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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(06.06.2015)

Qualche considerazione sul nuovo ddl e sul clima nelle scuole
di Antonio Valentino

Per una valutazione del testo di riforma approvato alla Camera – avendo l’occhio sui lavori parlamentari  di questi giorni - bisognerebbe sempre tenere presente lo stato della nostra scuola, che è quello che è. Chi ci vive e ci lavora e guarda alle tante energie svilite, ai risultati scadenti, alla demotivazione diffusa e sempre crescente, all’autoreferenzialità e all’individualismo prevalente - che sono l’esatto contrario di in’idea di scuola come “comunità di pratiche” che vorremmo costruire - non può che diffidare dell’orgia di parole che continua ancora a dominare la scena e che prospetta, apocalitticamente, future divisioni nella categoria (che notoriamente, ora, si coordina e coopera sempre all’unisono), perdita di tutele e diritti, trionfo dell’aziendalismo a scuola,  e via drammatizzando; e  disegna vasti scenari a tinte fosche (vedere l’ultima nota, apparsa su FB, del neo apprendista stregone  Corradino Mineo).

Bisognerebbe forse che si tenesse più presente

·    che con questo ddl si prospetta finalmente una credibile via d’uscita per il grave fenomeno del precariato. Che probabilmente non sarà immediatamente definitiva, che certamente è perfettibile, ma che comunque è a portata di mano.

·    che finalmente le scuole avranno a disposizione personale aggiuntivo per dare gambe a quell’autonomia con cui ci siamo riempiti la bocca in questi anni e che è stata per tutte le scuole una sorta di araba fenice (a questa nuova importante opportunità non si accenna neanche nel dibattito tra gli interessati; quasi fosse un dono di Danai  -di virgiliana memoria - al popolo della scuola).

·    che finalmente si comincia a parlare di  valutazione come strumento non solo di verifica e di apprezzamento ai fini della conferma nell’organico (dei neo assunti), ma anche – almeno così mi piace pensare - come ragione e stimolo  per superare un modo - abbastanza diffuso - di vivere la professione, che Romei definirebbe “domestico”[1] (proprio – cioè - di chi non ha niente da temere, che è sicuro della sua condizione che nessuno può mettere in discussione; e si comporta di conseguenza. Si potrebbe tradurre anche con “seduto”). (Purtroppo però – va qui aggiunto -  la previsione, nel nuovo testo,  di affidarla ad un Comitato di genitori e studenti, oltre che di insegnanti e ds, non aiuta. Si spera in emendamenti al Senato che facciano emergere l’insostenibile leggerezza di affidare una funzione così delicata e importante a persone senza adeguate competenze; e  recuperino eventualmente  - attraverso rilevazioni sul “livello di gradimento” del personale - un possibile ruolo di genitori e studenti).   

·    che la formazione diventa finalmente obbligatoria e che si prevedono risorse specificamente dedicate.

(Però, anche qui, pone interrogativi la trovata del bonus dei 500 euro, che, per la visione individualistica che la informa, è proprio l’opposto di  quello che una sana amministrazione dovrebbe prevedere. Urge quindi anche qui qualche sano correttivo).

Riconosciuti questi elementi positivi (con i punti di domanda evidenziati), non si può far finta di niente di fronte alle debolezze e criticità che ancora permangono nel nuovo disegno di legge, anche  dopo gli emendamenti  approvati nella commissione della Camera (e a seguito e a motivo delle manifestazioni dei degli ultimi mesi). Criticità che però si sbaglia a cercarle nel rafforzamento delle funzioni del ds, come si continua a dire e a scrivere.
Le maggiori debolezze e le più forti criticità le ravviserei in altre scelte che connotano negativamente questo ddl. E su cui han fatto bene a concentrarsi, nei loro documenti di proposte emendative (a cui si rimanda), sia il
Cartello che vede insieme  associazioni professionali importanti e storiche e le sigle di sindacati confederali; sia l’ANDIS Nazionale.
Qui mi limito a segnalare, fra le criticità del ddl,  soprattutto le disposizioni previste per  “la valorizzazione della professionalità” (i premi da erogare ai più meritevoli ). E questo perché la forma di premialità individuata si muove in una logica individualistica e competitiva che non fa bene alla scuola,  perché rimane – a tale logica - del tutto estraneo l’obiettivo di
stimolare gli insegnanti in  direzione di una visione più esigente e impegnata di sé e del proprio lavoro. Di  puntare cioè a motivarli, con misure che possano spingere tutti a fare meglio quello che fanno.
È dietro l’angolo – c’è da esserne certi -il rischio di fratture e conflitti dentro la categoria, anche quando nell’erogazione dei premi si utilizzassero criteri valutativi tra i migliori e corretti.

