10.01.2014
Valutazione
di sistema: cattiva ideologia e qualche elemento di speranza
di Gabriele Boselli
Il dibattito di questi
giorni a margine della “svolta” a mio avviso felicemente intrapresa dal
Ministro sulla direzione scientifica e spero anche organizzativa
dell’INVALSI sollecita alcune considerazioni.
Perché pedagogisti mai alla direzione della Banca d’Italia?
E’ ben vero che nessuna scienza ha diritto di chiudersi al confronto con le
altre e nessun apparato pubblico può rivendicare autoreferenzialità; esiste
tuttavia una responsabilità principale del discorso scientifico come della
funzione pubblica nei loro campi specifici. E sarebbe d’obbligo anche una
qualche reciprocità: mentre gli ultimi presidenti INVALSI provenivano dalla
Banca d’Italia o dalla Confindustria, non si son mai visti pedagogisti
chiamati a presiedere o dirigere l’istituto di via Nazionale o
l’organizzazione degli imprenditori. Giustamente, peraltro.
Nell’ultimo quindicennio abbiamo però assistito, non solo in Italia ma da
noi più che altrove, a un assoluto predominio dell’economia, della scienza
economica (e dei padroni cui essa si è in molti casi posta al servizio) su
tutti i settori del sapere e sulla scuola in particolare. Nella scuola
l’economicismo ha avuto la sostanziale acquiescenza dei vertici dei circoli
associazionistici e di alcune sigle sindacali che da vent’anni egemonizzano
il settore. Il potere della forza economica sovrasta del resto tutte le
realtà di sub-potere e non ha rispetto –nemmeno teorico- di alcuno dei mondi
vitali.
Il
realismo positivistico nella valutazione
La pretesa
valutativistica estesa a campi inoggettualizzabili esprime peraltro i
sintomi di una vecchia abitudine di coloro che contano indipendentemente da
quel che valgono: se le (inconoscibili) cose stesse mi fanno resistenza,
non regolo solo il mio stare in relazione anche dialettica con esse
rispettandone l’alterità, ma appioppo, attribuisco loro le forme con cui le
penso ed elaboro procedure che “dimostrino” quanto intendo sostenere. Se
l’apparato al mio servizio è assistito dai media, l’esito di conformità è
garantito. Una sorta di realismo positivo (meglio dire:
positivistico) alla Ferraris (v. il sito Il rasoio di Occam ,
dicembre 2013) in versione docimologica.
Evidenti le conseguenze pedagogiche di questa cattiva retorica, specie per
quanto riguarda la teoria e a volte anche la prassi della valutazione. La
mia professoressa di disegno e storia dell’arte diceva, rivolta a noi
alunni: non è che io vi consideri dei cretini, lo siete veramente. Non è che
il tal gruppo di potere e/o di interesse veda o/e presenti male il
lavoro dei docenti italiani, è che questi –si sostiene- lavorano proprio
male.
La
mala retorica della valutazione “buona”
Chi governa i
processi di valutazione di qualsiasi settore (in particolare del pubblico
impiego) governa di fatto il sistema valutato: determina il comportamento
degli addetti indicando cosa sarà ben valutato e cosa no e in genere
stabilisce tutti gli elementi da valorizzare e –di conseguenza- anche quelli
da svalorizzare. Logico che i personaggi che hanno governato l’ideologia
scolastica negli ultimi vent’anni si preoccupino di permanere in tale
funzione anche nei nuovi assetti di potere che stanno per configurarsi. La
lettera di autocandidatura dei primi firmatari del documento Una cordata
per la scuola “ (piuttosto esplicitamente: “I firmatari del presente
documento, tra i quali molti potrebbero ben figurare nella rosa dei
candidati all’Invalsi….”) contiene alcuni spunti “politically ipercorrect”
effettivamente utili per rassicurare la “clientela” tradizionale e ottenerne
il consenso attraverso lo snodo retorico del si/ma: sì alla valutazione ma
con metodi largamente condivisi; sì ai test ma con giudizio; sì alla
generalizzazione del controllo ma discussione delle risultanze. Ovviamente
una volta ottenuto il sì, i ma possono esser lasciati perdere.
Resterà la valutazione come strumento di potere sull’autonomia delle scuole
e dei singoli docenti, resteranno i test e la connessa svalorizzazione del
pensiero divergente e originalmente produttivo; no ai controlli per campione
(gli unici di fatto praticati nella ricerca scientifica) ma non utili per il
controllo politico delle istituzioni e invece sì a un controllo
generalizzato cui nessuno possa sfuggire.
Il controllo ideologico delle masse di lavoro intellettuale subordinato (insegnanti) è necessario per la globalizzazione asiacentrica dell’economia: vanno indebolite le tradizioni culturali e affermata una uniformità, informaticamente amministrabile e condizionabile, di processi valutativi che costituiscano il vero “programma ineludibile” delle strutture scolastiche. Vengono indebolite e denazionalizzate le teleologie su base filosofica e le prassi valutative intese come tradizioni di atti ermeneutici si perdono nell’embricazione asimmetrica con modelli resi forti (per il potere che li impone e per il consenso che gli ideologi sanno determinare) di teaching for testing.
