Direzione didattica di Pavone Canavese

 

Quaderno di scuola - a cura di Marina Boscaino

(28.09.2009)

Aria condizionata - di Marina Boscaino

La bellezza è talento” è stato quest'anno lo slogan di uno dei più tradizionali e sconcertanti rituali che la televisione pubblica propina: Miss Italia. Uno slogan che ha giocato evidentemente o sulla disattenzione dei telespettatori, incapaci di attribuire il giusto significato ad una parola. O, è più probabile, sullo slittamento non solo semantico, ma antropologico, culturale, etico del senso che le parole hanno. Uno slogan che marca ancora di più il baratro di un sistema di valori completamente disincantato rispetto alle scelte del passato, che declina indisturbati principi che non rispondono ad una organizzazione del mondo che preveda capacità, attitudini, passioni, intelligenze, studio. È un messaggio – non più subliminale, ma esplicito e sfacciato – che dai media rimbalza sul mondo giovanile, senza tener conto delle pesanti conseguenze che può produrre.

Lo scorso anno tennero banco le critiche rivolte a miss Emilia - Benedetta Mazza - colpevole di essere nientemeno che una taglia 44.

La polemica che ne derivò fu tamponata sostenendo che la commissione tecnica del concorsi è “come un papà per le ragazze e si permette di fare delle osservazioni per migliorare il loro aspetto fisico. E’ vero, le hanno detto dimagrisci un poco, ma era solo un suggerimento. La nostra è una giuria composta da professionisti. Patrizia Mirigliani dice sempre che dobbiamo essere come una scuola per le ragazze e cercare di migliorarle».

Chi frequenta gli adolescenti oggi sa che il nostro è un mondo in cui – sempre più – la promettente diagnosi “sana e robusta costituzione”, un tempo affermazione positiva, rischia di diventare una sentenza fatale: la stigmatizzazione, la condanna a far parte del popolo dei forzati della bilancia, delle diete – a punti, dissociate, solo frutta, niente frutta, solo proteine, niente carboidrati -, dell'ansia, del batticuore ogni volta che il fatidico passo, l'immobilità assoluta, il tentativo di poggiare sull'esterno della pianta dei piedi (così mi sento più leggera...) porta l'ago sopra o sotto i 60 o i 50, a seconda dell'altezza.

Parliamoci chiaro. Noi generazione del gonnafiorismo e degli zoccoli olandesi, dei maglioni fatti a mano e dei jeans usati larghi e sdruciti che occultavano sapientemente qualunque anomalia ponderale, avevamo qualche punto in più, oltre a una moda indulgente e democratica, esibita anche con il fiero senso dell'appartenenza politica: una televisione non pervasiva.

Le osservo oggi, le mie studentesse: al di là dei luoghi comuni, quello che si addice loro di più è il termine freschezza. E più il tempo passa, più il divario generazionale tra loro e me aumenta, più mi scopro a provare quel sentimento da cui mi sentivo inizialmente immune, quasi sdegnosamente lontana: la tenerezza. Tenerezza per la loro vita tutta da costruire, per le pieghe del destino in cui scivoleranno lievemente o incapperanno bruscamente; tenerezza per il fatto che sono donne giovani, alla ricerca disperata di un'identità o di un'omologazione. O di un'identità nell'omologazione. Alla ricerca di qualcosa, purché sia qualcosa. Hanno giocato da bambine con Barbie coscialunga, bionda e dall'occhio turchese, nella sua bella casa, roulotte, cottage, icona della self-perfezione a stelle e strisce e della supremazia della bellezza patinata. Sono letteralmente tormentate, giorno dopo giorno, da opinioniste, veline, attrici, famose varie che nell'isola esibiscono tette che sfidano la forza di gravità, capelli che non temono la ricrescita, gambe affusolate prive di cellulite. E ora da veline diventano persino ministro: il ministro più bello del mondo, a tentare di dissuadere quelle poche sacche di coraggiosa resistenza che tra le diciottenni di oggi si sottraggono al must di un'equazione impropria tra bellezza e successo, merito, potere, talento. Che rifiutano l'idea che intelligenza, preparazione, cultura, autonomia di giudizio siano optional e credono che valga la pena adoperarsi per affermarne il primato. Che sfoderano con noncuranza qualche rotoletto di ciccia sulla pancia lasciata allegramente a disposizione dei tristi sguardi impietosi delle amiche filiformi, autocensorie, infelici. Che boicottano la macchinetta erogatrice sia di Vitasnella che dell'orrida merendina e addentano con gusto il panino o la pizzetta. Fiera affermazione della propria diversità o sconfitta rassegnazione? È difficile entrare nelle loro menti e nei loro cuori, al di là dell'apparenza, della sicurezza ostentata, della spavalderia C'è di tutto, tra le adolescenti. C'è anche, purtroppo, la possibilità, nel bel mezzo di una lezione, di dover interrompere per un'improvvisa emorragia dal naso; di assistere a fughe precipitose verso il bagno per vomitare il nulla (quello che hanno dentro, quello che hanno intorno). E di osservare il penoso deperimento quotidiano, progressivo e implacabile, di “taglie 38” che si vedono grasse. E' difficile essere attrezzati a far fronte a situazioni del genere; comprendere fino in fondo che ciò che queste giovanissime donne vedono riflesso nello specchio è la proiezione di un'inadeguatezza che mercato, spettacolarizzazione della vita quotidiana e intima e mancanza di risposte al disorientamento esistenziale impongono con forza impietosa.

Il papà e la scuola, con la loro portata simbolica (l'autorevolezza, l'affetto, la cura, l'educazione) della risposta da Salsomaggiore appaiono allora una ancor più irresponsabile strumentalizzazione, nel tentativo di sublimare una mercificazione dell'immagine che transita attraverso parametri pericolosi. Pericolosi in senso stretto, perché possono provocare la morte. Pericolosi in senso etico, perché istituzionalizzano cliché che la società tutta paga in termini di costi economici, culturali, esistenziali. Tutti sappiamo, infatti, che – nonostante la sorridente risposta di Benedetta Mazza – dai disturbi dell'alimentazione scaturiscono quotidianamente drammi personali e familiari. L'unico talento da favorire è forse quello di riuscire a non rimanere vittime delle lusinghe di immagini pericolosamente stereotipate.

torna indietro