Direzione didattica di Pavone Canavese

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06.12.2008

Sono le scuole paritarie la vera "emergenza educativa"
di Ennio De Marzo

 

Quando si parla di scuole private o paritarie si dimentica spesso un dato molto significativo: la loro percentuale sul totale delle scuole italiane si assesta intorno al 21 per cento (una su cinque), mentre il numero degli alunni che le frequentano non supera il 10 per cento (uno su dieci). Numeri che smentiscono coloro che da tempo parlano di “emergenza educativa”, puntando il dito sulle scuole pubbliche. Se tale emergenza esistesse, infatti, il numero degli alunni che frequentano le scuole private o paritarie non sarebbe così basso. E non si venga a dire che costano troppo, perché da quasi dieci anni, ormai, vengono finanziate nei modi più disparati. Di più: se proprio si vuole parlare di “emergenza educativa”, allora è proprio a queste scuole che bisogna fare riferimento. La nota indagine OCSE-PISA 2007 (Programme for international student assessment), che media e politici hanno strumentalmente utilizzato per denunciare lo stato della nostra istruzione pubblica statale, in realtà evidenzia il disastro delle scuole paritarie. Il report prende in considerazione più di ventimila studenti italiani di quindici anni, sia delle scuole pubbliche sia di quelle paritarie. Ebbene, dal ramo scientifico a quello letterario, il livello degli studenti delle scuole pubbliche statali supera di gran lunga quello dei coetanei delle scuole paritarie, sebbene nella cosiddetta Literacy di Matematica il dato non sia confortante per nessuno. Insomma, sono soprattutto gli alunni e le alunne delle scuole private o paritarie a determinare il pessimo risultato complessivo del nostro sistema di istruzione. Le paritarie non sono affatto la risposta all'emergenza educativa, al contrario: rappresentano tale emergenza!

Di fronte ad un simile scenario, una classe dirigente degna di questo nome non potrebbe altro che prendere atto del fallimento del sistema educativo e di istruzione privato, decretando la fine dei finanziamenti pubblici, per altro vietati dalla Costituzione, e deviando tali risorse laddove si annidano le eccellenze, verso le scuole pubbliche statali, ammodernando i suoi edifici, le sue strutture, i suoi laboratori; pagando di più i suoi docenti, rinnovando i programmi, gli obiettivi, le finalità, assumendo personale più giovane eccetera. E invece? E invece si procede a pesanti tagli che solo in apparenza si possono definire indiscriminati. A non essere assolutamente toccati, infatti, sono gli insegnanti di religione cattolica, una materia facoltativa, dunque seguita da un numero di studenti sicuramente inferiore rispetto ad altre materie, molte delle quali rischiano di sparire. E quando si paventa il taglio di parte dei finanziamenti pubblici ad istituzioni private, come è successo di recente, si fa rapidamente marcia indietro di fronte alla dura risposta della Chiesa cattolica. A tutti gli altri docenti, al personale Ata, ai genitori dei figli che frequentano la scuola pubblica statale non sono bastati scioperi e manifestazioni nemmeno per aprire un tavolo di trattativa con il governo, anzi, li si è pesantemente minacciati di un duro intervento ogni qual volta hanno fatto sentire la loro voce.

Sappiamo come andrà a finire questa storia, perché in fondo non è mai cominciata. Nessuno, quanto meno negli ultimi anni o forse decenni, ha mai considerato il sistema di istruzione pubblico e statale come una risorsa, ma solamente come uno spreco. In molti, però, continuano a vederlo come una pericolosa fucina di pensiero critico, quasi un centro di sovversione. Nel nostro paese, ormai, o si è passivi consumatori, o folla che plaude alle performance di un ministro come a quelle di un presentatore televisivo (il che, poi, spesso è la stessa cosa) oppure si rischia di passare per nemici pubblici.

E a proposito di pubblico, i soldi, quelli di chi le tasse le paga davvero, sappiamo ora che continueranno a finire in scuole nelle quali la tanto decantata qualità non è mai stata di casa, le private. Per le scuole statali, sempre più depauperate e perciò costrette ad affidarsi a fondazioni private, il destino è segnato: regrediranno allo stesso livello di quelle paritarie, cioè le peggiori d'Europa. Il cerchio si sta per chiudere: la tanto agognata parità si sta finalmente per realizzare, tutta al ribasso, però, con privilegi e privilegiati sempre al loro posto, anzi più forti di prima e con un sistema di istruzione che ricorda, nemmeno tanto vagamente, quello degli anni Cinquanta.

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