Primi
risultati delle procedure testistiche
Ho da decenni
pensato di dover assumere una posizione teoretica di contrasto alla
machina infernalis dei test “oggettivi” (ovvero reificanti), oggi
confermata anche dal vedere che stanno arrivando nelle professioni e nella
scuola gli studenti a suo tempo selezionati per l’accesso alle facoltà con
questa pratica: bravi quando si tratta di compilare stampati o di esercitare
pensiero conforme e replicante ma di rado brillanti in tutte quelle attività
in cui occorre capacità critica, attenzione a tutto campo, fantasia,
inventiva. Operatori selezionati con metodologie oggettivistiche opereranno
allo stesso modo perfezionando il ciclo. E dirigenti scolastici e ispettori
“convergenti”, selezionati prevalentemente su test, restringeranno
l’orizzonte di senso della scuola allineandolo e conformandolo all’attualità
del sistema globalizzato. Posizione ora vincente nella cronaca ma perdente
nella storia poichè l’Europa e l’Italia in particolare possono invece
puntare solo sull’innovazione e la creatività per avere un buon futuro.
Convincere per dominare
La committenza
della machina non è interessata alla verità ma alla produzione di
materiale per argomentazioni persuasive; la valutazione di sistema funge di
fatto come strumento di pura gestione del potere: se sei una scuola, ti
valuto per l'efficacia della rappresentazione che –a suon di test e di
slides- sai rendere credibile nel pubblico; se sei un insegnante o un
dirigente ti valuto non per quel che sai e sai fare ma per il lustro che
deriva dalla tua presenza e per l'obbedienza che mi presti. Se persegui
valori diversi da quelli che mi sono utili non li prenderò in
considerazione. Il tutto potrà essere fatto ancor meglio se il sistema
valutativo non sarà trasparentemente imposto come mero obbligo di legge (una
legge ingiusta o sbagliata potrebbe finire per essere sostanzialmente
elusa) ma sarà presentato come un qualcosa prodotto dagli stessi
controllati: un sistema almeno in apparenza condiviso è molto più
efficace di uno palesemente imposto. Al di là delle intenzioni anche
oneste di molti dei firmatari del citato appello, questo è, o almeno mi pare
che sia. Le masse faranno quel che si vuole “colà dove si puote” e saranno
pure contente.
Motivi
di speranza
Nutro qualche
speranza e non solo nel lontano futuro. La speranza a breve termine ha due
ragioni: la prima è la resistenza priva di atti clamorosi ma efficace che la
scuola italiana ha opposto in questi vent’anni ai tentativi di reificazione.
Illuminato dalla scienza e dalla poesia, rivelato nei suoi volti possibili
dal cenno filosofico, portato a minor inevidenza e augurabilmente a futura
affermazione dalla pedagogia, il pensare delle scuole è rimasto e si prepara
a risplendere di nuovo nell’autonomia che più vale, anche se non conta:
autonomia intellettuale, morale ed estetica. E’ in questa direzione che in
vari modi si spende il quotidiano eroismo di molti di coloro che lavorano
della scuola, docenti, dirigenti, bidelli, ispettori o provveditori che
siano.
La seconda è che gli uomini e donne oggi chiamati dal Ministro -comunque
persone di scienza e di scuola per quanto alcuni responsabili, come
Vertecchi, dell’ideologia docimologica- a partire dallo scritto
programmatico su cui verranno scelti (di per sé una smentita del programma
pluriennale INVALSI) comincino a sottrarre l’istituto alla trista palude
oggettivistica e reificante degli ultimi vent’anni e inventino percorsi di
rispetto e riconoscimento di una professione di magistero come quella
docente, “magis”, posta sopra.
A medio/lungo termine maturerà probabilmente nella “carne da test” la
consapevolezza -già avanzata in molte parti del mondo, a partire dai luoghi
di origine delle pratiche di valutazione attraverso i test, vedi nota- che i
test e gli apparati valutativi che vi si basano possono misurare solo la
parte meno nobile del possesso di strumenti di intelligenza del mondo
(quella convergente) ed educano solo a un “pensiero obbediente”: pensare
bene è pensare come vuole il potere. Ma, come noto, l’obbedienza non è
sempre una virtù; se il mondo procede è perché qualcuno fuoriesce dal
pensiero amministrante e obbediente e inizia a pensare diversamente.
Nota
Molto interessante l’articolo leggibile in Le monde diplomatique
sulle valutazioni di sistema di Diane Ratwich, già “ministro”
dell’istruzione USA ai tempi di Bush II. Interessante perché alcuni di
coloro che vollero la valutazione di sistema attuata attraverso i test ora
si stanno amaramente pentendo: “Diversi miliardi di dollari sono stati spesi
per mettere a punto «e poi fare passare» le batterie di test necessarie a
questi differenti sistemi di valutazione. In numerose scuole, gli
insegnamenti ordinari si interrompono diversi mesi prima degli esami per
lasciare spazio alla preparazione intensiva di questi. Numerosi
specialisti hanno stabilito che gli allievi non imparano niente dato che gli
si insegnano i test e non le materie scolastiche. Malgrado il tempo e il
denaro investiti, i risultati non sono migliorati. Talvolta, essi si sono
semplicemente bloccati. In matematica, i livelli erano addirittura migliori
prima della applicazione della legge Nclb”.
Riferimenti - Segnalo il n. 360/2013
di Aut aut
contenente un focus curato da A. Dal Lago: “All’indice. Critica della
cultura della valutazione" e vari numeri di Analecta
husserliana (ed. Springer), la rivista fondata da padre Van Breda
e ora retta da A. T. Tiemnietka; è l’ organo de
The World Institute for Advanced Phenomenological Research and Learning,
Montreal. Sulle basi scientifiche
della posizione qui espressa si veda anche il focus da me curato uscito nel
n. 30, annata 2011 di Encyclopaideia (Bononia University Press,
Bologna) “Per una possibile valutazione “di sistema” scientificamente
attendibile e condivisibile dalle scuole”.
Ottimo anche il testo di Valeria PINTO, Valutare e punire , Cronopio
, Napoli, 2012