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I problemi della valutazione dopo la legge 169

22.01.2014

Intervista a Mariangela Bastico a cura di R. Palermo

 

Domanda
Sono ormai almeno 15 anni che in Italia si parla di valutazione di sistema (scuole, insegnanti, ecc..) eppure siamo quasi fermi.

E' dovuto solo alle inevitabili resistenze interne oppure c'è anche un po' di inerzia della politica?

Più che inerzia ci sono stati pesanti errori della politica sulla valutazione delle scuole. I governi di centro-destra hanno introdotto, o peggio, minacciato l’introduzione della valutazione, sulla base di presupposti, a mio avviso, errati: la valutazione è stata presentata come strumento per individuare “i buoni” e i “cattivi” (docenti e dirigenti), a cui, attraverso la stessa, dare “premi” e “castighi”, quali riconoscimenti di carattere economico e di progressione di carriera.
Da qui si è determinata una grande confusione tra i diversi livelli di valutazione, sovrapponendone le finalità e le metodologie, che invece avrebbero dovuto rimanere ben diversificate.
C'è la valutazione volta a misurare  l'efficienza e l'efficacia dell'organizzazione complessiva della singola autonomia scolastica, evidenziandone gli elementi di forza e di debolezza, per renderli rilevabili e riproducibili in altre scuole.
C'è la valutazione volta a misurare gli apprendimenti dei ragazzi in termini di crescita relativa: non quindi i risultati raffrontati in termini assoluti, ma la misurazione di quanto gli studenti hanno appreso in termini di saperi e di competenze nel corso di un ciclo scolastico. Solo attraverso questa metodologia si può misurare quanto la scuola riesca a determinare la crescita culturale dei ragazzi, essendo ben consapevoli dell'incidenza, ancora purtroppo prevalente, dei contesti sociali, culturali e familiari in cui i giovani vivono. La misurazione in termini assoluti costituisce una enorme discriminazione a danno delle situazioni più difficili e degli insegnanti che operano, spesso con grande competenza e passione, in questi contesti.
Infine può esserci la valutazione dei singoli docenti e dirigenti, da svolgersi con grande prudenza, al fine di non disperdere l'elemento essenziale per la qualità dell'istruzione, cioè il lavoro di gruppo dei docenti e del personale della scuola.
La politica ha il compito di fare scelte chiare sulla valutazione, ma, ora, dovrebbe avere una priorità: rimettere al centro l'investimento in istruzione, quale leva essenziale per il futuro di ogni persona e per uscire in avanti da questa terribile crisi economica e sociale. Priorità spesso declamata, ma raramente praticata.

Non pensa che sia un preciso diritto del cittadino sapere se la scuola frequentata dal proprio figlio è una buona scuola?

Il diritto di ogni cittadino è di avere una buona scuola. La visione limitata della valutazione come strumento per generare graduatorie di qualità delle scuole produrrebbe il solo effetto di rafforzare coloro che sono già forti culturalmente ed economicamente e di indebolire ulteriormente i già deboli, ai quali toccherebbe un’istruzione pubblica minimale, residuale, di qualità molto ridotta.
La valutazione, invece, deve avere una funzione ben più alta: diventare uno strumento essenziale per il miglioramento della scuola, mediante la diffusione delle migliori esperienze. Deve, infatti, consentire di comprendere perché ci siano enormi divari di rendimenti tra una scuola e l’altra, a volte anche all’interno di uno stesso territorio; di comprendere quali siano gli elementi che favoriscano il conseguimento di risultati positivi, in termini di crescita relativa degli studenti, in una determinata scuola, al fine di renderli riproducibili.
L’obiettivo della valutazione non è avere qualche scuola di eccellenza, da premiare con maggiore riconoscimento economico per i docenti che vi insegnano, ma cogliere le buone pratiche e diffonderle, per migliorare l’intero sistema.
 
E se nei processi di valutazione del sistema si incominciasse a pensare ad un coinvolgimento più diretto delle Regioni non si potrebbe forse ottenere qualche risultato in più ?

Ritengo che la valutazione debba rimanere nazionale ed essere basata su criteri e modalità applicative omogenee, per rendere confrontabili i dati. Alle Regioni e agli enti locali devono spettare le politiche di miglioramento della qualità delle scuole, attraverso la valorizzazione delle autonomie scolastiche, attraverso le innovazioni didattiche e la costruzione di percorsi scuola-extrascuola, in collaborazione con le associazioni, le forze sociali, il mondo del lavoro.
Tra le riforme di cui si sta ora discutendo c'è la revisione del titolo V della Costituzione: auspico che la normativa relativa all'istruzione e alla formazione professionale rimanga inalterata, dal momento che numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno delineato chiaramente i confini delle competenze tra i diversi soggetti istituzionali. Si tratta ora di dare attuazione a questo impianto normativo, non di rimetterlo in discussione, per ripartire da capo.
La scuola deve rimanere un ordinamento nazionale finalizzato a rendere effettivo il diritto all'istruzione, costituzionalmente garantito, di ogni persona. Questo ordinamento si articola in autonomie scolastiche, che operano entro le norme quadro nazionali e nell'ambito della legislazione concorrente regionale. Proprio perché credo ed auspico che l'autonomia didattica ed organizzativa delle scuole possa rafforzarsi ed ampliarsi, diventa ancora più importante la valutazione per verificare l'efficacia e la qualità delle scelte autonomamente assunte.

Il regolamento sulla valutazione "a tre gambe" (Invalsi, Indire, Ispettori) è ormai di un anno fa ma nulla si muove. Continuando ad aspettare non rischiamo di vedere aumentare il nostro divario con altri Paesi?

La scelta di organizzare la valutazione "a tre gambe" può essere condivisibile, ma il tema è quello di definirne bene gli obiettivi, da cui conseguono modalità e metodi. C'è un'azione urgente da fare: occorre modificare da subito il test Invalsi in terza media, eliminandone la natura di elemento costitutivo dell’esame a conclusione del ciclo scolastico. La valutazione degli apprendimenti dei singoli studenti è utile, qualora si misuri la crescita relativa di ognuno, non, come attualmente accade, se incide impropriamente sulla valutazione finale del singolo allievo.
Concludo, sottolineando che quando si ragiona di valutazione si deve avere ben chiaro l'obiettivo che si assegna al sistema nazionale d'istruzione. Credo che questo sia assolutamente mancato.
La scuola che vorrei è quella del “non uno di meno”; per realizzarla ci vuole la disponibilità a un mutamento culturale, a una vera partecipazione collettiva. Ed è proprio con la mente rivolta a questa utopia che possiamo sperare di cambiare rotta.

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Mariangela Bastico è stata vice-ministro all'Istruzione nel Governo Prodi (2006-2008) e senatrice del PD dal 2008 al 2013.

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