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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(01.10.2014)

Gli insegnanti di sostegno, Dario Ianes,  e la retorica caciara
di Raffaele Iosa


Leggo, con stupore, una durissima nota di Tiriticco contro la proposta di Ianes  per andare oltre gli insegnanti di sostegno. Allarmi strani, questi di Tiriticco, e a mio avviso fuori luogo. D’altra parte mentre di esami di stato  io prima “ascolto” (lui giustamente “parla” perché ne sa più di me), qui invece si occupa di temi  che forse andrebbero meglio studiati, o quanto meno “ascoltati”.
In questa vicenda ci sono alcuni paradossi. E’ noto che io mi sono battuto contro la “filosofia BES” del MIUR,  ma affermo per certo che questa non ha mai avuto “trame oscure”,  disvelate da Tiriticco,  per ridurre o ridistribuire i docenti di sostegno.  Perfino il documento “La buona scuola”  sulla disabilità parla con enfasi solo di insegnanti di sostegno, del loro aumento, ma (per me purtroppo) non dice altro sulla crisi qualitativa dell’integrazione scolastica, che sta portando alla “grande finzione” di una scolarizzazione che è di fatto in moltissimi casi “isolazione”.
C’è ancora un altro paradosso. Sulla questione BES  io non ho condiviso la scelta di Ianes di favorire la negativa operazione del MIUR  sui BES,   per le tante ambiguità che la dominante iatrogenesi sta provocando non solo a scuola ma nella società (si veda la novità della “ludopatia”). Una medicalizzazione della scuola con il rischio di nuovi stigmi. In questa discussione Tiriticco condivideva la critica. Dunque sui BES ero d’accordo con Tiriticco e meno con Ianes!  Questo volta, invece,  è esattamente il contrario. Dunque qualcosa non va? O è solo democrazia?
E’ noto, ad esempio, che io mi batto da anni contro la Legge 170 sui DSA che impone tecniche isolazioniste ai ragazzi con “difetti”  in lettura e scrittura e calcolo, perché ha “contrattualizzato” la didattica in un tira e molla per avere “dispensa/compensa” a gogò senza alcuna responsabilità, e che è alla base anche dei rischi anche con la filosofia BES. Considero dispensa/compensa una parte (neppure decisiva) della didattica individualizzata di cui hanno necessità molti ragazzi a prescindere da dottori, malattie di moda, ideologismi sociali, una didattica fondata sull’art. 3,4 e 5 del Regolamento Autonomia e non “concessa da una legge”, quindi offerta a tutti quelli cui servono, senza ricatti contrattualistici. Ma tant’è. Chi ne parla?
Questa volta sull’argomento “superamento dell’insegnante di  sostegno”, invece io  sono del tutto d’accordo con Ianes  per ragioni che nulla hanno a che vedere con i posti di sostegno né con i BES.
E le ragioni sono tutte pedagogiche e non di contrattualismo né di organici.  A vedere com’è oggi il sostegno  dobbiamo amaramente ammettere che siamo alla fine dell’integrazione come pensata negli anni 70. Affiora da tempo  un “falso pedagogico” che ho chiamato “isolazione” in un saggio pieno di dati di un anno fa. La presenza a scuola di alunni disabili è di anno in anno sottoposta ad una deriva che li porta ad essere “ospiti” della scuola ma non  (più) “parte attiva” della formazione comunitaria. Quello che manca a tanti disabili nelle nostre scuole non sono i docenti di sostegno ma…i loro compagni di classe.  Accerchiati da sostegni solitari, sempre più fuori della classe. Sempre più, non sempre meno.  Il falso enfatizza il mito che solo “tante ore di sostegno” fanno integrazione. C’è una materiale crisi che rovescia le cause con gli effetti:  il grande aumento di ore “fuori classe” degli alunni h come “soluzione”, una riduzione robusta della cooperazione educativa, sempre meno (direi sempre mai) l’insegnante di sostegno  considerato  “risorsa della classe” ma  invece lo “specialista del disabile”, come se il disabile  fosse un’umanità specialissima lontana da tutti. Cosa (e  spiace molto) che Tiriticco fa citando  la “grande distanza”  tra alunni h  e gli altri.  Forse Tiriticco non conosce, ad esempio, le ricerche di Renzo Vianello sull’”intelligenza emotiva” dei ragazzi Down, nettamente superiore a quella dei “normali”, che potrebbe essere “risorsa vera della scuola”.  Io invece penso che l’intelligenza eterogenea di tutti gli alunni che imparano insieme (insieme!) sia la vera sfida dell’integrazione, sfida che si sta perdendo.
