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I problemi della valutazione dopo la legge 169

16.02.2014

Scuole e docenti responsabili dei risultati. È una parola!
di Antonio Valentino

 

Un discorso tabù

Parlare oggi della questione docente – indubbiamente cruciale se si vuole invertire l’attuale tendenza al declino - penso significhi necessariamente e, per alcuni versi, soprattutto, misurarsi col tema della responsabilità sociale degli insegnanti (e delle scuole in genere).
Responsabilità sociale legata al  “render conto” delle cose che si fanno e di come si fanno  e dei risultati che si ottengono  o non si ottengono.
Quella delle responsabilità dei docenti (e dei DS e delle scuole in genere)
rispetto agli esiti scolastici degli studenti è - come è risaputo - questione delicata e complessa, perché  il successo e l’insuccesso  a scuola non dipendono solo dalla qualità dei percorsi di insegnamento; dietro i risultati  infatti ci sono anche questioni che hanno a che fare con le caratteristiche degli ambienti familiari e  del contesto sociale degli allievi,   con le storie individuali (esperienze, occasioni …), oltre che con il DNA di ciascuno.
Tutto questo indubbiamente porta a relativizzare – più o meno, a seconda delle diverse visioni che si hanno delle questioni che entrano in gioco - il livello di responsabilità rispetto alla “riuscita” degli studenti,  ma certamente non l’annulla.
La complessità e la delicatezza del tema non possono comunque oscurare alcuni aspetti e comportamenti  ricorrenti nella vita delle nostre scuole. 
Chi ha esperienza di gestione o di sola partecipazione ai Consigli di classe, non necessariamente finalizzati agli scrutini finali, sa per esempio  che l’insuccesso scolastico, soprattutto da parte di quei docenti che hanno un numero elevato di insufficienze nella propria materia, viene messo generalmente in carico ai soli studenti.
Responsabilità soggettive, per molti insegnanti, zero.
Di altri - compresa madre natura - praticamente tutte.

L’idea ancora prevalente

 L'idea prevalente di sė ė ancora quella di chi pensa di assolvere ai propri compiti professionali mettendo al centro del proprio impegno, l'attività di insegnamento fermo al trinomio spiegazione - interrogazione - valutazione.
Il cambiamento di ottica (l'insegnante che si preoccupa che lo studente apprenda, che tutti gli studenti apprendano secondo le proprie possibilità e attitudini), non c'è stato ancora. Certamente si sono fatti passi in avanti importanti rispetto ad alcuni decenni fa, quando l'insegnante non doveva preoccuparsi d'altro che di fare delle belle lezioni (quando era in grado di farle), dare voti, promuovere o bocciare. Ora c'è senz'altro una maggiore sensibilità, ma l'idea che il successo e l'insuccesso dipende molto da lui - e dal tipo di intesa che riesce a stringere con i colleghi del suo Consiglio - non ė ancora diffusa. O, almeno, non è prevalente.
Che la crisi del nostro sistema formativo sia anche la conseguenza di questa mancata riforma nei comportamenti e più in generale nel modo di percepire la professione (anche a seguito dei cambiamenti indotti dalla scolarizzazione di massa, ma non solo), ė cosa che non può essere negata.
Come ė indubbio che questa mancata riforma ė soprattutto il frutto di politiche del personale non certo pensate per dare qualità al nostro sistema, di riforme parziali e generali pasticciate e incoerenti e di misure attuative e di accompagnamento che non andavano bene neanche sulla carta.
Pertanto una considerazione diversa, da  parte dei docenti, del proprio lavoro e il sentirsene responsabili rispetto ai risultati che ne conseguono, non ė un problema trascurabile, ma ė parte centrale dell'intera questione docente. E quindi di un ragionamento complessivo che punti a portare la nostra scuola fuori dall'attuale situazione di demotivazione e di diffusa irresponsabilità (per i risultati di apprendimento dei propri allievi).
Portare al centro dell'attenzione la responsabilità della scuola - e quindi delle sue figure centrali - rispetto agli esiti del lavoro scolastico  non ė pertanto obiettivo da poco, sotto molti aspetti.
Nelle scuole se ne parla poco, perché forse si pensa che, a parlarne, si voglia quasi offrire  alibi e giustificazioni all’Amministrazione e alla polica, per le loro inadempienze, ma soprattutto per la mancanza – e non da oggi - di una visione coraggiosa e motivante (credibile) di cui il nostro sistema di istruzione ha sempre sofferto – salvo che per alcuni limitati periodi -.
I ragionamenti che qui si fanno non sono dunque relativi alle responsabilità di vario tipo (civili, dirigenziali, disciplinari, penali), che  le disposizioni normative opportunamente prevedono per i dipendenti dell’Amministrazione Pubblica, nei casi di inosservanza dei propri doveri professionali (omissioni o azioni carenti o comportamenti inadeguati o peggio).