Riconoscere il merito è cosa buona e giusta. Qualcuno lo considera – e non  a torto, forse - come lo strumento che hanno in mano i meno favoriti dalla sorte per emanciparsi e far valere il proprio impegno e il proprio talento. Ma, per come è stato concepito, fa correre il rischio che si creino  ulteriori problemi nelle scuole. (Anche per il tipo di composizione del Comitato di valutazione di cui si è già detto.)

Quello che si fa fatica a capire – sulla questione valorizzazione - è la ragione per cui è stata accantonata, senza fornire spiegazione alcuna, la proposta avanzata dal documento iniziale della Buona scuola[2], di cui era addirittura un punto cardine.
Proposta che faceva perno sugli strumenti del portfolio e dei crediti (didattici, formativi, professionali[3]), ai fini della progressione economica e dei percorsi di carriera.  
Si è preferito invece questa scorciatoia che certo non aiuta, nella situazione attuale,  in cui c’è piuttosto  bisogno di vedere favoriti e incentivati  comportamenti partecipativi, impegnati e responsabili, attraverso  meccanismi motivanti e propulsivi che parlino a tutti.

Se mi si chiedesse infine cosa è stato finora latente tra le voci della protesta scolastica,  indicherei immediatamente la mancanza di una denuncia - non retorica -  della vera “assenza che pesa” nel ddl: quella di un’idea di scuola come “comunità di intenti e pratiche condivise” o “impresa collettiva” (per dirla con Romei). Di una idea di scuola, cioè, che faccia emergere, attraverso opportuni meccanismi che una buona legge dovrebbe prevedere, la centralità del lavorare insieme, del cooperare, del migliorarsi  (vs individualismi di varia matrice, che costituiscono un problema endemico del nostro sistema, ormai non più sostenibile).

È questa la scelta strategica che la ricerca internazionale e l’esperienza di molte scuole – anche nel nostro paese – indica come la più promettente per sistemi di istruzione che vogliano essere all’altezza del proprio  compito in questa fase.

Di questo non vedo tracce significative nel ddl. E tale assenza esprime un vuoto di prospettiva, che costituisce elemento strutturale di debolezza destinata a pesare negativamente sulle sorti della buona scuola che si vuol costruire.

La forma di premialità scelta e il bonus per la formazione previsti sono, sotto questo versante, indizi preoccupanti di una “visione”, propria anche del nuovo ddl, che potrebbe portare in tutt’altra direzione.

 

Tutto  questo per dire che ci sono motivi validi per riconsiderare anche il nuovo testo  e chiederne modifiche mirate.

Ma – e ritorno alle considerazioni iniziali - quello però che non convince,  e che ritengo non sostenibile, è questo gioco di interdizione su tutto, a 360 gradi, di quelle associazioni professionali e sigle del sindacalismo “autonomo” che puntano a trasformare ogni proposta del ddl  in una trincea di opposizione. E impediscono di concentrarsi invece su quegli obiettivi e dispositivi che hanno più senso.

L’impressione che si coglie è che purtroppo questo clima di rifiuto generalizzato del ddl sia ancora prevalente dentro le nostre scuole (anche per la disinformazione diffusa, tra gli stessi insegnanti, sui cambiamenti apportati alla Camera).

Di questo bisognerebbe farsi carico un po’ tutti per evitare rovinose cadute all’indietro.

E prevedere conseguentemente performance televisive  anche ad alto livello. Che evitino però lavagna e gessetti. 

O no?

 


[1] P. Romei, definisce “domestici” i modelli organizzativi, come quello prevalente nel nostro sistema scolastico, in cui non si richiedono sforzo e impegno “per la loro sopravvivenza”.

[2] Si ricorderà che la proposta era però all’interno di coordinate piuttosto dubbie - che la consultazione ha comunque fatto saltare -: la quota dei destinatari fissata al 66%

e la fonte di finanziamento individuata nel fondo per gli scatti di anzianità.

[3] Da maturare, cioè, nei tre ambiti: del lavoro in classe, della formazione-autoformazione e  della collaborazione per il funzionamento didattico-organizzativo della scuola.

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