientifica. Da affrontare con un surplus di attenzione critica. Non basta,
tanto meno in questo caso, il “sentiti gli oratori”…
Per stare alla scuola: è in corso da qualche anno la faticosa costruzione di
una impresa scientifica, resa necessaria (e dunque oggetto di decisione di
politica pubblica) da alcune emergenze fattuali. In sintesi.
Naturalmente ogni impresa
scientifica si nutre della discussione critica interna alle sue metodologie,
ai suoi strumenti, dei protocolli, alla lettura dei risultati, alla
elaborazione di spiegazioni e diagnosi. Ha bisogno, intrinsecamente, della
attività di falsificazione.
Personalmente, per esempio, ho esercitato tale discussione in molti contesti
e su molti aspetti di quella impresa scientifica: sulla necessità di
rispettare i protocolli della ricerca sociale, che sono diversi da quelli
delle scienze naturali; sui rischi del riduzionismo funzionalistico di certe
impostazioni quantitative e di tipo controfattuale; sul meccanicismo delle
ipotesi interpretative del rapporto
autovalutazione-valutazione-miglioramento e su effetti opportunistici e
deformanti della congiunzione tra valutazione e dispositivi di
incentivazione economica (non a caso provenienti dalla politica o meglio da
alcuni oratori dell’assemblea..).
Chi è interessato può trovare una serie di interventi tra loro collegati su
tali aspetti proprio in questa rubrica
Ma non ho risparmiato critiche
neppure nelle fasi di realizzazione dei protocolli in atto. Ho infatti
superato (per il rotto della cuffia in verità) le procedure di selezione e
formazione per fare il valutatore nel progetto VALES e Valutazione e
Miglioramento, e sono impegnato in tale lavoro su scuole distribuite in
diverse regioni. I colleghi dell’INVALSI hanno dovuto sopportare il mio
dibattito anche in queste fasi. Ma si trattava di intervenire nel merito
tecnico-scientifico, appunto.
Sono perciò rimasto assai meravigliato nel constatare che almeno due dei
miei “superiori”, membri del Comitato Tecnico Scientifico che presiede la
sperimentazione VALES e Valutazione e Miglioramento, ed in prospettiva la
valutazione dei Dirigenti Scolastici, abbiano deciso di dare vita ad una
iniziativa “politica” con un documento, una raccolta di firme, una “cordata”
(il termine è loro..). Dunque spostando il campo dell’impegno dalla
discussione tecnico scientifica (che deve essere la più critica e radicale
possibile, e personalmente ci provo sempre, per quanto so..) a quella
politica.
Il documento, che trova causa immediata nel cambio del Presidente INVALSI,
si apre collegando esplicitamente tale evenienza con una necessaria “fase
costituente sulla cultura della valutazione nel nostro sistema educativo (e
nel nostro paese) e sul ruolo che in questo novo assetto dovrebbe essere
attribuito all’INVALSI…”.
Nulla di illegittimo (anzi) ma è un evidente salto di paradigma, dal livello
tecnico scientifico (e responsabilità connesse) a quello dell’oratore
nell’assemblea convocata sulla rete..
Il cambiamento del Presidente è infatti un accadimento “politico” e volendo
contribuirvi dal punto di vista scientifico occorrerebbe esplicitare che
chiunque sia scelto dovrebbe prioritariamente assumere l’impegno rispetto ad
un programma pluriennale appena avviato.
Nel merito delle proposte che seguono nel documento sono già intervenuto su
questo sito (“Tra cefalea e decapitazione….”)
sintetizzando il giudizio con i termini di “irenismo dell’intelligenza”. (Me
ne scuso, ho un brutto carattere, ma ad esso mi affido per scongiurare per
me stesso il rischio di interpretare il ruolo di un oratore in cerca della
maggioranza dell’assemblea), ma intendendo con ciò l’elencazione di un
“repertorio” capace di raccogliere esigenze contrapposte, addirittura
contraddittorie, e sovrapposizione di categorie interpretative che certo non
favoriscono , nell’assemblea convocata in web, la chiarezza delle ragioni e
la consapevolezza delle decisioni. Rimane l’interrogativo di metodo e,
trattandosi di operazione dichiaratamente politica, l’interrogativo assai
più radicale circa l’obbiettivo reale perseguito. Una “fase costituente..”?
Le parole son pietre, ma occorre sempre pensare che dall’uso sconsiderato
anche le pietre si consumano… (pure, la politica nazionale dovrebbe averci
resi consapevoli del consumo semantico del termine “costituente”…)
C’è però un passaggio che mi ha
particolarmente colpito. Gli estensori del documento affermano che tra essi
“ molti potrebbero ben figurare nella rosa dei candidati all’INVALSI…“,
ma che preferiscono continuare nell’impegno quotidiano con docenti e
dirigenti, ecc….
Gli “oratori” che sottolineano ed enfatizzano il loro essere insieme con, al
servizio e al livello dell’assemblea danno, a distanza di millenni,
conferma e conforto a Tucidide nel suo omaggio a Pericle.
