23.01.2009
Poteva
andar peggio
(a proposito del Decreto sulla valutazione dei comportamenti)
di Antonio Valentino
Come è noto, le
novità che il DM del 16 gennaio introduce - rispetto alla Valutazione del
comportamento degli studenti - riguardano il ritorno al voto nella scuola di
base e il ripristino della norma per cui un voto negativo comporta
l’automatica non ammissione alla classe successiva.
Sul primo versante, molto si è scritto e giustamente, sulle incongruenze e
sui passi indietro dei provvedimenti ministeriali e sulle logiche banalmente
semplificatrici e regressive che li informano.
Sul secondo versante, quello che si può dire, senza tanti timori di essere
smentiti, è che non ce n’era assolutamente bisogno, almeno in questa fase, e
che il provvedimento sembra essere più un documento di sapore
propagandistico che strumento utile per il mondo della scuola. E’ dai tempi
della Moratti che si tende a enfatizzare il fenomeno del bullismo e a
ritenerlo responsabile di tutti (o quasi) i mali della nostra scuola. Chi
nella scuola vive e lavora sa che così non è: che sia un problema è
innegabile. Ma nessuno può pensare né che nasca oggi, né che la sua
consistenza abbia attualmente assunto caratteri e dimensioni particolarmente
preoccupanti. Oggi, a ben vedere,, il problema è piuttosto la motivazione
dei nostri studenti, il loro essere “fuori” rispetto a quello che la scuola
propone, la passività, la superficialità degli apprendimenti, la fragilità
delle stesse competenze di base, a partire da quella linguistica.
Per molti versi si può dire che il bullismo è conseguenza e non certo causa
delle tante questioni aperte del nostro sistema.
Perciò fa un po’ senso il tono trionfalistico, e sostanzialmente demagogico
e falso, con cui, sul sito del Ministero, viene sbandierato il testo del
Decreto, presentato come il toccasana dei problemi della scuola. “Basta con
i comportamenti violenti e con il bullismo”: così viene introdotto il citato
DM.
Anche nelle considerazioni a premessa dell’articolato, il provvedimento
viene collegato esplicitamente ai “fenomeni di violenza, di bullismo e di
offesa alla dignità e al rispetto della persona che si verificano in maniera
purtroppo ricorrente anche nelle istituzioni scolastiche …”. Nientemeno.
Per la serie: l’effetto per la causa.
E non penso che si tratti di incompetenza, quanto piuttosto di
mistificazione politica. E’ evidente infatti che il decreto di cui stiamo
parlando appare più come la risposta ad una psicosi collettiva che si è
voluto creare ad arte (la paura del bullismo) - per poter apparire i
salvatori della patria -, che non a esigenze effettive della scuola.
A evitare fraintendimenti: un problema al riguardo c’è indubbiamente, come
c’era d’altra parte in stagioni passate. Ma altro è “il” problema. Ed è
“questo” problema che chiama in causa non tanto gli studenti, quanti altri
soggetti: e in primo luogo le responsabilità, non esclusive, ma principali,
della nostra classe politica che ha quasi sempre sottovalutato l’importanza
della formazione dei giovani e il ruolo della scuola .
Comunque il provvedimento è di quelli che non cambieranno granché nella vita
delle scuole.
Introduce solo uno “spauracchio” che però difficilmente influirà sui
comportamenti negativi dove si manifestano; uno strumento che solo in
apparenza semplifica la vita agli insegnanti. In realtà, esso è destinato o
a lasciare le cose come stanno o addirittura a ingarbugliarle, come tutte le
operazioni demagogiche e ideologiche, se non viene letto con un po’ di sale
in zucca (che per fortuna nelle nostre scuole non manca).
Va però richiamato che il Decreto, per quanto nasca con questo peccato
originale, contiene anche una serie di paletti che cercano di riportare la
norma della non ammissione alla classe successiva - in caso di voto
negativo in “condotta”- , su binari più accettabili di quelli che il testo
legislativo di riferimento (DL 137/2008) lasciava presagire.
Per esempio afferma che la votazione insufficiente può essere attribuita dal
Consiglio di classe soltanto “in presenza di comportamenti di particolare ed
oggettiva gravità”; riconducibili a quelli per i quali nello Statuto delle
studentesse e degli studenti (…), e nei Regolamenti di istituto, si
prevedano sanzioni disciplinari quali l’allontanamento temporaneo dello
studente dalla comunità scolastica per periodi superiori a quindici giorni
(art. 4, commi 9, 9 bis e 9 ter dello Statuto)”.
Nell’articolo 4 si chiarisce poi che l’attribuzione di una votazione
insufficiente presuppone che il Consiglio di classe abbia accertato - e
adeguatamente motivato e verbalizzato - che lo studente, successivamente
alla irrogazione delle sanzioni, non abbia dimostrato apprezzabili e
concreti cambiamenti nel comportamento. Come pure, è importante
l’affermazione per cui la valutazione del comportamento “non può mai essere
utilizzata come strumento per condizionare o reprimere la libera espressione
di opinioni, correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità,
da parte degli studenti” (art. 1).
Come si può notare, le idee bellicose del Decreto Legge 137 di quest’estate
sono in parte rientrate, anche se persiste nell’entourage del Ministro (e
nel Ministro stesso) l’intento di “vendere” il provvedimento come una
vittoria contro il “bullismo” e il “permissivismo” del mondo della scuola.
Certamente le proteste dei mesi scorsi e il dibattito parlamentare hanno
indotto la Gelmini a più miti consigli.
Va comunque evidenziato che l’intero impianto del Decreto (la “filosofia”),
pur con queste garanzie importanti, obbedisce alla logica che è propria di
chi non è capace di uscire da una visione esclusivamente punitiva della
valutazione dei comportamenti negativi degli studenti.
Tale impostazione toglie pertanto senso e valore al documento. Che, alla
fine non risulta dannoso, come si poteva temere, ma neanche efficace, come
invece poteva essere.
Penso infatti che un impianto diverso del Decreto avrebbe potuto innescare
processi positivi, recuperando principi e valori potenzialmente stimolanti e
motivanti di comportamenti virtuosi, e orientare procedure funzionali allo
scopo. Per esempio: il richiamo e l’enfasi sul possibile valore premiante
della valutazione e quindi l’attenzione alle “convenienze” che agli studenti
possono derivare da un voto di condotta “alto” (media più elevata nello
scrutinio finale e credito scolastico più consistente, nel Triennio).
Per
esempio, la sottolineatura della trasparenza dei criteri valutativi e la
esplicitazione degli oggetti della valutazione (in positivo e in negativo)
che hanno comunque di per sé, anche riferiti ai comportamenti, un valore
formativo.
Su questo terreno però, dove non è arrivato il
Ministro, possono arrivare le scuole autonome, considerate anche le aperture
per quanto formali sull’autonomia contenute nel Decreto (v. soprattutto
l’art. 5). Nel senso che il Decreto può essere occasione, dentro le scuole e
dentro le reti di scuola, per pensare la questione in modo non riduttivo (o
addirittura sbagliato, come è di fatto nelle premesse al’articolato del
decreto) e per valorizzare logiche non più o non solo sanzionatorie, ma
anche intenzionalmente e programmaticamente premianti.