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SCUOLA OGGI: Documenti e interventi sulla  politica scolastica della XVII legislatura

22.06.2014

La scuola e la sindrome di Peter Pan
di Girio Marabini

E’ stato presentato al Senato nella giornata del 12 giugno scorso lo studio “Scuola 2.0 Innovazione dei modelli didattici e nuove tecnologie per la scuola del futuro” effettuato da Glocus (think tank - letteralmente serbatoio di pensiero - indipendente).
Secondo tale studio vi sono ancora concrete difficoltà per realizzare la cosiddetta scuola digitale; i dati riportati sono i seguenti: Il 45,8% delle aule scolastiche (130mila) non è cablato, il 18,5%, dei plessi (4.200) non sono connessi a internet, le lavagne interattive multimediali sono appena 69813 e i tablet per uso individuale nelle classi ancora meno, appena 13650. Secondo lo studio è in aumento il gap generazionale tra insegnanti e alunni (nativi digitali).

”Senza formazione i docenti rischiano di essere i nuovi Peter Pan nell'era digitale” si legge nel comunicato stampa della associazione che prosegue: ”La scuola digitale che non c'è è come l'isola che non c'è di Peter Pan, ma qui a rischiare di non crescere è soprattutto il docente che non ha gli strumenti operativi per confrontarsi con i nativi digitali”.
Per un approfondimento rimando al documento completo di Glocus (http://www.glocus.it/?p=4104).

Vorrei invece sollevare in questa sede alcune questioni.
L’uso quotidiano del computer, dell’I-pad e degli altri strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie ha ridotto in modo considerevole le nostre capacità di scrittura manuale. La stessa  correzione automatica effettuata degli editor di testo ha prodotto di fatto l’aumento degli errori di ortografia, avendo affievolito il discernimento ortografico. E’ stato dimostrato invece che  la scrittura manuale   favorisce  lo sviluppo della intelligenza perché comporta una serie di attività coordinate della mente e del corpo.  Perdere la capacità di scrittura manuale significa anche perdere il “calore umano” di un testo: ogni segno tratteggiato offre il grado di sentimento posto da chi scrive in quella parola o in quella frase. La stessa scienza della grafologia è nata e si è sviluppata attorno al testo scritto; essa si è rivelata come una scienza importante perché attraverso l’analisi dei segni e di come sono stati scritti riesce a definire le caratteristiche del soggetto che scrive, a determinare i suoi stati d’animo, a definire profili utili in vari settori dalla psicologia alla pedagogia ecc…
E’ vero che la tecnologia ci aiuta molto nella nostra vita quotidiana, purtroppo però rischia di renderci dipendenti perché si sostituisce a tutte le nostre capacità le quali senza l’esercizio e senza l’uso si indeboliscono fino a scomparire. Lo psichiatra Manfred Spitzer con  il testo ”Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi” (Edizioni Corbaccio, Garzanti libri, Milano,2103), ha lanciato un vero e proprio allarme sui rischi derivanti da un uso esclusivo delle nuove tecnologie. Il cervello  è plastico, apprende in continuazione e le sue facoltà vanno esercitate e allenate alla stregua dei muscoli.
Pensiamo ad esempio all’uso precoce e continuo della calcolatrice nello studio della matematica; molti giovani non sono più in grado di eseguire le operazioni a memoria e di seguire tutti i passaggi logici necessari che sono invece effettuati per loro dalla macchina. Occorre fare attenzione anche nel mondo della scuola. E’ giusto adeguarsi allo sviluppo tecnologico attraverso la digitalizzazione dei libri di testo, l’introduzione dell’I-pad nella didattica normale, ma non bisogna però abbandonare del tutto le vecchie tecnologie (che completano le capacità umane ma non le sostituiscono); le nuove tecnologie dovranno svilupparsi parallelamente  alla scrittura manuale, alla lettura dei libri, all’imparare a memoria le poesie, al far di conto senza l’uso della calcolatrice ecc..
Mantenere la sana abitudine, ad esempio,  di prendere appunti annotandoli manualmente aiuta allo sviluppo delle capacità di sintesi, facilità la memoria e migliora l’apprendimento. Sostituire l’apprendimento della scrittura manuale con la videoscrittura, introducendo in modo precoce l’uso dell’I-pad nella scuola primaria, sarebbe davvero un grave errore.
Con tutto ciò non voglio certo dimostrare che non esiste la necessità di un ammodernamento delle strutture e delle strumentazioni didattiche; è un dato di fatto comunque che la mancanza di fondi, i continui tagli alla spesa dell’istruzione hanno in qualche modo frenato la diffusione delle nuove tecnologie didattiche. Sono altresì convinto che da parte dei docenti non ci sia alcun rifiuto concettuale rispetto alla cosiddetta “scuola digitale”. Essi stessi sono consapevoli della necessità di formarsi per modificare e adeguare la propria metodologia e la propria didattica alle caratteristiche dei cosiddetti “nativi digitali”; gran parte di loro lo ha già fatto sviluppando progetti e attività specifiche all’interno dei propri Istituti.
Occorre, tuttavia, evitare che le nuove tecnologie didattiche diventino troppo pervasive (in una parola “totalizzanti”) con il rischio di "spersonalizzare” il rapporto docente-alunno delegando il “calore” e la “vicinanza” propri delle relazioni umane ad una macchina. Nel processo formativo infatti essenziale è la centralità della persona, la persona dell’alunno e la persona dell’insegnante, esseri che si completano con i loro limiti e le loro potenzialità, esseri che pensano, che provano emozioni, che sanno porsi in relazione. Intesa in questo modo la persona non è un punto di arrivo, ma diviene punto di partenza di ogni azione educativa. Un punto di partenza che non può essere limitato al semplice apprendimento secondo schemi meccanicamente addestrativi o puramente attivistici tipici delle nuove tecnologie. Per questo motivo lo sviluppo delle nuove tecnologie deve correre parallelo all’uso delle vecchie tecnologie (libri, ecc...). Le nuove tecnologie vanno considerate in definitiva dei validi strumenti a disposizione dell’insegnante (dei quali può o non può fare uso secondo le necessità didattiche) ma non possono divenire fini essi stessi della attività educativa o addirittura “macchine per insegnare” sostitutive dell’insegnante.

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