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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi sul  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(07.09.2014)

La scuola di don Abbondio: il coding
di Benedetto Vertecchi

Eccoci di fronte ad un’altra parola il cui scopo è di suggerire qualcosa di nuovo, di suggestivo e di desiderabile, ma che si preferisce dire in inglese per timore che in italiano non riesca né nuova, né suggestiva, né desiderabile. Anche in questo caso, si tratta di applicare nel sistema educativo il metodo don Abbondio: se il suo latinorum serviva a non far capire al povero Renzo la ragione del rifiuto di celebrare il matrimonio, il coding (come le altre parole inglesi di significato banale che continuamente sono scodellate nel linguaggio della comunicazione buroscolastica) serve a conferire una patina di rispettabilità a pratiche che proprio nuove non si possono dire.
In italiano si potrebbe parlare semplicemente di programmazione, o di codifica, trattandosi di avviare i bambini, fin dalle scuole elementari, all’uso di dispositivi digitali.
Ricordo a chi ancora non era nato, o semplicemente l’abbia dimenticato, che proposte molto simili a quella che oggi si presenta come coding erano già in auge negli anni Ottanta e sono finite ingloriosamente travolte dallo sviluppo della tecnologia.
Questi precedenti debbono essere considerati, anche se oggi si preferisce richiamare la diffusione di certe esperienze nelle scuole del Regno Unito.
Basta questo riferimento geopolitico a conferire qualità alla proposta e ad autorizzare un’attesa di risultati positivi sostenuta solo dalla fede, in assenza di evidenze sperimentali?
E come la mettiamo con i problemi logico-linguistici che sono così strettamente legati alle operazioni di codifica?
Non sarebbe il caso di preoccuparsi del livello della competenza verbale (nella lingua italiana, non in quella inglese) dei bambini che dovrebbero essere impegnati nel compiere analisi, stabilire sequenze, nell’individuare ipotesi e condizioni, nel definire regole ed eccezioni eccetera?
Fino a quando Catilina continuerà ad abusare della nostra pazienza?

 

(*) l'intervento che qui pubblichiamo è ripreso dal Blog del professor Benedetto Vertecchi, su sua cortese autorizzazione

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