17.02.2015
Valutazione: dal
numero alle competenze
di Maria Teresa Roda
Abolire la valutazione numerica alla scuola primaria. Questa è la campagna che
lancia il Movimento di Cooperazione educativa. Una parola d’ordine d’impatto,
condivisibile e chiara; ovvie le ragioni che sottostanno a questo obiettivo.
Dietro ai numeri c’è un’informazione parziale, i voti non indicano i progressi
comunque registrati e dunque tendono a penalizzare. Vertecchi parla di “bastone
da maresciallo” che continua nella logica punitiva non ostante programmi ed
indicazioni facciano riferimento alle competenze; il “bastone” si abbatterebbe
sia sugli allievi che sui docenti data l’aggiunta del fallimentare processo di
valutazione di sistema in corso. L’ex Ispettore Iosa rifiuta il “Dio misura”.
Tiriticco sottolinea la contraddizione tra competenze e misura numerica.
Maragliano plaude all’iniziativa. Ed altri seguiranno ad appoggiare la campagna,
come prevedibile. Dunque tutto pacifico?
Son passati sei anni dal ritorno dei numeri. E’ stato questo tempo un tempo di
fermenti pedagogici tali da per poter risollevare la bandiera del no al voto?
Alcune questioni maggiormente analitiche vengono sollevate da Franco de Anna. Lo
scarso livello di ribellione al provvedimento, quando uscì, la poca familiarità
della categoria docente con la cultura della valutazione. Ne seguono
interessanti considerazioni anche tecniche sull’uso delle scale numeriche e sul
loro differente peso; valutare da 0 a 10 non è la stessa cosa che considerare
punto di partenza il 4 come fanno molte scuole. Perché non è che tutto ciò che
contiene numeri vada buttato a mare e/o generi fraintendimento. Gli stessi alunn*
dicono su di loro e sui loro progressi quante volte hanno registrato un successo
e quante sono incors* in un inciampo. Ma procediamo con ordine.
Prima questione: qual è il punto di massima ambiguità ed incoerenza della
normativa del 2009 su tale questione? Molti argomentano sia la contrapposizione
tra quantitativo e qualitativo, per semplificare, tra l’esito di un percorso
teso allo sviluppo di competenze non misurabili in cifre ed appunto, la nota
numerica. E sicuramente lo è ma c’è un nodo irrisolto che la semplice abolizione
dei numeri non scioglierebbe. Il numero è (ri) diventato parametro “oggettivo”
per “uniformare” su tutto il territorio nazionale una presunta e raggiunta
unitarietà dei livelli di apprendimento: una certificazione frontaliera e
transfrontaliera più “obiettiva e trasparente” dei “giudizi”.
Solo ottusità gelminiana accompagnata dal ritorno del maestro unico? O, in
parte, nemesi ed impoverimento di un percorso valutativo con vent’anni di
produzione della più variegata tipologia di schede, indicatori, parametri, che,
a loro volta imprigionati nei “talora”, “non sempre” ..si sono trasformati in
griglie in cui apporre crocette o individuare livelli hanno finito con il
toccarsi con una classificazione numerica?
Per affrontare questa prima ineludibile questione si impone un’analisi storica
di almeno tre elementi.
• La contrapposizione tra “curricolo” reale e curricolo “ufficiale”istituzionale
• l’atteggiamento del corpo docente tra cultura valutativa e prassi della
quotidianità spesso mescolata all’urgenza di risoluzione di atti burocratici
• connessione e comunicazione degli esiti scolastici alle famiglie che accorrono
in massa alla consegna del documento di certificazione.
I risultati quadrimestrali hanno finito con il mangiarsi e mettere in ombra il
curricolo e la progressione fatta di piccoli passi mai lineari; questo
predominio della cultura dell’esito finale su quello del dipanarsi del percorso
di apprendimento è sicuramente datata antecedentemente al 2009 ed ha interessato
tutti indistintamente. La scala di riferimento è diventata l’oscillazione tra
eccellenze ed insuccessi; su questo la scuola ha finito col misurarsi con se
stessa, con le altre scuole di pari grado e di livello superiore. La scuola
primaria non è andata esente da questo doppio registro. Le prove Invalsi si sono
imposte calandosi dentro a questo iato già esistente e all’interno di una
fragilità della frastagliata pratica curricolare finalizzata alle cosiddette
competenze di base.
