 |
EDUCAZIONE INTERCULTURALE
a cura di Aluisi Tosolini |
Educazione
interculturale: problemi e prospettive del rapporto tra culture diverse
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
un intervento della prof.ssa Daccò che presso lIstituto Superiore Giordani di Parma
coordina il modulo di Educazione interculturale. Una sollecitazione alla
ricerca ed al dibattito (at)
L'incontro tra culture
diverse, favorito dal fenomeno sociale delle migrazioni da una parte, e dal progresso dei
mezzi di comunicazione e di trasporto dallaltra, ha portato alla coniazione di un
nuovo termine: interculturalità. Una parola maturata alla luce dell'internazionalismo dei
tempi attuali, della globalizzazione, dell'interdipendenza economica, tecnologica ed
ecologica fra le componenti di un mondo in cui i problemi e le scelte di una parte
dellumanità coinvolgono tutti, in maniera più o meno diretta.
Linterculturalità si propone alle varie culture umane e ai loro membri come un
nuovo modo di essere in relazione. Implica unapproccio inter-culturale e
inter-soggettivo che abbandoni l'aggressività della logica egoistica e competitiva del
mors tua vita mea, una reale disponibilità a capire le ragioni degli altri, il più
possibile affrancati da pregiudizi e da presupposizioni etnocentriche, e un orientatamento
alla cooperazione e alla negozialità come metodo per pervenire alle decisioni.
Trattandosi di un progetto innovativo, linterculturalità richiede formazione. E
cè chi guarda all"educazione interculturale" come alla nuova
paideia destinata a formare le coscienze del Terzo Millennio. Le aspirazioni sono
impegnative: si tratta di acquisire una nuova intelligenza politica delle questioni
mondiali, una nuova intelligenza relazionale nei rapporti con gli altri e una nuova
maturità etica che portino a svincolarsi da logiche legate ai rapporti di forza e al mero
interesse immediato, ad opporsi all'uso della violenza e ad affermare i principi dello
stato di diritto ovunque nel mondo esso venga misconosciuto.
Sul piano psicologico individuale si vorrebbe favorire uno stato mentale culturalmente
creativo, che sappia cioè coniugare lautonomia critica e lo spessore ideale con la
curiosità e la permeabilità, evitando le secche del dogmatismo, le false rassicurazioni
dello sciovinismo così come lillusoria imparzialità della dissoluzione di ogni
riferimento e certezza.
In opposizione all'atteggiamento fatalistico di chi si rassegna all'egoismo degli uomini e
alla violenza, diretta o indiretta, materiale o morale, delle loro transazioni; di chi
riconosce come ineludibili la prevaricazione e lo sfruttamento in quanto da sempre
riscontrabili nelle dinamiche umane, l'interculturalità lancia una sfida che è
nell'interesse di tutti cogliere: si tratta di trovare il modo di far convivere
pacificamente e costruttivamente popoli di diversa cultura, che oggi, in un mondo divenuto
così "piccolo", si trovano ad essere, letteralmente o metaforicamente, vicini
di casa.
Detto in altri termini, si tratta di individuare una logica (un patto?) di convivenza che
scongiuri lipotesi di uno scontro di civiltà e prevenga conflitti di dimensione
locale tra gruppi umani di diversa appartenenza etnica e religiosa.
Lipotesi dello scontro di civiltà poggia, in effetti, su ragioni reali ed
ineliminabili: le diverse civiltà hanno patrimoni simbolici -tradizioni culturali,
religione, linguaggio-, valori di fondo e modelli di comportamento diversi, prodotti dalla
sedimentazione della loro storia.
Oggi, poi, quasi a contrastare la progressiva occidentalizzazione del mondo, e a fronte di
un indebolimento del ruolo dello Stato nazionale, il "bisogno di appartenenza"
spinge gli uomini a risentite affermazioni identitarie su base etnica. Tanto che
cè chi è convinto che in futuro saranno proprio le interazioni e i conflitti tra
le principali civiltà -occidentale, confuciana, giapponese, islamica, indù,
slavo-ortodossa, latino-americana e, forse, africana- a determinare lassetto del
mondo.
Intanto, nelle metropoli dellOccidente in nome del diritto ad essere
"diverse" le minoranze etniche chiedono di essere riconosciute. Si tratta di una
richiesta che uno stile di pensiero politically correct non può permettersi di ignorare a
lungo. Ma fino a dove il paese daccoglienza può spingere un riconoscimento
che deve comunque essere mediato con la salvaguardia dei capisaldi della propria
identità, delle proprie tradizioni civili e politiche?
Decisamente disorientante il relativismo radicale di chi pone sullo stesso piano qualunque
manifestazione culturale, riconoscendo ad esse, indistintamente, dignità e valore
intrinseco. Più costruttiva, invece, lipotesi di un riconoscimento critico, cioè
ponderato sulla scorta di criteri fra i quali quello della reciprocità -riconosco e
rispetto chi mi riconosce e rispetta- sembra essere irrinunciabile. Ragionevole ci sembra
anche il criterio di concedere piena libertà a espressioni/comportamenti
"etnico-specifici" (lingua, costumi, abbigliamento) quando essi, a discrezione
dello Stato ospitante, non compromettano lintegrità morale e/o fisica degli
individui.