D’altra parte, nella mia regione nel decennio gli alunni sono aumentati del 20%, i docenti del 10%, ma  quelli di sostegno del…60%.  Perché?  Non è difficile dirlo, tra le tante cause una si chiama certo Gelmini, con la scomparsa delle compresenze, le classi pollaio,  la mania sul “merito” diventato gara, ma un’altra si chiama incapacità sociale a gestire le tante eterogeneità che la globalizzazione porta nelle nostre aule. Insegnare oggi è certo più difficile, e la ricerca spasmodica di ore di sostegno diventa un “surrogato” di risorse dove è possibile pescarle. Dunque, davanti al caotico caos educativo, il “sostegno” diventa una “cosa speciale” per quelli “lontani”, e il sostegno diventa una soluzione di “alleggerimento” ai tanti   problemi degli altri (Bes o non BES), ma non  una soluzione per la disabilità, anzi si fa anticamera di più isolazione! 
Concorre, naturalmente, l’individualismo sociale, il mito del “Dio Misura”, ma anche curricoli non rispettosi della molteplicità delle intelligenze, dei potenziali e delle resilienze di ognuno.  Potenziali e resilienze ormai scomparsi dall’educativo, sostituiti dai miti dei “disturbi”, dei “sintomi”, delle tecniche di apprendimento. Tutti ammalati, insomma, ma non persone. Pochissimi hanno parlato, ad esempio, dell’esclusione dei disabili dalle prove INVALSI come vergogna!  I disabili, insomma, sempre più “distanti”.. E le famiglie, vittime del mito medicale e  delle “tecniche” per “guarire” (e non delle didattiche per crescere insieme), spinte dalle umane ansie dei docenti perché troppi sono gli alunni complicati (ed è vero) che fanno? Non chiedono integrazione, ma vanno in tribunale a chiedere… ore di sostegno, così i loro figli vedranno i compagni forse (forse) solo a merenda! Accompagna tutto  questo una gestione dei posti di sostegno demenziale,  ed un uso di quei posti  in modo “improprio” come scorciatoie per entrare nei ruoli. La continuità del sostegno, poi, non esiste.
C’è una letteratura vastissima su questi temi che parte dalla Relazione al Parlamento 2000 che scrivemmo nell’ Osservatorio per l’integrazione berlingueriano di quegli anni, che diceva già molto prima della ricerca della fondazione Agnelli (e secondo me  meglio)  i punti critici, e già delineava rischi di deriva isolazionista. Già in quegli anni si intravvedeva la necessità di “andare oltre” al mero sostegno come posto di lavoro.
Gli snodi più delicati da cui parte Ianes (e anch’io) sul tema integrazione  riguardano “la delega” al docente di sostegno del sostegno e l’assenza di formazione  pedagogia speciale per tutti (che non è lo specialismo scientista ma lo skaffolind minimo di ogni docente, anche di quelli di greco!).
Queste due condizioni creano una “falsa integrazione”, che non ha  a che vedere con il numero dei posti di sostegno, ma con la deriva isolazionista sempre più violenta, spinta anche dalle lobby delle varie “malattie” (dottori e famiglie frastornate)  che chiedono  isolazionismo e non comunità.
Capisco che la proposta inquieti i docenti di sostegno, ma vorrei far riflettere loro come spesso la loro encomiabile fatica è ostacolata, non favorita, dai colleghi che delegano ma non scambiano. Sono loro che ci hanno insegnato che si deve andare in classe e stare insieme. E’ questa la prospettiva, e non serve una qualche corporativa difesa di alcunché perché non neghiamo il loro lavoro, ma il come questo viene dato dalla burocrazia scolastica. Questa proposta vorrebbe trasformarli in positivo con le ragioni del lavoro comunitario e non di quello delegato nell’auletta.
