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I problemi della valutazione dopo la legge 169


06.11.2013

Test Invalsi e presidi-manager
di Vincenzo Pascuzzi


«Ecco la "formula" per cacciare i docenti incapaci». Sì, proprio così! Questo è il titolo incredibile, ridicolo più che assurdo, assegnato da “Il Sussidiario.net “ di domenica scorsa, 3 novembre, alla lettera-articolo di un preside di buona volontà, il modenese Giuliano Romoli .
L’articolo è esplicito e chiarissimo. Leggiamo: “All'origine dei vuoti di preparazione degli alunni ci sono necessariamente inadempienze del sistema scolastico a livello di singolo insegnante o di istituto” (sic!), però i presidi hanno le mani legate, non possono provvedere, non è come “Alla Fiat (dove) un ingegnere incapace, che fa danni, verrebbe immediatamente licenziato”.
A individuare i “vuoti di preparazione degli alunni”, e quindi i docenti incapaci, provvede ovviamente l’Invalsi. Ma “Le prove Invalsi servono solo se il sistema ha la possibilità di riformarsi e migliorarsi, se no buttiamo via i soldi …. “.

Perciò il cerchio si può chiudere dando ai presidi altro potere: quello di licenziare su due piedi gli incapaci. Così - si intuisce - i presidi-manager (o presidi-sceriffi, o ducetti, secondo altri) sistemeranno una volta per tutte la scuola, in tempi brevi e a costo zero o quasi!
Si capisce che, secondo l’autore della lettera pubblicata, non esiste nessuna ombra di dubbio sulle capacità professionali, tecniche, morali, ecc., ecc. di TUTTI i presidi. Nessun preside rientra nella categoria degli incapaci, per cui è inutile cercare anche la eventuale “formula” gemella per cacciare i presidi incapaci! Non serve! Altra rassicurante certezza è costituita dai test Invalsi: esatti, precisi, scrupolosi, affidabili come e più dei cronometri svizzeri! Graditissimi a tutto, proprio tutto il mondo della scuola! Tanto che tutto il mondo ce li invidia!
Anche il paragone con la Fiat è azzeccatissimo, istruttivo, edificante. Infatti non è assolutamente vero che Marchionne “a Pomigliano vuole fare una nuova auto alimentata a sangue di operaio” (v. “Sole a catinelle” di Checco Zalone), né che sia in atto il tramonto della Fiat (v. “Marchionnemente” de Il Fatto Quotidiano e “Il gigante è al tramonto” di Wall Street Italia), né che le vendite siano in calo di quasi il 9% in ottobre.
Ma lasciamo il tono semiserio, ironico, sarcastico o caustico (e forse conviene esplicitarlo a …. qualche lettore frettoloso o distratto!) e parliamo più seriamente della citazione di Andrea Ichino da parte del preside Romoli. L’articolo di A. Ichino è apparso sul Corriere del 21 ottobre scorso con il titolo “Tre scelte strategiche sulla scuola perché l’Italia torni a competere”.
Due questioni serie conviene proporre per evitare che il dibattito sulle questioni scolastiche diventi, o resti, una sterile contrapposizione di slogan in cui prevale, o crede di prevalere, chi strilla più forte, chi reitera bugie fino ad assimilarle a verità o almeno a luoghi comuni, oppure chi dispone più facilmente di media compiacenti o interessati.
La prima riguarda le risorse economiche (i soldi o gli euro) che il nostro governo destina alla scuola italiana. Sta passando addirittura l’idea che dette risorse siano adeguate e allineate alle medie europee o OCSE! “È lo stesso Visco a dire che lo Stato non spende poco per la scuola italiana” riporta A. Ichino nel suo articolo. La stessa fanfaluca era riportata, qualche giorno fa, nel blog di Stefano Scabbio (“L’Italia investe nella scuola, però lo fa male!”).
È vero il contrario. Gli investimenti italiani per la scuola, che erano al 5,5% del Pil fino a venti anni fa, sono ora SCESI al 4,2% a fronte di una media UE del 5,2% e sono destinati a scendere ulteriormente. Di qui le acrobazie del ministro che vuole amputare un anno ai licei.
Ci informa Eurostat che, nel 2011, “L'Italia è all'ultimo posto in Europa per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,1% a fronte del 2,2% dell'Ue a 27) e al penultimo posto, seguita solo dalla Grecia, per percentuale di spesa in istruzione (l'8,5% a fronte del 10,9% dell'Ue a 27)”.
La seconda questione riportata da A. Ichino, ma ricorrente con insistenza in altri articoli, è costituita dal sistema centralistico, causa di sprechi, diseconomie e ritardi, e che perciò “andrebbe smantellato” tout court a vantaggio di varie forme di autonomie. Questo argomento, suggestivo e di facile presa, va sicuramente esaminato e approfondito nei suoi vari aspetti e dettagli. Non bisogna però sbrigativamente sovrapporre, confondere e scambiare due questioni collegate fra loro ma diverse: la prima è il rapporto ottimale tra sistema centralizzato e autonomie e la seconda è l’eccesso di burocrazia che può-potrebbe benissimo allignare anche nelle varie autonomie.
Bisognerebbe individuare pochi, semplici e significativi parametri indicatori del livello di burocrazia esistente e poi operare per ridurli, magari aumentando le autonomie. Questi parametri potrebbero riguardare: a) il numero di addetti alle funzioni burocratiche; b) il loro costo complessivo e quello medio per addetto; c) la normativa esistente o prodotta (quante circolari); d) il tempo e il numero di passaggi e autorizzazioni occorrenti per completare una certa procedura significativa.
Non credo che Miur sarà interessato e d’accordo, ma è un’iniziativa da proporre e da tentare.

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