14.01.2014
L’indagine
OCSE PISA 2012: tre aspetti in primo piano
di Antonio Valentino
Era ovvio che, a seguito della pubblicazione dei
risultati dell’indagine OCSE PISA 2012, rispuntassero le polemiche, i
distinguo e i dubbi che hanno accompagnato le rilevazioni internazionali
e nazionali precedenti.
Abbiamo così avuto modo di rileggere e di ripensare i ragionamenti critici colti qua e là. Soprattutto
sulla parzialità delle aree di indagine e sul valore dei test in sè (le critiche più forti: penalizzerebbero l’originalità e la creatività e non sarebbe in grado di recepire la concretezza dell’esperienza didattica);
sulla congruità dei parametri per la valutazione e sulla idea di competenza nella costruzione dei test. Idea, quest’ultima, che sembrerebbe escludere o non considerare adeguatamente, in alcune critiche, tutto ciò che è cultura (vista come espressione di quanto è specifico nelle condizioni di esistenza degli individui e dei popoli);
sulla metodologia Ocse-Pisa, percepita come “riduzionista” (essendo centrata sulle competenze in lettura e in matematica e scienze) e sul favore accordato, nelle prove, a una forma mentis che privilegia l’intelligenza logico-formale su tutte le altre.
Molte di
queste obiezioni (che riguardano anche altri rischi che qui si tralasciano)
hanno certamente – come da tanti è stato ricordato - un loro nucleo di
verità ed evidenziano interrogativi e problemi che meritano attenzione e
studio - possibilmente sine ira -. E questo perchè centrano questioni
fondamentali del fare scuola.
Andrebbe riconosciuto però - ed è qui il senso di queste considerazioni che ricalcano non poche voci al riguardo - che le rilevazioni su apprendimenti che fanno riferimento ad alcune abilità sociali e culturali, anche se non permettono, ad esempio, di testare il livello di originalità dei nostri studenti e la vitalità dello scambio educativo, consentono tuttavia non solo
a. di gettare luce, per come sono costruiti, sulla padronanza o meno – da parte dei nostri studenti - di alcuni requisiti importanti (comprendere testi diversi e saperli analizzare, problem solving e problem setting, ….), ma anche,
b. di correlare i risultati con altri fattori di contesto e di consentire comparazioni utili a più livelli (territoriali, regionali, internazionali).
Né si può sottovalutare il fatto che i dati raccolti si possano ‘interrogare’ almeno come indicatori non trascurabili. Soprattutto quando gli aspetti critici individuati si ripetono, senza grosse variazioni, nelle rilevazioni di diverse altre agenzie scientifiche.
E i dati
raccolti e analizzati pongono interrogativi pressanti sulle
diseguaglianze allarmanti tra nord e sud del Paese anche in campo
scolastico e sollecitano ricerche e conferme, sia sull’incidenza dei
rapporti col territorio e sui diversi modi di funzionare del
sistema scuola nelle varie aree geografiche (sui suoi punti di forza e
sulle sue perduranti criticità come fattori di successo / insuccesso); sia
su senso e valore della comparazione tra le condizioni di
funzionamento del nostro sistema educativo e quello di altri Paesi (e,
ovviamente, in primo luogo di quelli che hanno ottenuto risultati nettamente
più positivi rispetto al nostro).
Consideriamo un po’ più analiticamente questi tre aspetti.
1. Le
diseguaglianze in primo piano. Fa molto senso – con tutti i
distinguo del caso - il fatto che il sistema scuola del nostro paese si
collochi ben al di sotto della media degli altri paesi in cui si è svolta
l’indagine (il rapporto però permette di rilevare anche miglioramenti
rispetto alla rilevazioni del triennio precedente, indubbiamente
terribilis per i tagli pesanti, l’incuria e l’incompetenza patita dalle
scuole). Ma fa ancora più senso il fatto che alcune regioni si pongano ben
al di sopra della media e altri molto al di sotto. Con ciò mettendo a nudo
le diseguaglianze del sistema, a loro volta specchio di diseguaglianze
economiche e sociali e culturali.
Qualcuno obietterà: è la scoperta del’acqua calda. Può darsi. Quando però a
confermartelo, con abbandanza di dati – e di correlazioni - è una agenzia
internazionale che ha comunque una sua credibilità e affidabilità
scientifica di livello internazionale, allora una qualche preoccupazione
aggiuntiva non può non nascere.
2. Sulla correlazione risultati / territorio. L’indagine del 2012 – come si sa - ha sottoposto a valutazione non solo il risultato nazionale complessivo, ma anche quello regionale. E il Rapporto ha permesso di evidenziare, ancora una volta, il profondo legame tra successo / buon funzionamento scolastico e contesti territoriali. Così vengono spiegati sia l’ottima collocazione del Trentino, l’area geografica del nostro paese meglio classificata (la quarta in Europa e undicesima a livello mondiale), e i buoni risultati del Friuli Venezia Giulia e del Veneto. Ma anche della Lombardia e dell’Alto Adige-Sud Tirolo. Possiamo continuare ad ignorare questi nessi – ai vati livelli - e a pensare che non ci siano problemi su quesi fronti che meritino interventi urgenti?
3. Sulle comparazioni. Un aspetto importante del Rapporto – non ancora diffuso in tutti i suoi risultati (in Italia sono state pubblicate due sezioni su quattro) - è quello riguardante la comparazione tra le condizioni di funzionamento del sistema educativo dei Paesi che hanno ottenuto - nella rilevazione – risultati nettamente positivi e quelle del nostro, ‘piazzato’, come si è detto,in posizioni non proprio brillanti . Lo stesso Vertecchi, che, in un recente articolo su questa indagine, aveva sollevato non pochi dubbi sulle rilevazioni dell’OCSE, ha riconosciuto e sottolineato l’importanza dei dati che evidenziano lo scarto tra opportunità d’istruzione / qualità delle esperienze di cui fruiscono i nostri ragazzi e quelle apprezzabili in altri paesi dove le cose funzionano meglio. Scarto che molto probabilmente è alla base dei risultati contradditori e complessivamente modesti (o scadenti) del nostro sistema.
Vertecchi richiama soprattutto, ad esempio, gli orari di funzionamento delle nostre scuole “schiacciati sul tempo delle lezioni, senza possibilità di applicare ciò che è stato appreso, di compiere le esperienze e di sviluppare le interazioni che renderebbero qualitativamente apprezzabile l’apprendimento”.
Ma andrebbe preso in considerazione anche il discorso sugli insegnanti (reclutamento, responsabilità, professionalità, valutazione e carriera) che è affrontato nel Rapporto sulla base di dati, non ancora noti nel dettaglio (anticipazioni sono state fatte nel Convegno di TREELLE, intorno alla metà del mese scorso, con Andreas Schleicher, responsabile del programma Pisa, Eric Hanushek, caposcuola degli economisti dell’istruzione e consulente dell’Ocse, ed alcuni nostri studiosi ed esperti). Anche su di essi bisognerebbe ritornare per capire le possibili strategie da sperimentare nel prossimo futuro.
Perciò è una bella notizia la decisione del Ministro Carrozza di dedicare, in febbraio, una sessione di approfondimento sul Rapporto e di analisi dei risultati delle indagini OCSE PISA 2012. I dubbi e le critiche vanno bene e fanno bene. Ma interrogare criticamente e propositivamente i dati delle rilevazioni (anche relativizzandoli e contestualizzandoli) può solo aiutare – e molto – a individuare e dare gambe più solide a strategie di miglioramento. Che è il vero, urgente obiettivo.