Sul versante opposto a quello relativistico, anche lidea di un comune destino
dellumanità, alla base delle culture universalistiche laiche di stampo liberale o
marxista, è ormai alla corda. La "religione laica del progresso", di matrice
illuministica, fiduciosa che progresso tecnico-scientifico, progresso morale e progresso
sociale sarebbero avanzati congiuntamente, e che.avrebbero finito con il trionfare in
tutte le società umane, appare sconfessata dai fatti, che mostrano, a fianco di un
processo di diffusione a livello mondiale della scienza, della tecnica e dei modelli di
produzione e consumo di tipo liberal-capitalistico, il permanere, e in taluni casi il
radicalizzarsi, di ideali e valori più o meno lontani da quelli propri della cultura
occidentale. E il dato di fatto che ogni cultura abbia caratteristiche di profonda,
irrinunciabile valenza identitaria, induce a considerare con maggior cautela
lipotesi che i valori civili e sociali della cultura occidentale, riassumibili
nellindividualismo, nellegualitarismo e nel liberalismo, siano destinati a
trionfare su quelli delle altre culture. Né può essere data per scontata, del resto, la
desiderabilità di tale prospettiva.
Quali dunque i possibili esiti dello scontro tra diversi sistemi di valori? Si potrebbe
ipotizzare che le culture più forti, come già accaduto in Giappone, riescano a coniugare
la modernizzazione con le proprie specificità culturali, e che, invece, le culture più
deboli saranno gradualmente assimilate a quella occidentale.
Da unaltra prospettiva, sulla scena di un futuro forse non troppo lontano, fa
capolino la stimolante possibilità per gli individui di forgiare la propria identità
sulla base di una "multiappartenenza", derivante da unelaborazione
creativa della propria cultura /appartenenza primaria e degli apporti di culture diverse.
In ogni caso, il pluralismo che attualmente caratterizza e continuerà a caratterizzare lo
scenario mondiale non esclude, anzi, richiede la validazione di un livello dintesa
"metaculturale", opportunamente rappresentato da organismi o istituzioni
sovranazionali, affinché nelle situazioni di conflitto si possa approdare ad una
soluzione accettabile per tutti, e non a quella, scontata, imposta dall'interlocutore più
forte; una sorta di coscienza comune che sappia conciliare relativismo e universalismo,
tra il riconoscimento del diritto di ogni cultura alla differenza e l'unità di obiettivi
generali transculturali, e cioè comuni, quali la pace, la lotta al terrorismo, il
controllo degli armamenti, lo sviluppo economico e sociale, la salvaguardia
dellambiente, la gestione dei flussi migratori. Si impongono, inoltre, nuove
strategie politiche ed economiche che portino ad una gestione mondiale copartecipata
dell'economia, fondata su un'equa gestione delle risorse.
Al presente, tuttavia, della complessa e sfaccettata compagine della problematica
interculturale laspetto che si impone con maggiore drammaticità e urgenza, in
virtù anche della sua ricaduta sullesperienza concreta di tutti, sembra essere
quello legato alle "migrazioni povere" dal Sud al Nord del mondo.
Certamente le manifestazioni di ostilità nei confronti degli immigrati di cui i mass
media danno quotidianamente notizia non sono sempre attribuibili a meccanismi irrazionali
di rifiuto a priori del diverso. Non si possono negare, infatti, fattori oggettivi di
disagio sociale connessi alla presenza di talune "categorie" di immigrati. Se
questi ultimi fattori esigono una gestione di respiro mondiale del problema dei flussi
migratori, fondata su una visione a tutto campo delle sue dinamiche, e su scelte politiche
condivise, coordinate e coerenti, i fattori irrazionali alla base del conflitto culturale
interetnico richiedono lattivazione di nuove strategie di tipo educativo.
In questo ambito l'interculturalità propone, oltre ad uno studio di taglio antropologico
delle diverse civiltà umane, nuove educazioni di portata globale, come quella alla pace,
alla non violenza, ai diritti umani e alla democrazia, allo sviluppo controllato,
all'ambiente, alla complessità. A tutti i contesti educativi, in primis alla scuola, si
demanda la responsabilità di uno sviluppo di adeguate competenze relazionali dei
discenti, di apertura e flessibilità mentale, criticità, interattività costruttiva e
improntata all'impegno, senso di responsabilità nei confronti degli altri e
dell'ambiente.
Ogni individuo è chiamato a migliorare la propria capacità di dialogare, di gestire
positivamente le relazioni con gli altri, a cogliere nel confronto con il diverso
lopportunità di un approfondimento critico di automatismi culturalmente determinati
convinzioni, valutazioni, valori, abitudini- con i quali viviamo da sempre. Con la
consapevolezza che lesperienza ci arricchisce non solo quando conferma le nostre
convinzioni e aspettattive, ma anche quando le contraddice.
Così, la stimolante opportunità di un confronto, per chi è disposto a mettersi in
gioco, è quella, paradossalmente, di un rapporto più autentico e meditato con la propria
cultura, anche attraverso una revisione di ciò che nella propria cultura apparisse,
eventualmente, destituito di senso.
Maria
Chiara Daccò, docente di Geografia
presso lI.P.S. "P. Giordani " di Parma