Direzione didattica di Pavone Canavese


 

(20.12.2010)

Scrivevo Occupazione con la C... - di Marina Boscaino

Spinaceto, periferia di Roma. Nanni Moretti la attraversa in Vespa in uno degli straordinari episodi di Caro Diario.

Quando facciamo “orientamento”, aprendo la scuola alle famiglie dei ragazzi di III media che hanno intenzione di iscriversi, alcuni genitori si preoccupano di chiedere se a scuola ci vengono i rom di un vicino campo, quello di Tor de’ Cenci, continuamente in odor di chiusura.

Pazientemente occorre spiegare che i rom – purtroppo - evadono di norma l’obbligo scolastico, figuriamoci se pensano di frequentare il liceo classico.

La realtà del Plauto è tutt’altro che problematica. Quella che si respira nella scuola è – semmai – un’atmosfera particolarmente tranquilla: figli di famiglie borghesi (come di norma sono quelle degli studenti del liceo classico). I rom sono altrove, dall’altra parte della Pontina. Qui ci sono altri ragazzi, certamente più fortunati,  come dimostra l’episodio che sto per raccontarvi.

Nel fiorire di occupazioni che hanno scandito la vita delle scuole nelle ultime settimane, anche da noi gli studenti hanno ritenuto opportuno far sentire la propria voce.

La richiesta è stata veicolata – oltre che tra loro, nel contatto che ognuno, grazie alla Rete, è in grado di trattenere con altre realtà, acquisendo in tempo reale notizie sulla gestione della protesta da parte di altri istituti di zona – anche ad alcuni docenti: un riconoscimento di autorevolezza, un’interlocuzione attiva, una richiesta di sostegno.

Sono i figli del mondo senza politica, nel senso della cura dell’interesse generale.  Sono i figli della spettacolarizzazione dell’evento, dell’inveramento della realtà solo attraverso l’accensione della telecamera, che scruta e che restituisce l’unica legittima testimonianza di veridicità all’evento; altrimenti non si esiste. Sono i figli di un mondo che ha rinunciato a spiegare la complessità del reale e che declina formule semplificative e di facile impatto, per tacitare coscienze e rendere più deboli i deboli.

Perché questi ragazzi dovrebbero essere in grado di organizzare una contestazione convincente e produttiva? Quali sono i loro referenti, quali adulti – politici, intellettuali, insegnanti – si sono preoccupati di fornire risposte convincenti ai loro perché? Di provare a fornire risposte? Esiste qualcuno che si sia effettivamente preso cura della loro dimensione politica, in questa volgare interpretazione che omologa la politica ad intervento illegittimo, la critica a lesa maestà (Brunetta e il codice di comportamento nella pubblica amministrazione; lo spettro del ’68 sventolato come peccaminoso e funesto spauracchio; l’incapacità di distinguere pochi facinorosi, probabilmente eterodiretti, da una massa di giovani pacifici e consapevoli, colpevolizzando gli uni e gli altri in un’unica stigmatizzazione)?

Inizialmente abbiamo letto – io e i miei, quelli delle mie classi - la legge. L’assemblea seguente li ha visti interrogarsi sull’opportunità o meno di occupare la scuola. Ciò che mi ha maggiormente stupita è stata la capacità di contenimento delle spinte più istintive e aggressive che pure erano presenti alla riunione. Il problema della illegittimità di un’occupazione è stato considerato dirimente per la scelta successiva. Quelle che ho ascoltato sono state parole di riflessione: il tentativo di capire – la riforma, quello che sta succedendo, come agire nella maniera migliore – ha prevalso sul resto.

È stata una prova di straordinaria maturità, considerando i presupposti di cui dicevo e che non possiamo continuare a rimuovere: per la prima volta alcuni ragazzi hanno sentito la necessità di manifestare direttamente il proprio dissenso. È una decisione che va incoraggiata, aiutandoli ad autodeterminarsi nella maniera più corretta e a fare di questa opportunità un esercizio di cittadinanza consapevole.
La votazione dell’assemblea ha determinato la scelta singolare: senza interrompere le lezioni della mattina, a partire dal pomeriggio la scuola è stata occupata per 3 giorni consecutivi, sino alla mattina seguente: i giorni più freddi che Roma ricordi negli ultimi anni.

Li abbiamo trovati alle 8.00, orario di entrata, che aiutavano i collaboratori scolastici a sistemare i locali nei quali avevano dormito, a spazzare l’atrio, a rimuovere i banchi. Durante i pomeriggi hanno socializzato, organizzato conferenze, approfondito, suonato. Battute di nascondino, alla sera, nei locali della scuola. Hanno fatto – alla loro maniera – prove tecniche di cittadinanza. Senza distruggere, senza sfregiare. Continuando a far lezione la mattina.

Riconoscete l’identikit della contestazione che alcuni media stanno proiettando in questi giorni? Certo, è più facile la caccia all’untore – nell’approssimarsi della tormentata imminente discussione della “riforma” universitaria – che l’ascolto attento (e magari l’interlocuzione) – con i tanti studenti superiori (molti di coloro che hanno “occupato” il Plauto erano in piazza martedì scorso) e universitari che hanno animato della propria voglia di esserci e di intervenire e partecipare queste settimane invernali. Non è che uno dei tanti, marchiani e irresponsabili errori che questo governo sta facendo.

 

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