E vero.
Fatto salvo che, ci piaccia o meno, gli adolescenti un po conformisti lo sono
sempre stati, mica solo quelli di oggi e nessuno escluso, presunti rivoluzionari compresi
(ci ricordiamo le macchie verde sporco degli eskimi davanti alle scuole e le folate di
vento, accompagnate da violente grandinate, prodotte dal passaggio di schiere compatte di
ragazze con ampi gonnelloni e zoccoli dordinanza?).
E sottolineato che il bisogno di sentirsi uguali e di essere in tanti è da lungo
tempo e largamente studiato da psicologi e psicanalisti (anchessi sempre più tutti
uguali e minacciosamente numerosi) e che, così ci dicono, lansia di omologazione si
attenuerà dopo ladolescenza, quando il "gruppo dei pari" perderà il suo
ruolo predominante. Considerato tutto questo (dati, causa e pretesto direbbe
qualcuno assai poco conformista), ammettiamolo, però: i ragazzi doggi , anche
volendo cospargerli di comprensiva melassa alla Crepet, sono un po troppo
fastidiosamente conformisti. E questo ci dispiace, anche se non crediamo più che la
trasgressione sia un inequivocabile segno di intelligenza e che la "normalità"
sia per forza ottusa.
Sono conformisti i nostri ragazzi e, probabilmente, la colpa è di "questa
sporca società". Il quadro politico e culturale non risulta propriamente
entusiasmante ed invoglia i ragazzi più ad eliminare le differenze con i loro coetanei (e
anche con il resto del mondo) che ad esporre le specificità delle proprie anime
(irrimediabilmente afasiche?). E bisogna riconoscere che abbiamo vissuto momenti storici
in cui era più facile enfatizzare e valorizzare le diversità, disporre di contenuti
alternativi a quelli ufficiali, sempre più videotrasmessi. Ora è un momentaccio:
limmagine (preferibilmente pubblicizzata) prevale sulle individualità, le
informazioni (preferibilmente spettacolarizzate) hanno eliminato la comunicazione. Sono
conformisti i nostri studenti (però, mica tutti, non esageriamo) e con questi chiari di
luna dovremmo stupirci del contrario.
La colpa, quindi, è della società e noi non centriamo niente e possiamo
farci poco. O no?
Per difetto generazionale, pecco di dietrologia e, allora, faccio fatica a non
scorgere anche una richiesta di conformismo in questansia di oggettività che sta
pervadendo la scuola. Alcune paroline che ormai girano ossessivamente fra i corridoi e le
aule (indicatori, parametri, misurabilità, livelli standard) mi sembrano assai più
compatibili ad una richiesta di congruenza con i criteri e gli apparati istituzionali che
allesigenza di valorizzare ed incentivare la relazione e le differenze di e fra
soggetti.
Mi viene il dubbio che abbia ragione Galimberti quando afferma che anche a scuola
si insegna il conformismo, che le due teorie pedagogiche più comunemente seguite,
cognitivismo e comportamentismo, sono psicologie che conducono inevitabilmente al
conformismo. In "Psiche e techne", Galimberti scrive che il cognitivismo
aggiusta le idee degli individui e ne riduce le dissonanze cognitive in modo da
armonizzarle allordinamento funzionale al sistema e che il comportamentismo educa ad
adeguare le proprie condotte difformi, indipendentemente dai propri sentimenti e dalle
proprie idee. Insomma, entrambi gli indirizzi educativi assumono come ideale di salute il
conformismo e respingono qualsiasi processo che non risulti funzionale allapparato.
Magari Galimberti esagera (e poi si sa che non ama la scuola e tantomeno gli
insegnanti). Però, il dubbio mi resta e forse vale la pena di rifletterci, sulle sue
parole.