Inoltre la proposta di Ianes non è affatto l’allargamento a tutti i BES degli stessi posti di sostegno. A proposito di BES (che ripeto mi ha trovato ostile) ricordo però che ci sono da sempre bambini e ragazzi in difficoltà, che non serve un certificato ma una qualche didattica utile sì, visto che lo stesso Tiriticco esclude che il docente sia solo un trasmettitore di discipline. E questa didattica è dovere per tutti! Non sono così cieco, infatti, per non vedere il rumoroso aumento delle difficoltà dell’anima, a vivere, soprattutto ad essere. Le nostre classi sono piene di eterogeneità, non tutta felice. Dunque un tema di cui dobbiamo preoccuparci a prescindere dal MIUR e dalle circolari sui BES. Una eterogeneità che rischia la medicalizzazione esasperata, perfetto alibi per dire che “non è colpa nostra” (della persona, dei genitori, degli insegnanti), ma di un neurone o di un gene, che l’educazione non serve ma servono tecniche. La fine del pensare educativo. E la fine delle persona, perché tutto è dato dal sintomo, dall’ormone, mai l’io colpevole e neppure mai l’io responsabile.
Mi piacerebbe rileggere con Tiriticco e Ianes “Nemesi medica” di Ivan Illich: è in gioco molto di più degli organici o dei posti di sostegno.  L’esperienza degli insegnanti di sostegno migliori e le loro difficoltà ci portano a dire che  il mito dell’insegnante di sostegno “speciale” non risolve, ma anzi rischia (malgrado i bravi docenti) di confermare il tecnicismo isolatorio,  non l’idea di scuola che abbiamo sempre avuto come “normale comunità”.
Dunque l’idea di base di Ianes (e anche mia) non è di abolire “il  sostegno”, né di allargare il  lavoro degli attuali docenti di sostegno ai fantomatici BES, ma di “andare oltre” a separazioni che anche nella forma organizzativa non producono  cooperazione e comunità educativa.
Ad esempio con una pratica di “sostegno diffuso” di cui parla Canevaro da una vita ma che è nelle nostre scuole solo chiacchiera, mentre una ambigua “apologia del docente di sostegno sempre” (forse in alcuni per buona fede)  rischia di produrre solo cattiva e falsa integrazione.
La proposta di Ianes   pensa, ovviamente, ad un processo lungo e complesso,  ma indispensabile. Non c’è una legge né un decreto che preveda tutto questo, c’è solo una sperimentazione a Trento, e già solo questa crea un grande clamore?  Io vedrei con interesse se il nuovo organico funzionale di qualche scuola sapesse “andare oltre” il mero sostegno dell’auletta con una diffusività didattica di “sostegno che impegna tutti”, utilizzando davvero l’autonomia. Utilizzando, peraltro, ciò che dagli anni 70 si dice nelle leggi ma non si fa: la corresponsabilità di tutti i docenti su tutti gli alunni! Parallelamente, come ovvio, si deve  maturare in tutti i docenti (tutti perché “normale”)  competenza di skaffolding delle eterogeneità, perché questi sono oggi tutti i nostri alunni. Un processo da pensare bene, con prudenza per evitare “vuoti” ma anche con coraggio, perché la deriva isolazionista rischia il non ritorno: un fantasma di  integrazione ridotto ad accoglienza posticcia.
Quindi, nella logica dell’organico funzionale, e in un sistema in cui la formazione alle tematiche speciali diventa “normale” sarebbe interessante almeno sperimentare pratiche (come sta facendo Trento) che, in fondo, ripristinano  il pensiero della vecchia-grande Falcucci (che da poco ci ha lasciato) e che nei documenti degli anni 70 sull’integrazione scriveva “non vogliamo inserire gli handicappati nelle scuole perché siamo buoni, e non solo per principi di eguaglianza delle opportunità, ma perché attraverso di loro  cambi tutta la scuola”. Il che non è avvenuto, e la confusione dell’epoca  rischia di buttare il delicatissimo tema dell’integrazione  in retorica caciara.
In questa caciara, c’è perfino chi propone di boicottare i libri dell’editore Erickson, di cui Ianes è proprietario ed anima. Insomma bruciare i libri ancora una volta. Ianes l’ebreo. Cosa curiosa perché la Erickson ha il coraggio da sempre di pubblicare opere di diversissimo approccio teorico, soprattutto quelle molto contrastanti tra loro, visto che si va dal DMS V americano  ad Illich e Recalcati. E onore al coraggio di Ianes,  cui qualcuno potrebbe dire “chi te l’ha fatto fare” e pensa  che  sputi sul piatto dove mangia.
Proviamo invece a credere che la scuola è valida e inclusiva se è composta da una comunità di professionisti riflessivi che lavorano (sempre insieme) non per discipline ma  per ragazzi. So bene le difficoltà e i rischi di andare oltre, ma restare dove siamo oggi sarebbe uno stagno pieno di finzioni.

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