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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(14.08.2016)

 Amleto e il metodo
di Franco De Anna

 

Si capiscon molte cose (non è detto sia un bene..) se si legge con attenzione il dispositivo definito  per dare corso applicativo amministrativo alla possibilità di erogazioni liberali alle scuole, con sconto fiscale per il “mecenate”, in accordo tra il Ministero dell’Istruzione e quello della Economia.
(Si veda decreto “Disciplina del credito d'imposta di cui  all'articolo  1,  comma  145 della legge n. 107 del 2015, per le erogazioni liberali in denaro  in favore delle scuole").

Innanzi tutto c’è un tetto di erogazione/sconto di 100mila euro, e naturalmente la cosa ha senso sia nei confronti del beneficiario (per una scuola 100 mila euro non sono “un contributo” sono il “core”..) sia nei confronti del fisco (non esageriamo con le detrazioni…).
Ma il dispositivo è interessante per la determinazione con cui si stabiliscono i vincoli di destinazione: “la realizzazione di nuove strutture scolastiche, la manutenzione e il potenziamento  di quelle esistenti e per il sostegno a interventi che migliorino l'occupabilità degli studenti”; quanto a dire interventi strutturali negli ambienti della scuola, iniziative di alternanza e raccordo scuola lavoro, dunque nel rapporto tra impresa e scuole secondarie di secondo grado.

L’erogazione liberale, con tali specifiche di destinazione, è vincolata a interventi ben “cosabili”: manutenzione/ristrutturazione di ambienti e strutture… raccordi con l’impresa e sviluppo di esperienze professionali…
E se un mecenate “liberale” volesse incentivare con proprie risorse lo studio della musica e dell’arte? E’ sempre possibile naturalmente, ma senza detrazioni fiscali… Chi ha detto che con la cultura non si mangia…? Ma neanche si risparmiano tasse…

A ben pensare una ragione si rintraccia: lo sviluppo culturale è la mission fondamentale di quell’impegno pubblico che è la scuola… Come può uno Stato che deve assicurare il medesimo diritto a tutti consentire che “siccome tu hai il mecenate… allora fai anche la musica…” mentre tu che non hai mecenate ti tocca arrabattare un’aula di musica con tanti flauti (niente percussioni mi raccomando… disturbano..) …
Non fosse che siamo purtroppo soggetti alla offensiva egemonica della cultura del mercato, giusto sarebbe dire “Niente a tutti e due, così siete uguali..”  Ma si sa, dati i tempi almeno limitiamo i danni: vuoi promuovere lo studio della musica con una erogazione ad hoc per quella scuola? Fallo, ma sappi che non c’è detrazione. Se invece metti un po’ di soldi per riparare il tetto…Si sa.. la cultura non si mangia, ma neppure protegge dalla pioggia…

Se il mecenate liberale, convinto di tali criteri insiste nel suo impulso oblativo ci son delle regole ulteriori da rispettare. Intanto lui vorrebbe erogare a “quella” scuola (chissà perché? Ci va suo figlio, il/la Preside è ammanicato/a, o semplicemente lui ha un ruolo nella comunità locale e la donazione lo rafforza… oppure… ha fatto un voto alla Madonna… o ha letto l’ultimo libro di Piketty..?).
Ma il regolamento varato dal MIUR dice “no”. Si versa allo Stato, con l’indicazione della scuola destinataria… poi ci pensa il Ministero….
Inutili tanti punti interrogativi: è una garanzia di eguaglianza.
Lo Stato incamera, trattiene il 10 per cento per formare un fondo di riequilibrio e solidarietà tra le scuole senza mecenate, e poi gira il rimanente alla scuola destinataria.
Per la verità il Decreto non considera “scuole senza mecenate” ma “scuole che hanno contributi mecenateschi inferiori alla media…(sic è una apoteosi della cultura amministrativa)”
Si dice nel dibattito focoso sviluppatosi (ha oscurato quello delle chiamate dirette…non ve ne siete accorti?): “Giusto… Va bene aprire al contributo di privati, ma noi dobbiamo garantire il diritto eguale di tutti…”. E questi sono i difensori del carattere pubblico della scuola… Come non essere daccordo? Vero, ma qualcuno azzarda: “Scusa perché non invertiamo il percorso? Il Mecenate versa alla scuola e questa a sua volta dirotta il 10 per cento nelle casse comuni?”.
Uffa!!.. Siamo tutti a spaccare il capello in quattro… cosa cambia? Il risultato è il medesimo…
Ma vuoi mettere il simbolico? Intanto così ribadiamo “chi comanda..”. Tu versi al centro, poi ci pensa il centro…Che è ‘sta autonomia?
Il Decreto provvede con precisione anche ad indicare i codici con cui caratterizzare le donazioni, la loro destinazione progettuale, ecc…

