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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(30.09.2014)

Un iter incompiuto
di Giancarlo Cavinato (segreteria Nazionale MCE)

Nel MCE ci siamo interrogati a lungo su cosa  fa una scuola di qualità.
Una scuola di qualità è quella in cui la conoscenza è considerata bene prezioso come l’acqua; in cui non si pratica una didattica trasmissiva, ma operativa, socio-costruttiva, componendo tempi e spazi di apprendimento e tempi e spazi di socialità ed esercizio di partecipazione e cittadinanza. Una scuola in cui ci si  conosce, si rispettano identità e culture, in cui si praticano accoglienza, continuità, passaggi non traumatici fra i diversi segmenti della scolarità.
Nel 2009 abbiamo festeggiato i 40 anni di scuola statale dell’infanzia, nel 2012 i 50 della scuola secondaria di primo grado obbligatoria. Il percorso dell’obbligo è stato recentemente elevato ai 16 anni.
Abbiamo avuto, a decorrere dagli anni 70, una fra le migliori legislazioni scolastiche, tale da mettere la scuola nelle condizioni di adempiere pienamente al dettato costituzionale come era nelle intenzioni dei legislatori e dei riformatori; i Calamandrei, i Parri, i Codignola.
Basti ricordare la legge 820/71 istitutiva del tempo pieno, i decreti delegati del ’74 che davano spazio alla sperimentazione, la legge 517/77, con  le indicazioni sulla programmazione, sulla valutazione formativa, sull’integrazione; i programmi del 79 della scuola media e dell’84 della scuola elementare e gli orientamenti 91 della scuola dell’infanzia; e i PPA della scuola elementare e della scuola dell’infanzia che hanno visto l’intera classe docente dei due ordini di scuola come fruitori di un aggiornamento in servizio sull’intero arco delle attività educative e didattiche. C’è stata poi la legge 148/90 con l’organizzazione modulare della parte di scuola elementare non a tempo pieno. E la stagione dell’autonomia: non solo amministrativa, ma organizzativa, didattica e di ricerca.
La miglior scuola ha saputo cogliere le opportunità consentite da questa legislazione, a volte ampliandole ed arricchendole con il proprio contributo: la trasformazione del tempo pieno da una scuola del mattino con attività integrative pomeridiane a un progetto educativo organico di una giornata scolastica ricca di stimoli, con la contitolarità e la collegialità e le compresenze; le classi aperte e le attività di laboratorio; l’introduzione nei curricoli scolastici della nuova matematica, della linguistica, delle scienze umane e sociali; la non selezione sono state, assieme a molte altre, alcune delle conquiste di civiltà e di cultura che la scuola ha saputo compiere andando oltre le premesse giuridiche  consentite. Perché l’innovazione istituzionale ha bisogno di sostanziarsi con la pratica e l’azione educativa degli operatori/trici.
Eppure qualcosa non ha funzionato in questo percorso di mezzo secolo. Le norme avevano bisogno di essere accompagnate da risorse, da orientamenti, da condizioni concrete per l’attuazione. Siamo rimasti a metà strada, lastricata di buone intenzioni e buone leggi ma senza reali condizioni operative e attuative.
Ci chiediamo per quale assurda ragione è potuto succedere questo. Non abbiamo creduto davvero fino in fondo a quanto andavamo innovando? Lo abbiamo fatto per cavalcare un consenso, per mettere a tacere quanti denunciavano l’arretratezza e l’inadeguatezza della scuola italiana? Mancavano le strutture? E’ stata la cattiva volontà di parte di quanti dovevano rendere effettive e operanti quelle riforme? E oggi, e domani, sarà possibile e come porre rimedio e rendere davvero ‘moderna’  e di qualità questa scuola?
Non si può però ignorare che la società dagli anni ’70 è cambista profondamente e quelle stesse riforme vanno ripensate e riscritte in termini nuovi. La scuola degli anni ’70 non è riproponibile tout court.   Occorre ripensare assieme al ciclo dell’anno scolastico, al ruolo della scuola dell’infanzia nel percorso di orientamento, al tempo scuola, alle forme dell’integrazione, alla progettazione e alla valutazione, ai cicli di scolarità, al contrasto alla dispersione.
Ad esempio, se si pensa di portare a 4 anni la scuola   secondaria, non si può pensare di risolvere con il taglio di un anno le problematiche della verticalità, dell’estensione dell’obbligo a 18 anni,  dell’offerta sostitutiva al quinto anno in termini di prolungamento dell’orario scolastico, del supporto alle fragilità e alle disritmie negli apprendimenti, misure senza le quali si rischia di peggiorare la situazione attuale e di incentivare abbandoni e fughe dalla scuola. 
E‘ necessaria una condivisione sociale della necessità e dell’importanza di un curricolo scolastico che segue i soggetti in tutto l’arco della scolarità. 
Bisogna crederci davvero, nella scuola di tutti e di tutte, e rendere credibili le proposte sostanziandole di un reale riconoscimento dell’importanza della funzione educativa e della relazione educativa.
Un piano di formazione complessivo per tutti gli ordini di scuola dall’infanzia alla secondaria del secondo ciclo. Un confronto e uno scambio fra tutti gli insegnanti.
Un accreditamento sulla base del percorso formativo. Una reale ricaduta nella progettualità delle scuole: puntando all’essenziale ma di qualità ( non un insegnamento trasmissivo, continuità ed evolutività dei percorsi, restituzione di dignità e praticabilità alla collegialità.

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