Sfera etico-professionale e profilo del buon insegnante

Il senso di responsabilità rispetto ai risultati al centro di questa riflessione  attiene piuttosto alla sfera etico-professionale di chi opera nella scuola e che è comunque cruciale per “vedere”, progettare e accompagnare i cambiamenti necessari.
Potremmo definirlo “valore aggiunto” (se il termine non fosse abusato), in funzione dell’innovazione e del miglioramento. E include atteggiamenti e comportamenti riferibili soprattutto

Quindi al sentirsi responsabili del successo o insuccesso dei propri studenti.

La responsabilità percepita in una ricerca sul campo

L’interrogativo specifico qui al centro del ragionamento  è  soprattutto il seguente: il senso di responsabilità soggettiva e di gruppo va considerato soltanto rispetto alla sfera etica oppure ha un valore sociale e come tale va considerato e promosso?
Ricerche in proposito, dell’ultimo decennio, condotte in paesi del Nord America ed europei (v. nota bibliografica) confermano sostanzialmente  l’idea che il sentirsi responsabili degli insuccessi (ma anche artefici dei successi dei propri allievi) aiuta a diventare dei buoni insegnanti  e anche a vivere meglio (in termini meno stressati o “arrabbiati” o demotivati) la professione.
In Italia non mi risulta siano stati condotti studi specifici al riguardo. Perciò ho letto con interesse i risultati di una ricerca condotta nella provincia di  Parma su “Insegnanti e responsabilità percepita: uno studio empirico” della prof.ssa  Alessandra Cremaschini[1], condotto sulla base di stimoli e strumenti operativi degli studi realizzati nei paesi prima citati.

Si tratta di una tesi svolta per un Corso di Laurea in Psicologia scolastica e di Comunità presso l’Università di Parma, che conferma, per quella provincia, quanto già emerso negli studi ricordati;  ma anche percezioni diffuse tra  chi sa di cose scolastiche.

E cioè che

1.     Sentirsi – ed essere – responsabile dei risultati scolastici è atteggiamento culturale e professionale che aiuta l’insegnante a rapportarsi meglio con i propri studenti e  a migliorare le proprie competenze professionali, in vista di risultati positivi o più positivi del proprio insegnamento.

2.      Il sentirsi - ed essere - responsabili degli esiti formativi dei propri allievi è fortemente favorito da fattori interni ed esterni alla scuola (un certo clima, politiche di coinvolgimento nelle scelte), ma anche da attitudini personali e dalle motivazioni che sono state alla base della scelta di fare l’insegnante.  Questo risultato della ricerca è particolarmente importante perché interpella le competenze del DS rispetto al clima di scuola e al convolgimento dei docenti per promuovere un più alto senso di responsabilità e favorire una qualità professionale più elevata. Ma , forse, ancor prima, interpella chi (in primis il MIUR) ha il compito di favorire una professionalità più alta di docenti e DS,  a valorizzarne  l’impegno e a convolgerli nelle scelte educative di politica scolastica. E rimanda alle politiche del personale, come quelle per la selezione, la formazione, la valorizzazione, …. .