In un commento in rete rilasciato da uno dei firmatari della cordata si dice
.”è bastato leggere i primi sei nomi degli autori per decidere di aderire…”.
Immagino sia un esempio di pensiero critico…
Questo scritto è stato composto
prima e a prescindere dall’intervento dell’amico
Antonio Valentino a commento di un mio precedente pezzo (“Pulpiti,
prediche e chierici” e forse anche “Tra cefalea e decapitazione…”).
Alcune risposte al suo prezioso e importante commento sono già contenute
nelle righe precedenti.
Antonio Valentino ha firmato il documento proposto alla cordata mentre io ho
esposto francamente la mia indisponibilità agli estensori, nella fase
precedente la stessa pubblicazione definitiva.
Rispetto ovviamente le decisioni e la diversità di opinioni, anche
considerando che tanti amici, di cui conosco gli orientamenti assai simili
ai miei, hanno deciso di aderire.
Ad Antonio vorrei solamente sottolineare che se nel documento proposto per
la cordata vi fossero esplicitate le distinzioni concettuali e le
affermazioni che egli pone in testa al suo commento e sulle quali dice di
convenire con me (ricerca educativa versus ricerca pedagogica; valutazione
dei docenti “formativa” versus rilevazione standard degli apprendimenti
ecc…), il documento stesso sarebbe assai diverso, diverso il suo significato
o, se si vuole, minore la sua ambiguità.
In un “documento politico” quale esso è, le imprecisioni, le assenze, le
ambiguità sono elementi di “significato”, non “imperizie”. Sono scelte e
indicazioni, non carenze (vista anche la caratura professionale degli
estensori)
Per esempio è assolutamente giusto sottolineare come la ricerca valutativa
quando debba misurarsi con somministrazioni di massa (dunque più
direttamente si misuri con protocolli della ricerca sociale) debba
affrontare il tema della partecipazione (del rapporto tra soggetto e
oggetto, tra valutatore e valutato, tra esterno e interno..), e giusto
sottolineare come, nella sottovalutazione di ciò, si rischino tensioni,
incomprensioni, ecc…
Ma anche a tal proposito non si può rimanere nel generico. Per esempio, come
mai le reazioni negative delle scuole sono inversamente proporzionali alla
sensibilità pedagogica espressa nel lavoro didattico quotidiano? (contenute
e superate quasi del tutto nella primaria, altissime, fino al luddismo, nei
licei). Curioso: chi nel lavoro quotidiano esplora più da vicino la sua
componente pedagogica, ha più rapidamente accettato (non dico
entusiasticamente, ma comprendendone il valore e significato) le rilevazioni
INVALSI. Chi le rifiuta a gran voce, fino al boicottaggio, lo fa in nome di
una dichiarata superiorità pedagogica, per altro negletta in gran parte
della sua attività didattica…. Che attributo si dà a tali forme di
”coscienza”?
Se è così il richiamo ad una “diffusa cultura della valutazione” rappresenta
il problema, non la soluzione. E il problema è aggravato da una esplicita,
voluta, erronea e comunque richiamata sovrapposizione tra “valutazione
formativa” e attività dell’INVALSI.
L’INVALSI deve certamente tenere in conto i paradigmi e i protocolli della
ricerca sociale; ma la diffusione (e differenziazione specifica) di una
“cultura della valutazione” investe le funzioni (politiche queste..) del
complesso della “organizzazione della cultura” (per dirla con Gramsci) della
scuola. E dunque dall’Amministrazione, all’Associazionismo, culturale,
professionale, sindacale, alla pubblicistica, alle politiche di formazione
del personale. E’ loro esplicita responsabilità raccordare (distinguere,
differenziare, rielaborare strumenti specifici) la “loro” cultura della
valutazione con l’impresa scientifica dell’INVALSI.
Finora, confondendo le cose (gli interessi?) hanno chi più chi meno operato
non per “distinguere” ma per “contrastare” trovando facili alleanze (gli
oratori e l’assemblea…) con tutti i conservatorismi di ogni genere.
Se volessimo rintracciare l’opera di tali organizzazioni nella fase di
appropriata decisione politica (il riassetto dell’INVALSI, la organizzazione
della ricerca educativa…) faremmo fatica a reperire piattaforme
programmatiche offerte “all’assemblea” e efficaci “oratori”.
Infine, caro Antonio, io non ho davvero nulla contro la pedagogia, e neppure
contro i pedagogisti.… Anzi. Vorrei che la loro voce fosse ben più potente.
Senza argomentare troppo, posso rinviarti alla lettura di un mio recente
pezzo intitolato “Apollo, Caino e Prometeo” che trovi sul sito.
Ciò che mi preoccupa di più nella “cordata” non è la differenza con le mie opinioni, ma il fatto che la corda che lega la cordata sia in realtà un intreccio variamente ingarbugliato, che trascina un insieme assai composito di posizioni, di intenzioni, di interessi, diversi tra loro, fino alla contraddizione esplicita.