(20.11.98)
BENETTON - TOSCANI:
DOVE È FINITA LA PROVOCAZIONE
IN ITALIA I DOWN VIVONO IN FAMIGLIA, NON IN ISTITUTI
a cura del Comitato per
l'integrazione scolastica degli Handicap
(intervento pubblicato su "Handicap & Scuola", n°81, ottobre - novembre
1998)
Di fronte all'ultima "provocazione" pubblicitaria di Toscani, non può non colpirci una serie di ambigui sentimenti. La visibilità dell'handicap, da una parte, anche se molto edulcorata, reca messaggi di "conoscenza", sensibilizzazione e partecipazione a un grande pubblico; la sua strumentalizzazione, d'altra parte, a fini commerciali rischia di indurre pericoli di sfruttamento e di mancanza di rispetto della dignità umana.
Molto gravi, invece, alcune affermazioni, espresse
nel corso della conferenza stampa di presentazione della campagna pubblicitaria, secondo
cui in Italia i ragazzi handicappati sarebbero abbandonati a loro stessi.
Molto bene ha replicato l'associazione Italiana per l'Assistenza agli Spastici di Torino,
con questa lettera a "La Stampa" del 4 ottobre 1998:
"In riferimento all'articolo con titolo <Toscani, l'ultima provocazione ha il volto dei bambini Down> (12 settembre 1998), precisiamo che la nostra Associazione da quarant'anni tutela i diritti degli handicappati, promuovendone la piena integrazione nella società in tutti i suoi aspetti: scuola, lavoro, tempo libero; abbiamo contribuito al superamento delle strutture speciali avendo cura che i passaggi avvenissero nel modo più corretto. Siamo perciò sbalorditi dalle affermazioni espresse nel corso della conferenza stampa di presentazione della nuova campagna pubblicitaria della Benetton, secondo cui in Italia i ragazzi handicappati sono abbandonati a loro stessi. Con luci e ombre, grazie anche alle lotte dei genitori che hanno scelto di non rinchiuderli in istituti, sia pure di gradevole aspetto, i nostri ragazzi frequentano le scuole con i loro coetanei e, se ne hanno le capacità, riescono anche ad inserirsi nel lavoro.
"Quanto alla campagna Benetton (ma che cosa non si fa per vendere maglioni!) non ci scandalizza vedere la bimba Down che ci sorride dai cartelloni, anzi ci fa tenerezza, ma perché ritrarla da sola e non in un gruppo di bimbetti, come abitualmente viene fatto nelle altre campagne?
Il messaggio che ne deriva: stanno bene, ma da soli, in ambienti adeguati a loro. E noi questo non lo accettiamo." (Maria Chiara Giglioli)
Infatti, un aspetto grave e sconcertante, riguarda proprio la scelta della pubblicità preparata in un istituto estero (Istituto St. Valentin di Ruhpolding, in Baviera), quando in Italia si può ricavare un'immagine dell'handicap più aperta alla accettazione e al coinvolgimento sociale. Nel nostro Paese, da decenni, molti minori e adulti in situazione di handicap vivono in famiglia e nella società e non in istituti.
La controprova si può trovare in alcune affermazioni di genitori dei bambini fotografati, come risulta nel fascicolo completo della pubblicità. Una madre così si esprime: "Qui in Germania è stato creato appositamente un mondo adatto alle persone disabili, dove si sentono a proprio agio e sono felici. In altri Paesi si vuole imporre loro il nostro modo di vita, che per gli handicappati è pieno di difficoltà e nel quale non riescono ad orientarsi".
A questo tipo di razionalizzazione dell'emarginazione - sia pure "dosata" - si aggiunge, in altre testimonianze di genitori intervistati, un senso malcelato di "liberazione" da impegni personali, anche difficili certo, e di affidamento totale all'Istituto:
"È molto difficile apparire in pubblico con Manuela perché la gente non ha comprensione per i disabili ( ). All'inizio era molto difficile riuscire a spuntarla con Manuela, ma grazie a questa scuola la nostra vita familiare si è abbastanza normalizzata".
"È un grosso sollievo sapere che Katharina frequenta la scuola ( ) Da quando si trova in questo istituto la sua e la nostra vita sono diventate molto più facili".
"Nutriamo forti sentimenti protettivi nei suoi confronti per difenderlo dall'aggressività del mondo che ci circonda".