Ma, detto tra noi e non dirlo a nessuno: non c’è solo il simbolico…si pensi a come funzionano i processi di tesoreria. Si sa, il denaro ha un costo e il costo ha a che fare con il tempo…
Ma non fermiamoci a questi dettagli per favore… la 107 ha introdotto una grande innovazione politica (?) e qui vi si dà corso interpretandola di comune accordo tra le due amministrazioni, quella del Ministero dell’istruzione e quella del Ministero dell’economia e delle Finanza…a questo dobbiam guardare…

Naturalmente massima attenzione alla destinazione delle erogazioni.
Il decreto vincola giustamente la scuola a dare il massimo di pubblicità e trasparenza sia della donazione di cui è beneficiaria, sia del suo uso, rendicontando progetti e risultati, con tanto di richiamo alla pubblicazione su web.
Per gli interventi di costruzione/manutenzione c’è una piccola complicazione: se il mecenate ha rese disponibili risorse per la ristrutturazione e sistemazione di ambienti della scuola, non potrà certo usarle la scuola stessa… mica è la padrona di casa… e non paga neppure l’affitto…
Il decreto preannuncia uno “schema di convenzione” tra la scuola e il “padrone di casa” (l’ente locale). La scuola girerà i denari del mecenate all’ente locale che farà i lavori, affidandoli ovviamente ad una impresa di cui ha fiducia o che comunque ha vinto il bando…

C’è sempre un ingenuo in circolazione, sempre nel focoso dibattito di cui sopra: “scusa ma perché il bando e la scelta dell’impresa non la fa il Preside, magari chiedendo qualche consiglio”. Beh ma allora fai finta di non capire “cosa vuoi mai che se ne intenda il Preside di procedure di affidamento di lavori pubblici..?” E qualcuno anche accenna alla inaffidabilità dei Dirigenti Scolastici quanto ad appalti pubblici e a interessi nascosti… certamente Assessori e Uffici Tecnici degli Enti Locali danno maggiore sicurezza…Certo più degli “sceriffi” (vedi animato dibattito relativo … )
Il pensiero ottimista cerca di disegnare una trincea difensiva confidando su quanto sarà scritto in quello “schema di convenzione”… personalmente conosco  non pochi Dirigenti Scolastici sperimentati nel rapporto sia con Enti Locali che con imprese, a cui affiderei il compito di formulare tale schema e semmai di fornire consulenza a colleghi meno esperti…

Un fastidioso pensiero anima il sotterraneo: eppure il Dirigente scolastico è ritenuto responsabile della congruenza e pertinenza e sicurezza degli ambienti in cui si svolge il lavoro scolastico… e qualche giudice ha ritenuto il Dirigente responsabile fin anche della congruenza della quantità di cemento nella composizione della malta usata per le gettate… Ma allora perché non responsabilizzarlo nell’uso di quei finanziamenti “liberali” finalizzati alla specifica scuola, quella di cui è responsabile? Uffa…che è ‘sta autonomia…?

Domanda ancor più fastidiosa, ma accademica: come si fa davvero un controllo della spesa senza responsabilizzare direttamente il singolo dirigente? Le “medie statistiche ” dei grandi apparati di spesa non hanno mai consentito sensati risparmi (ne sanno qualche cosa i diversi responsabili della spending review che si sono avvicendati… da Bondi a Cottarelli..).
Ma qui, di nuovo, fa aggio la cultura dell’amministrazione: le forme e le prescrizioni del suo manuale operativo e il suo algoritmo di comando rappresentano garanzie più significative dei suoi risultati reali. E tale considerazione ha più sostenitori e alleati di quanti si pensi (quel manuale e quell’algoritmo nutrono e proteggono grandi e piccoli interessi stratificati, più o meno rappresentabili).
Si tenga conto, a proposito di dirigenti pubblici e loro responsabilità (rappresentano “la Nazione” secondo Cost. Nazione? Qualunque cosa ciò voglia dire. Ma è o no “la Carta più bella del mondo”…) che, come ebbi già modo di rilevare, i Dirigenti Scolastici rappresentano la compagine quantitativamente più rilevante della dirigenza pubblica. (Vedi il mio “Il dirigente scolastico, tra idealtipi e ricerca di status”) Dovrebbero perciò essere presi come esempio per gli altri, non assimilati agli altri… (oppure “cambiamo modello”)

Confessioni e complicazioni

Confesso che in partenza, per questo articolo avevo deciso di mantenere un registro ironico… ma non ostante il sentimento di invidia, che mi fa sempre tentare di copiare, non sono bravo come Aristarco Ammazzacaffè… Mi riesce meglio esser noioso.. E allora, di seguito, chi non si stufa.

