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SCUOLA OGGI: Documenti e interventi sulla  politica scolastica della XVII legislatura

29.10.2013

                                                                                                                                                                                                             

Ma davvero bisogna diplomarsi a 18 anni ?
di Girio Marabini

E’ poi così vero che è necessaria una uscita dalla scuola secondaria a 18 anni?
In molti paesi europei compresa la Germania l’età di fine studio è fissata a 19 anni (Germania, Danimarca, Svezia, Lussemburgo, Polonia, Slovacchia, Slovenia ecc…. )
Sgombriamo quindi il campo da ogni equivoco: in questo settore (almeno in questo!) l’Europa non ci chiede di sacrificare la nostra tradizione…
Forse la motivazione può essere rintracciata in una esigenza pedagogica?
Non credo. Non è che anticipando l’uscita a 18 anni si possono ottenere risultati migliori relativamente agli apprendimenti degli alunni.  E’ vero che in alcune discipline gli studenti italiani sembrano essere in ritardo e si classificano su posizioni non certo lusinghiere. I dati vanno presi per quello che sono e dimostrano l’esigenza di una seria discussione sugli standard formativi e di  una verifica delle impostazioni didattiche di alcune discipline. La  formazione va, tuttavia, considerata nel suo insieme, come un unicum  culturale: le discipline concorrono a costruire il mosaico ma non possono valere per sé stesse (non si insegna la matematica per la matematica ma se ne mettono in evidenza gli  aspetti che contribuiscono a spiegare la realtà; in questo modo l’apprendimento diventa significativo. Si pensi ad esempio al discorso mai completamente realizzato dell’insegnamento delle discipline in funzione orientativa).
Proprio per questa attenzione alla formazione integrale della persona, la nostra scuola, nel bene e nel male, è risuscita  a formare eccellenze, “giovani cervelli” apprezzati in tutto il mondo nei vari settori del lavoro e della ricerca (meccanica, chimica, design, elettronica,  fisica , medicina…). Il dibattito sul problema strutturale/organizzativo è quindi, a mio avviso, secondario rispetto alla questione dei “nuovi saperi”, della ricerca disciplinare e  del curricolo.  
Il rischio è che la scuola a forza di inseguire riforme strutturali accumuli  ritardi rispetto alla esigenza di adeguarsi alle trasformazioni sociali economiche e culturali del paese. Occorre per questo  focalizzare l’attenzione sul curricolo scolastico e sulle sue implicazioni pedagogiche. In questo contesto fondamentale, come accennavo sopra, è la ricerca disciplinare che gli insegnanti devono operare: le indicazioni nazionali offrono il quadro d’insieme, la ricerca disciplinare  “legge” i saperi ed individua in ciascuna disciplina
i nuclei fondanti, le valenze formative prioritarie e  quelle orientative.
Da questo punto di vista,
nonostante le incertezze, i rinvii, gli interventi col cacciavite e così via, qualcosa di buono in questi anni è stato realizzato: è stato scritto un curricolo progressivo, essenziale e continuo, che coinvolge la persona dai tre anni ai dodici anni.
Contemporaneamente non è stato abbandonato il valore della specificità  delle singole fasi della età evolutiva: non si può infatti non tener conto dei diversi stili di apprendimento e delle diverse capacità naturali che si manifestano solo in una determinata fase evolutiva (si pensi ad esempio alle capacità di astrazione, alla logica ecc…).
E allora piuttosto che ridurre il numero di anni complessivo, se proprio si vuole parlare di struttura e di organizzazione , meglio sarebbe apportare aggiustamenti nella fascia di età tra i 13 anni e i 19 anni, assegnando ad esempio un anno in più alla scuola media, per darle modo di completare la sua azione nei confronti della preadolescenza, una età difficile, tempestosa, piena di cambiamenti.

Sento comunque di dover fare un appunto alla pedagogia del curricolo insita nelle indicazioni nazionali: non mi convince il fatto  di aver calibrato la formazione in prevalenza sul concetto di competenza, come fosse questo il solo elemento  capace di unificare il sapere ed il saper fare. Si pensava forse,  in questo modo, di  riuscire a legare la scuola al mondo del lavoro. Ma un conto è il lavoro ed un conto è la cultura del lavoro. La cultura non è infatti solo conoscenze, competenze o abilità  è anche saper essere , è anche giudizio, senso critico, creatività, ricerca e progetto.
E’ ciò che consente (permettetemi una estrema semplificazione) ad uno che non sa scrivere poesie di poter capire e “gustare” una poesia.  Lasciamo dunque che le riforme , ancora non a regime (che hanno lasciato intatti i 13 anni di durata complessiva del percorso scolastico)  dispieghino completamente le proprie possibilità formative.
Che senso ha  ridurre la durata della scuola superiore in corso d’opera? La scuola è stata oggetto di  tali e tanti  interventi legislativi in questi ultimi anni, che non sente davvero  il bisogno di un ulteriore stravolgimento.

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