3.     Adottare comportamenti professionali in linea con un’etica che assuma la responsabilità rispetto agli esiti come scelta socialmente apprezzabile porta ad accrescere  il prestigio e la considerazione sociale della categoria. Oltre che essere soggettivamente “autoefficace” e gratificante. Tale esito non sarebbe poi senza ricadute positive per il funzionamento del sistema. Risultando - i comportamenti conseguenti – di fatto coerenti con strategie organizzative quali quella della rendicontazione sociale e con un principio cardine nella PA: quello della trasparenza.

Ma cos’è risultato?

Resta sullo sfondo - nella ricerca -  il grosso interrogativo su cosa è “risultato” del fare scuola e quindi la natura delle responsabilità connesse.
Interrogativo di non facile risposta, se è vero come è vero che, volendo fare i conti con la situazione di casa nostra, anche le (relativamente) recenti Indicazioni Nazionali - per il Riordino del secondo ciclo e per il Curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo – offrono certamente  piste utili a questo proposito. Ma è difficile negare che non siano ancora troppo  generiche e di non facile gestione, sia ai fini del lavoro di progettazione formativa delle scuole, sia delle responsabilità sociali dei singoli e delle scuole.

Senso di responsabilità: non basta auspicarlo

Comunque, quello che preme sottolineare, a conclusione di questi ragionamenti  è che, l’auspicabile scelta di dare forme definite al senso di responsabilità riguardante il successo e l’insuccesso scolastico, va vista come un aspetto non marginale della valorizzazione dell’insegnante e del suo ruolo. E che quindi non può essere affrontata solo con eventuali sorrisi di apprezzamento. Ma va esplicitamente favorita (con percorsi formativi ad hoc – anche attraverso  ricerca e sperimentazione - da promuovere in modo generalizzato) e incentivata.
Una amministrazione attenta alla qualità del sistema dovrebbe perciò saperne  cogliere il valore strategico, senza per questo imbrigliarlo in un rapporto di lavoro formalmente vincolante. Sappiamo infatti che queste cose con funzionano se diventano richieste di comportamenti regolamentati.

Per dare concretezza

A questo punto però, se si vuole dare concretezza al discorso delle responsabilità nei termini considerati, è necessario approfondire i contenuti degli aspetti professionali a cui rimanda,

Ma è necessario anche prevedere le modalità dei riconoscimenti e della valorizzazione. Come?
E qui ritorna il tema ineludibile degli investimenti (risorse aggiuntive nel Fondo delle IS in primi luogo) e dei crediti professionali (per quanti ritengono di investire su questi terreni e darne conto).  Per i quali non creda ci sia bisogno di ricorrere a questionari nazionali.

 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (dalla Tesi, cit.)

Euridyce, (2008). Levels of Autonomy and Responsibilities of Teachers in Europe. Brussels: Eurydice.

Lauermann, F., & Karabenick, S.A. (2013). The meaning and measure of teachers’ sense of responsibility for educational outcomes. Teaching and Teacher Education, 30, 13-26.

Matteucci, M. C. (2007). Teachers facing school failure: The social valorization of effort in the school context. Social Psychology of Education, 10(1), 29-53.

Matteucci, M.C. (2008). Transferring Corporate Social Responsibility to the School context: teachers’ perceived responsibility for students’ failure. In: Adam R. Timpere (Ed.), Corporate Social Responsibility (pp. 207-220). New York: Nova  Science Publisher.

 


[1] Il campione era composto da 151 insegnanti di tre scuole Secondarie di II grado della provincia di Parma. È stato somministrato un questionario composto da scale di strumenti presenti in letteratura (Teacher Responsibility Scale; Factors Influencing Teaching Choise Scale; Patterns of Adaptive Learning Scale; School Climate; Theories of Intelligence Scale)

 

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