Due notazioni di fondo, al di là della polemica spicciola…

1.      Una contraddizione strutturale della nostra “formazione economico sociale” è rappresentata del fatto che abbiamo un prelievo fiscale fortemente centralizzato ed una spesa sociale (che dipende ed usa il primo) decentrata e molecolarizzata.

2.      Abbiamo, anche al confronto internazionale, un debito pubblico “voragine” accumulato nella storia degli ultimi trent’anni (la cittadinanza comune costruita sulla spesa pubblica, non sul il lavoro collettivo) accanto ad un “risparmio privato” che non ha eguale (confrontare p. es. i dati della Germania: avanzo pubblico impensabile per noi, risparmio privato più basso, indici di diseguaglianza sociale (Gini) assolutamente più bassi.. non ho alcuna simpatia per la Merkel, ma questi sono i dati: confrontate il rapporto tra lo stipendio di un manager e di un operaio tedeschi, e guardate a tale rapporto nel nostro Paese... Poi siamo abilitati ad inveire contro la Germania..). Sulla entità, distribuzione e carattere del risparmio privato si veda la serie dei Bollettini dell’Ufficio Studi della Banca d’Italia..

Debito pubblico e risparmio privato possono “comunicare” in molti modi: quello classico è la fiscalità… ma non ho bisogno di spendere molte parole per rammentare a chi mi legge quanto sia limitata la possibilità di agire su tale leva (anzi, per molte ragioni si cerca di alleggerire il carico fiscale..). Ci portiamo sulle spalle il peso di un passato deformante… e non basta gridare alla evasione fiscale…occorre mettere in campo almeno un decennio di politica coerente e rigorosa… e nel frattempo?
Un altro modo è quello di raccogliere il risparmio privato per finanziare il debito pubblico. E’ quello che è stato fatto e si fa tradizionalmente: buoni del tesoro, bond, ecc…Non siamo ancora naufragati anche perché tra i “possessori” del nostro debito pubblico hanno buona rappresentanza soggetti nazionali rispetto a quelli internazionali… (ma ciò contribuisce a dare alla “questione bancaria” nazionale una sua specifica fisionomia).
Ci sarebbe anche un’altra strada che in altri paesi ha esplorazioni ed esperienze storiche significative: dotarsi di strumenti che convoglino il risparmio privato verso utilizzazioni sociali finalizzate. Negli Stati Uniti, per esempio, centri di eccellenza della ricerca scientifica, come Il MIT di Boston o il CalTech, emettono bond a lunga scadenza (trentennali…), sottoscritti da “risparmiatori” privati  che convogliano una parte della loro ricchezza verso un uso sociale (la ricerca scientifica e l’istruzione superiore).
Ma vi sono anche esperienze di intervento pubblico “finalizzato”: una ipotesi era stata formulata in Francia negli anni passati con bond pubblici con destinazione formazione e ricerca.

Del resto i nostri padri e nonni ebbero a che fare con un Fondo Nazionale per la ricostruzione…(ah.. la memoria…) E il pensiero non può che andare alla “Tennesey Valley”; anche se non ci sono molti Roosevelt  in circolazione

L’idea di dotarsi di strumenti capaci di affiancare il semplice strumento fiscale, vissuto dai più come “nemico”, per convogliare ed incentivare il risparmio privato verso finalità pubbliche e sociali dovrebbe costituire un elemento strategico per una politica che si colloca in una fase di ormai conclamata e consolidata “crisi fiscale dello Stato” e dei modelli di welfare costruiti nella seconda metà del secolo scorso..

