25.11.2013
Valutazione
esterna e di sistema. Perché l’Invalsi è tutto da rifare
di Vincenzo Pascuzzi
Mettiamo subito le mani avanti. Nei
confronti della valutazione esterna, non esiste né una contrarietà
preconcetta e pregiudiziale, né tanto meno paura. Questo perché chi critica
le prove Invalsi se lo sente spesso rinfacciare. “Chi ha paura della
valutazione nelle scuole?” titolava Paolo Sestito qualche mese fa (lavoce.info
– 12.2.2013).
Nessuno ha paura di una valutazione esterna seria, ma si contestano sia la
validità e l’utilità dei test a scelta multipla – o quiz a crocette – finora
usati dall’Invalsi, sia le modalità operative dell’Istituto di Villa
Falconieri.
È però anche vero che “… la scuola per
anni è vissuta senza valutazione ed ha funzionato benissimo. Avevamo una
scuola elementare d’eccellenza e il suo [di Profumo] predecessore Gelmini
l’ha rovinata cancellando i moduli e le compresenze” come osserva il
d.s. Eugenio Tipaldi (“La mania di valutazione” – tecnicadellascuola.it –
6.3.2013). Perciò bisognerà monitorare i costi e il rapporto costi-benefici.
Veniamo al titolo, alla valutazione esterna
e all’Invalsi da rifare, cioè da reinventare, riprogettare, ricostruire
dalle fondamenta.
Anche il nome va cambiato: l’acronimo
attuale, che appare logorato e irritante, va sostituito per una questione di
immagine. Però niente Invalsi 2.0, infatti non si tratta di un upgrade, ma
di una modifica più profonda e sostanziale. Serve un nome del tutto nuovo,
diverso: potremmo chiamarlo, chessò… “Valentina“. Anzi, poiché di Istituti
di valutazione ce ne dovrebbero essere almeno due – come viene proposto di
seguito – potremmo chiamarli uno “Valentina” e l’altro “Francesco”.
L’Invalsi, ora autoreferenziale,
autoritario, dispotico, poco trasparente, dovrebbe essere utilmente
sostituito da almeno due enti rilevatori, indipendenti fra loro oltre che
dal Miur, e che operino separatamente per consentire il confronto e la
verifica dei loro risultati. Un po’ come gli Istituti demoscopici che sono
più di uno e che effettuano sondaggi di vario tipo.
Finora l’Invalsi ha infiltrato gradualmente il sistema istruzione con una
strategia precisa e identificabile. Dapprima le timide prove campionarie,
poi divenute censuarie e imposte per legge, fino all’incestuoso ingresso
nella valutazione di terza media. Le progressive sperimentazioni dall’esito
positivo scontato in partenza. Altra modalità ricorrente: gli annunci
effettuati un anno prima per attività messe a regime l’anno successivo, in
modo da spiazzare sia le possibilità di confronto che le proteste. Con
questi passi lenti, cauti e felpati, l’Invalsi conta di conquistare anche
l’esame di maturità a partire dall’a.s. 2014-2015.
Più che all’edera, l’Invalsi può essere
paragonato al… ficus strangolatore australiano (v. ficus watkinsiana).
L’attuale approccio fiscale, inquisitorio,
da redde rationem, quasi l’Invalsi fosse uno sbirro o un gendarme, va
sostituito da un approccio amichevole, fraterno, collaborativo. Non più
prove imposte, coatte, censuarie, all’unisono cioè nelle stesse date e in
orario scolastico, ma ricominciare con prove campionarie e con il consenso
dei docenti e degli alunni interessati. E prove per tutte le materie e che
facciano riferimento agli argomenti svolti e alle valutazioni interne dai
docenti. Mai più solo quiz a crocette!
Prove da effettuare con le sole risorse
assegnate all’istituto rilevatore e non con le odiose servitù gratuite
imposte alle scuole e che i d.s. scaricano disinvoltamente sui docenti.
Prove i cui risultati possano essere riferiti a livelli di
sufficienza-insufficienza, in sostituzione dei poco significativi
riferimenti ai valori medi. Niente più confronti, né riferimenti –
folkloristici e da tifoseria calcistica – fra province, regioni, nord, sud,
centro, nord-est, isole. Deve essere chiaro che non è in atto nessun
campionato fra scuole o regioni, non c’è nessuna classifica da scalare,
nessun orgoglio campanilistico da difendere, nessuna gogna da assegnare!