La questione non è risolta laddove, come alla secondaria di secondo grado si
sono prodotte le “pagelline” bimestrali con una scansione raddoppiata del pasto
del curricolo reale. Qual è lo stato delle cose tra la valutazione della
quotidianità e valutazione finale? Può una campagna che si presenta come
“abolizionista” colmare lo scarto di cui sopra?
E’ pensabile un passaggio tout court dal numero alla valutazione delle
competenze? Le competenze da acquisire ed acquisite andrebbero descritte o, una
volta descritte, (ammesso che ci sia un vocabolario ed una profonda condivisione
del concetto di competenza tra il variegato corpo docente intergenerazionale
oggi presente a scuola) verranno accompagnate al grado del loro possesso:
completo, non ancora completo…
I nostri cugini d’oltralpe sono alle prese con lo stesso problema con la
differenza che a porselo non sono le associazioni professionali ma lo stesso
ministero dell’educazione che, analizzati i dati di insuccessi scolastici e calo
di motivazione attribuisce al voto la responsabilità di indurre negli alunn* un
atteggiamento di scarsa serenità davanti alla prova da affrontare. L’alternativa
ai numeri sarebbe il ricorso ai colori, alle faccine …a tutto ciò che è in
adozione da tempo nella scuola finlandese. Peccato che la scuola finlandese
abbia tutto un altro impianto pedagogico e goda di ben altre risorse ed
investimenti tanto della scuola francese e non parliamo di quella italiana.
Qui dunque si aggiungerebbe un ulteriore elemento di riflessione: quello
dell’emotività che giocherebbe una parte non secondaria nel modo con cui alunn*
affrontano le prove. Saranno i colori a sciogliere le tensioni? O i contesti
educativi? O le relazioni ed il circuito delle aspettative degli adulti sui
bambin*?
L’abolizione del voto dunque per un passaggio ad una valutazione per competenze.
Non posso immaginare una campagna solo abolizionista, anzi , sinceramente avrei
preferito fabbricare una parte costruens per poi lanciare la destruens. Non che
si parta da zero sulle elaborazioni e sulla pratica delle metodologie valutative
ma le trasformazioni degli ultimi anni hanno indotto la scuola a cambiar volto
in tempi rapidissimi nei suoi elementi strutturali.
Alla scuola primaria è stato distrutto il team docenti proprio nel mentre si
proponeva il ritorno al voto e sicuramente dei due , il primo è stato il male
peggiore. Questo ha comportato un vero e proprio smontaggio genetico di
un’organizzazione scolastica con rotture di continuità di docenti e
collegialità, di osservazione dei processi di apprendimento. Il procedimento
valutativo come operazione di composizione di più sguardi congiunti sia sugli
alunni che sulla classe si è interrotto e si è passati ad una atomizzazione dei
singoli atti valutativi. Questa condizione “oggettiva” penalizzante non muta se
muta solo l’operazione finale dell’atto valutativo; non più un numero ma
l’appartenenza ad una fascia (alta, media, bassa) di competenza acquisita. Tanto
meno sono cambiate le condizioni in cui tale operazione si espleterebbe ..siamo
rimasti al medio evo delle 40 ore in presenza di un forte ricambio e
precarizzazione del corpo insegnante. La classe docente ha ormai inglobato gli
anticorpi ai trasformismi degli ultimi tempi : il passaggio dal portfolio delle
tre I della Moratti, alle competenze di matrice anglosassone. Tutto è stato
digerito e trasformato in strumento adattato ai dettami delle circolari
ministeriali. Per questo non abbiamo bisogno di un’ulteriore operazione di
ri-adattamento in assenza di elementi strutturali che accompagnino il curricolo.
E questi non ci sono. Non ci sono come elaborazione e non ci sono come direttiva
di orientamento su pratiche scolastiche che adeguino gli apprendimenti ai nuovi
alfabeti e linguaggi.
Purtroppo la selezione che procederebbe dai numeri si è operata non solo con
l’attribuzione del voto ma togliendo centinaia di ore di tempo scuola che
avrebbero consentito quella lentezza di cui spesso parlava il nostro amico
Zavalloni quando così bene ci diceva in cosa consistesse la pedagogia della
lumaca. Posto che anche dalle situazioni di terremoto si può ricostruire, tolti
i numeri quale curricolo vorremmo?