In ogni caso, l’intreccio “funzionale” tra “investimento pubblico” in segmenti avanzati (formazione tecnologia ricerca) e impresa innovativa per lo sviluppo (interessi privati “guidati e incentivati” verso la convenienza collettiva) è una delle “questioni” della politica economica di questa fase storica (cito per tutti Mariana Mazzuccato “Lo Stato innovatore”, Laterza).
Certo questo è uno “sfondo semantico” entro il quale si possono collocare questioni anche apparentemente assai lontane tra loro… Che so? La questione (ogni tanto si ripropone..) della collocazione del TFR nel suo rapporto con il costo del lavoro, da un lato, e della formazione e destinazione del risparmio privato dall’altro e del suo storico prevalente uso nel mercato immobiliare (abbiamo una quota di proprietà della casa più elevata a livello europeo..), con conseguente sostegno “indiretto” alla rendita fondiaria  (trasferita ai discendenti: la “liquidazione” usata per la casa dei figli..) e deformazione conseguente dei prezzi di mercato (si vada a verificare la prospettiva della riforma della rendita fondiaria e la storia del primo centrosinistra degli anni ’60… son elementi di permanenza di fondo nella formazione sociale nazionale)
Prevalenza dell’impegno immobiliare del risparmio privato e contemporanea sottrazione di parte consistente della ricchezza privata dall’impiego produttivo (meglio il mattone… ) Uno dei “cuori” della alleanza tra profitto e rendita e ceti intermedi e popolari nel nostro paese… (Vi dice niente la “storia sociale”  del partito della Democrazia Cristiana?).
Ma a tale campo semantico appartiene anche la questione (piccola sul piano pratico, ma esemplare su quello di principio) del flusso di risorse volontarie dalla società civile all’uso sociale e finalizzato al bene comune dell’istruzione, affrontato (nel modo sopra indicato… ahimè) da provvedimenti in “teoria attuativi” di una scelta politica “in teoria esplicita” effettuata con la legge 107, che prevede di regolare (dunque si suppone incentivare) il flusso di risorse “liberali” verso la scuola.
Forse si comprenderà lo spessore della “delusione” che caratterizza le mie parole. Si può naturalmente dissentire da una prospettiva come quella indicata di ricostruzione organizzata di un rapporto tra pubblico e società civile, con finalizzazione pubblica e sociale di risorse individuali e private. Vi sono sottese questioni anche “teoriche” come quella del carattere composito delle “cittadinanze”, della interpretazione del principio di sussidiarietà, del superamento della  assimilazione totalizzante della cittadinanza alla dimensione dello Stato (qualunque cosa significhi “Stato” in questa fase storica). Ciascuna di queste questioni merita argomenti e riflessioni, non slogan. E sono ovviamente ammesse idee diverse in proposito.
Ma se un  dispositivo legislativo che vorrebbe lasciare il segno nella organizzazione del sistema di istruzione decide di affrontare, sia pure marginalmente, tale problematica forse deve provvedere con maggiore coerenza e chiarezza, sia nelle formulazioni normative, sia nella “ acutezza interpretativa” delle misure attuative.
Ho già detto altrove che la Legge 107/2015 risente palesemente del bricolage emendativo su cui si sono misurati interessi di maggioranze e opposizioni variamente combinate. Tra voti di fiducia su maxi emendamenti e emendamenti generati con algoritmi automatici da parte dell’artiglio dell’opposizione… Giusto per ripartirsi, confondendole e sovrapponendole, le responsabilità politiche. Che l’elettore abbia sempre chiaro chi scegliere… “E’ la democrazia bellezza”.
Ma la traduzione operativa è un capolavoro di occultamento delle prospettive che animano l’iniziativa politica e l’apertura verso il problema su accennato: la finalizzazione pubblica (di parte) delle risorse private. 

La scelta del “policy maker”, sia pure compromessa dal bricolage citato era evidente in fase di impostazione della Legge 107 (e su questo, non a caso, si gridò alla “privatizzazione”). L’Amministratore, che dovrebbe dare corso alla scelta politica, genera lo strumento che stiamo commentando… Qualche cosa vicino al nulla… come da traduzione del diritto amministrativo: conta “la perfezione dell’atto”; il risultato è solo un optional.. Naturalmente i portatori di ipotesi e opinioni avverse alla prospettiva di “finalizzazione pubblica di risorse private” attraverso le diverse forme della partecipazione economica, possono trarre motivo di soddisfazione. C’è del metodo..

Dettagli

Il contributo dei privati e delle famiglie ai bilanci delle scuole si aggira mediamente a circa 15 euro a studente ( vedi dati pubblici di “scuole in chiaro”. Ovviamente le medie hanno sempre il destino segnato dalla ironia di Trilussa, ma in questo caso la si può capovolgere sul dispositivo del decreto). Se facciamo a “grandi numeri” un istituto comprensivo “dimensionato in grande” di mille alunni incassa un contributo annuo di circa 15 mila euro.
Il massimale del contributo previsto dal decreto è di 100 mila euro (ma di chi stanno parlando?). Ma solo 90 mila andranno alla scuola scelta. Gli altri 10 mila daranno vita ad un fondo destinato alle scuole che hanno un contributo mecenatesco inferiore alla media (capolavoro di sapienza statistica dell’amministratore)… Provate a disegnare la gaussiana relativa alla distribuzione dei contributi di privati ai bilanci delle scuole (sempre utilizzando i dati pubblici di “scuole in chiaro”) e immaginate di tracciare una ridistribuzione di quel fondo “immaginato” con il 10% del contributo mecenatesco, sulla parte di gaussiana a sinistra della media… C’è da temere una violenta e incontrollata concorrenza delle scuole interessate….saranno 2 euro, ma sempre meglio di niente…