Tanto meno gli Invalsi possono rappresentare
la “formula per cacciare i docenti incapaci“ come ha equivocato ingenuamente
un preside modenese. Dalla misurazione degli apprendimenti non si può
passare semplicisticamente a giudicare, valutare, premiare o punire i
singoli insegnanti. Non sussiste epistemologicamente un tale criterio di
causa-effetto.
Bisogna strappare e gettar via questo
assurdo copione, accantonare il rituale pseudo-agonistico con inclusi i
politici che tifano per le loro città o regioni!
Cosa c’è da cambiare, oltre la denominazione
e le prove ? Vediamo alcuni aspetti rilevanti.
Deve essere superata la endemica situazione
di commissariamento dei vertici dell’Istituto, va ridotto il precariato
cronico (anche 15 anni) dei collaboratori, non è opportuno il ri-utilizzo di
dirigenti pensionati del Miur.
Miur e ministro devono definire, meglio
concordare con gli interessati coinvolti, dei precisi protocolli di
comportamento relativi a dette prove di valutazione esterne, non si possono
lasciare questioni sospese rimettendole all’iniziativa, alla discrezione
interpretativa, comportamentale e caratteriale dei presidi. Se dovessero
sorgere contrasti o incomprensioni tra preside e docenti, non possono essere
rimessi al giudizio del preside stesso, che avrebbe il duplice ruolo di
parte in causa e giudice monocratico di se stesso!
La valutazione esterna poi non deve essere
ristretta e confinata ai soli risultati del rapporto
insegnamento-apprendimento ma deve comprendere anche le condizioni in cui
detto rapporto viene effettuato: consistenza numerica delle classi (v.
classi-pollaio), dotazioni della scuola (edifici, strutture, …), quanti
docenti di ruolo e quanti precari, ed altri ancora.
La valutazione esterna deve riguardare ed
esprimersi anche su tutto il sistema scuola, sulla sua organizzazione
gerarchica, burocratica e procedurale sia centrale che periferica
valutandone l’efficacia e i costi, compresi quelli sopportati da studenti,
famiglie e personale scolastico. Bisognerebbe individuare pochi, semplici e
significativi parametri indicatori del livello di organizzazione e
burocrazia.
Questi potrebbero riguardare:
a) il numero di addetti alle funzioni
burocratiche (cioè coloro che non risultano coinvolti direttamente
nell’interazione didattica);
b) il loro costo complessivo e quello
unitario medio;
c) la normativa già esistente o prodotta
(quante circolari);
d) il tempo e il numero di passaggi e
autorizzazioni occorrenti per completare una certa procedura significativa.
Un esempio attuale è costituito
dall’accorpamento di alcuni USR: Veneto e Friuli; Marche e Umbria; Abruzzo e
Molise; Puglia e Basilicata. Quanto pensa di risparmiare lo Stato? È stato
valutato il costo del trasferimento in un’unica sede? È stato anche valutato
il maggior costo (in spostamenti e tempo) a carico di chi deve svolgere
pratiche presso un USR più lontano? Si può escludere che a fronte di un
risparmio teorico di 100 euro per il Miur, poi non ci sia una maggiore spesa
complessiva 200 euro a carico degli italiani? Insomma il risparmio
ipotizzato sulla carta verrà monitorato periodicamente e in seguito
confermato, o smentito, da parametri significativi, oppure no?
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P.S. Un cenno a recenti vicende ministeriali
e governative. Solo pochi giorni fa (15 novembre), la scuola è stata come
investita da un vento siberiano, gelido e atroce. La notizia di “una legge
delega – presentata da Carrozza al CdM l’8 nov. – che, bypassando il
dibattito parlamentare e il confronto con i sindacati, punterebbe a
riformare radicalmente il mondo della scuola e il rapporto di lavoro dei
docenti“.
Si è subito diffuso l’allarme, poi sono
venute decise le reazioni e le prese di posizione. Il ministro Carrozza, da
Shanghai, ha dovuto fare marcia indietro e smentire.
Così:
“Miur: Disegno di legge delega,
testo che circola è superato. A seguito delle notizie di stampa sul Disegno
di legge delega in materia di Istruzione, Università e Ricerca, il Ministero
precisa che il testo a cui si fa riferimento è da ritenersi del tutto
superato” (18 novembre).
La trappola, scoperta in tempo, non è
scattata! Ma il testo della legge delega è stato solo superato e non
ritirato. Ne verrà proposto uno diverso ancora come legge delega oppure
proseguirà come ddl normale come ha dichiarato il sottosegretario Gianluca
Galletti (21 nov.)?