Direzione didattica di Pavone Canavese

(30.08.99)

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31.10.1999

Socrate e l'interfaccia
(di Marco Guastavigna)


Su Pavonerisorse si discute vivacemente in questi giorni a proposito delle donazioni di PC alle scuole da parte del quotidiano Repubblica. Francamente non ho ancora un'opinione precisa sull'iniziativa sotto il profilo politico-culturale, ma non posso non intervenire rapidamente su una serie di questioni che innervano  il nostro dibattito e intorno alle quali ho invece convinzioni assai nette.

In particolare, sta riemergendo il riferimento all'«alfabetizzazione», vuoi informatica, vuoi all'uso del personal computer, e così via. È un concetto che da tempo non mi convince.

Credo che vada sostituito con quello di "autonomia nel governo dell'interfaccia grafico - simbolica - immateriale proposta dal computer" perché, se sono assolutamente d'accordo che sia compito della scuola far acquisire precocemente competenze d'uso di un calcolatore, penso però tali competenze debbano essere definite sulla base di categorie cognitive, orientate sul soggetto che opera piuttosto che sulla "macchina" in sé.

In questa prospettiva un computer è una "macchina" polifunzionale, per mezzo della quale si governano numerose attività di produzione, di elaborazione, di comunicazione, di intrattenimento; l'interazione con tale macchina è regolata da un'interfaccia grafica che ha il compito di consentire all'utente di agire senza conoscere comandi e contemporaneamente di suggerirgli cosa sia possibile fare e come, attraverso l'insieme degli inviti operativi costituiti dalle icone analogiche che la compongono. Tale interazione è quindi nella sostanza una manipolazione di simboli, ai quali il soggetto deve attribuire sensi e significati.

A questo particolare "inter - agire" la digitalizzazione dà una caratteristica peculiare, che lo rende più potente ma anche più complesso, la dematerializzazione degli oggetti e dei processi.

Ne discende la prevalenza dell'astrazione: gli standard di un'interfaccia non sono infatti da un punto di vista cognitivo che "regole" generali che governano sistemi di rappresentazione di cose, azioni e relazioni.

Una buona competenza d'uso dell'interfaccia riconosce situazioni, comprese quelle di impiccio, e vi applica macro - azioni decontestualizzate ("regole") per procedere o per correggere, se necessario. Una cattiva competenza rincorre invece invano l'apprendimento mnemonico e meccanico di innumerevoli sequenze di istruzioni e di micro - azioni, e infatti fallisce costantemente lo scopo.

Una buona competenza d'uso di un calcolatore, insomma, mette in gioco abilità cognitive di alto livello.

Ho già sviluppato in vari modi il tema su queste pagineWeb, anche assai recentemente ("Familiarizzazione? Indubbiamente. Ma quale?"; "Ho scritto «T'amo» sulla RAM"; "Per la precisione"; "Consigli per gli acquisti") ma ritengo utile aggiungere in questa occasione qualche ulteriore elemento di riflessione:

  1. Compito della scuola è diffondere le competenze necessarie a usare la macchina quando essa funziona, non quando essa manifesta qualche difetto o qualche squilibrio; la risoluzione di questi problemi è compito dei "tecnici" -  paradossalmente, ma non troppo, penso che una serie di questioni non si porrebbero nemmeno se anziché riferirci al mondo DOS™-Windows™ stessimo ragionando di macchine Macintosh™.
  2. Quel che interessa alla scuola come luogo di apprendimento - perché lo possono arricchire e facilitare - sono infatti le funzioni e non i meccanismi di funzionamento dello strumento.
  3. Non si tratta quindi di imparare a usare la tecnologia in astratto, ma di (far) capire come essa possa inserirsi nei percorsi formativi e nei progetti di vita sulla base di ciò che con essa è possibile fare e raggiungere.
  4. Lungo tutto il percorso scolastico, a fronte di ogni progresso tecnologico, con la sola condizione che l'interfaccia mantenga l'impostazione  grafico - simbolica - immateriale, sono sempre in gioco le medesime competenze cognitive.
  5. Ciò che varia, a seconda delle fasce d'età e dello specifico contesto formativo (per esempio propedeutico vs. professionalizzante; degli alfabeti vs. della cultura) può e deve essere la complessità dell'ambiente (del "programma", termine che in questo contesto riassume il proprio significato più autentico) di lavoro.
  6. Il compito degli insegnanti è quindi una costante azione maieutica: stimolare e aiutare gli allievi a porsi le giuste domande in merito all'interfaccia, far cioè crescere la loro capacità di attribuire sensi e scopi a simboli e a sistemi di rappresentazione e di interagire con essi, in funzione di attività definite e di obiettivi precisi. Lo schema che segue cerca di riassumere tale "agire neo - socratico":