Naturalmente c’è da chiedersi, a fronte di tali quantità, sia pure variamente distribuite, se una famiglia (le famiglie sono i contribuenti liberali più cospicui allo stato attuale..) che, supponiamo, contribuisca per 100 euro (ben al di sopra della media), sia incentivata ( e perché e per come?) a formalizzare il suo contributo, specificandone la destinazione sulle due tipologie (ma se è scuola dell’obbligo vale solo la prima…) per usufruire dello sconto fiscale, ma “scontando” che di quei 100 euro solo 90 in tal modo arriveranno alla scuola prescelta (per qualunque motivo sia stata fatta la scelta, ma si suppone si tratti della scuola del figlio…).
Probabilmente quella famiglia, grazie alla sua vicinanza alla scuola e alla sua sensibilità civica, continuerà a contribuire, senza accedere allo sconto fiscale, ma usufruendo del sistema di “rendicontazione” che la scuola saprà mettere in campo, che gli consentirà di verificare e partecipare il modo in cui la scuola utilizzerà la sua “generosa” contribuzione-… comme il faut
(Questo della rendicontazione sarebbe il vero campo di esercizio di “astuzie della ragione applicativa” da parte dell’amministrazione… ma si dovrebbe cominciare con il superare i paradigmi e le regole formali della contabilità di Stato, applicata senza alcuna creatività alla contabilità delle scuole…  a prescindere dalla decretazione MIUR/MEF)…

Dunque il dispositivo messo a punto da MIUR e MEF probabilmente non influirà di una virgola rispetto alla realtà attuale della contribuzione di privati al bilancio delle scuole…

E d’altra parte, se si trattasse di (ipotetici) cospicui interventi con destinazione edilizia scolastica, il “mecenate attento” perché mai non dovrebbe mettersi in rapporto diretto con il soggetto detentore della competenza edilizia?… (nella mia Regione, per esempio, lo stesso mecenate che è intervenuto sul Colosseo, con rapporto diretto con il Ministero della Cultura, ha fatto costruire una scuola, per altro con rapporto molto conflittuale con il Comune di riferimento…). Il MIUR ha assistito da lontano (infatti…).
Segnalo che probabilmente vi sono più interessanti sviluppi della problematica (finalizzazione pubblica di risorse private volontarie) se si sviluppa una interpretazione “creativa” delle reti di scopo (altro dispositivo amministrativo che tenta di tradurre una politica, certo discutibile come tutte le scelte politiche, che somma la confusione del bricolage normativo, con la “morta gora” della applicazione amministrativa..). Rimando al mio contributo “Riforme senza popolo” (le scuole singole o in rete possono dare vita a soggetti giuridici del terzo settore, associazioni, consorzi, fondazioni, onluss) ed accedere a quel canale di finanziamento, compresa la quota della destinazione volontaria del 5-8 per mille dei contribuenti: “poca roba” certamente, ma… è un tassello del “lego”..
Ma soprattutto si tratta di forme di intervento che valorizzano l’iniziativa autonoma e “l’effetto di padronanza” delle scelte e delle risorse, senza ricorrere alla tutela interpretativa del superiore Ministero Vigilante.

 Insomma, alla fine, si tratta probabilmente di  un provvedimento attuativo che avrà effetti reali trascurabili…(  mecenate cercasi..) ma si offre come esemplare per un ampio campo di riflessione: sulla capacità e competenza amministrativa nel dare corpo a intenzioni politiche innovative (quale che sia il giudizio che si esprime su di esse..), sulla strutturale resistenza che la stessa Amministrazione frappone alla estensione dell’esercizio della autonomia delle istituzioni scolastiche, segnatamente in relazione alla padronanza dei “fattori produttivi” (risorse economiche, lavoro, e la loro combinazione nello sviluppo organizzativo). E infine sulla incapacità dello stesso confronto politico di recuperare le radici e il senso delle stesse opzioni spesso in conflitto, fermandosi ai “marchingegni” della casistica ipotetica, e mai misurandosi con la realtà determinata e differenziata.

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