Direzione didattica di Pavone Canavese

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TEMPO LIBERO ? CHE SCANDALO !
di Andrea Bagni

Come mai fa sempre tanto scandalo il tempo libero di un insegnante?
C’è proprio un rancore, la percezione di un privilegio immeritato.
Fa scandalo perché è tempo di non-lavoro di un lavoratore: sentito come smisurato rispetto al lavoro. Un privilegio, appunto.
E’ uno scandalo "quantitativo", un problema di dose giornaliera di sacrificio, il lavoro configurandosi semplicemente come tempo dato, ceduto ad altri - tempo della non-appartenenza a se stessi.
E uno che lavora solo le mitiche diciotto ore settimanali e ha due mesi di vacanze che lavoratore è ?
Allora in molti colleghi scatta una sorta di senso di colpa, accettazione di una minorità sociale, ed è la tipica forma del pensiero sindacale di questi ultimi disperati anni: non possiamo chiedere stipendi più alti se non offriamo in cambio più lavoro, più tempo d’insegnamento e più controllo (verifica, valutazione e di nuovo in cambio carriera).
Come si valuta la qualità di un lavoro i cui risultati non sono gran che quantificabili, e cosa accadrebbe di quella qualità una volta aumentati orari di lezione, alunni e classi per insegnante, nessuno se lo domanda seriamente. O meglio: tutti sanno che la qualità della scuola non c’entra quasi nulla con quantità di prodotto, misurazioni e standard precisi d’apprendimento (per quanto un mare di gente ci lavori intorno, rigorosamente invalutabile), tuttavia è preferibile intervenire sulla scuola secondo modelli operativi ricavati per analogia da altri istituti e centri produttivi (servizi pubblici o aziende – già in via di unificazione peraltro). Quello che si cerca è l’illusione del controllo e della gestione "razionale", magari "scientifica", del processo; calcolare costi e ricavi, misurare risultati, possedere tecnicamente tempi,contenuti, programmi.
Invece è pura ideologia - proprio nell’epoca della sua supposta scomparsa... Creazione di una pseudo-realtà facilmente maneggiabile che relega tutto quello che sembra sfuggirle nella sfera oscura di un soggettivismo irrilevante in quanto non rilevabile con gli strumenti lettura adottati. Semplice e comodo.
Tutto quello che non è riferibile a strutture, traducibile in modellistica, "implementabile", serializzabile, diventa complessivamente insignificante. Creatività individuale, caso.
Quello che non funziona (o funziona anche troppo bene) è il ragionamento per analogia, che cancella la specificità della scuola e del lavoro che l’attraversa. Non un servizio fra gli altri. Già a partire da quell’idea di lavoro e lavoratore: cessione generica di tempo e energia, perdita di sé. Qui torniamo al tempo degli insegnanti.
In realtà da questa forma del ragionamento non ci sono uscite. Andrebbe - almeno come provocazione - rovesciato il discorso, proprio sindacalmente. Fa scandalo il nostro orario perché si guadagni poco, non sebbene. Nessuno fa caso al rapporto reddito-quantità di lavoro per ricercatori o docenti universitari, notai o "artisti".
Il punto è la qualità del lavoro, il non essere affatto nella scuola semplice cedimento di tempo, ma -in un certo senso- lavoro su di sé in un tempo libero, condizione delle "prestazioni". Se è un privilegio, è quello di tutto il lavoro non meramente esecutivo.
Allora il rapporto fra tempo libero e tempo di lavoro (di riproduzione del) ha confini molto più indefiniti, osmotici, "flessibili" di quelli del lavoro subordinato (gli insegnanti infatti non sono lavoratori "subordinati", per quanto "dipendenti").
E’ in questo spazio che si può riprodurre vera acquisizione di sapere, per così dire "gratuito" perché legato a delle passioni, non a obblighi burocratici d’aggiornamento o di carriera. Una conoscenza che è sapere di sé anche, e capacità di relazioni: di ascolto, ricerca comune, dialogo.
La qualità della scuola un po’ dipende proprio dal non essere vissuta come "posto di lavoro", burocratica routine di prestazioni scambiabili in reddito (peraltro irrisorio). E’ un teatro, una piazza, un laboratorio, una bottega artigiana, un giardino indiano: qualcosa di cui avere cura, anche difendendo il proprio tempo, la propria libertà e autonomia intellettuale.
Nel tempo del pensiero unico, del capitale come sapere, informazione e comunicazione, è una battaglia politica non accettare di ridursi a meri esecutori di progetti di principi illuminati; non lasciarsi colonizzare la mente e l’anima da qualche pedagogia neopositivistica della produzione flessibile.

Forse si può ancora partire dalla passione per questo nostro strano lavoro.
Tutto sommato una delle poche ancora spendibili.