Direzione didattica di Pavone Canavese

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24.02.2000

A meno di imprevisti

Non mi ricordavo che insegnare alle quinte fosse un compito così disperato. Erano diversi anni che non mi capitava, e sono rimasto sorpreso nel trovare ragazze e ragazzi dall’inizio dell’anno tutti già proiettati sull’esame, con un’ansia di scuola, una richiesta di verifiche, simulazioni, addestramento alle prove, che si sposa tragicamente con una qualità bassissima dell’impegno: come accade sempre se non si libera un po’ dalla scuola "fabbrica di voti", istituzione burocratica ( quantità di programma, ritmi, verifiche, debiti… ).

Succede allora che le classi desiderino solo ciò che ha una connotazione "standard", le cose che più o meno vanno bene a tutti ( perché non si sa mai chi viene, prof ) oppure chiedano continuamente perché non abbiamo fatto questo, che tutte le altre classi lo hanno fatto. E via così, deprimendo.

Ma non è solo questo. Leggendo una poesia, negli anni passati poteva capitare che si realizzasse una vera partecipazione, quasi giocosa, ad interpretare ( magari sparando un po’ dappertutto, ma ogni tanto cogliendo sorprendentemente il bersaglio - oppure spostandolo, inventandosene un altro, niente male ). Insomma era divertente. Si facevano delle scoperte, mi sembrava sempre di imparare.

Adesso li vedo tutti composti, ai loro banchi, pronti e spenti a prendere appunti ( ti scappa un giudizio un po’ così così, e te lo ritrovi inchiodato poco dopo nei testi: l’ha detto lei professore ), nessuno più che si senta un po’ libero di giocare con i versi. I più vispi poi sanno che all’esame non sarà questione di testi o letture vere, personali, e allora fanno altro o chiedono la prova strutturata: quante metafore, sottolineale; quante sequenze, numerale.

Quando ho provato a proporre qualche film da vedere insieme, è venuto fuori che tutti i pomeriggi devono fare "i compiti per il giorno dopo", perché nella scuola non si rinuncia all’interrogazione-a-sorpresa che controlli la regolarità dell’impegno (ancora, in quinta).

Ma a ben guardare il problema è proprio la mancanza radicale di desiderio. Di desiderio d’altro. La scuola suscita un disamore quasi assoluto, pura costrizione cui rassegnarsi, ma non ci sono da cercare altre forme di sapere e non si chieda interesse o entusiasmo - che c’entrano con la scuola. Ci dica cosa studiare, dove, quali pagine sì e quali no, e basta.

Come diceva Gramsci della catena di montaggio fordista, i ritmi della scuola sono dati, inscritti nella "macchina" che ha un corpo (docente) come in un film di Cronenberg; allora che almeno si possa salvare la mente nel tempo libero. Questi tristi studenti-massa faranno tutto quello che c’è da fare: collezionare punti per il credito formativo, tenere d’occhio la media dei voti per quello scolastico, scalare i cento punti finali per arrivare nella zona alta indispensabile per l’università e le banche – ma non gli si chieda di metterci l’anima. Quella la tengono per sé, per quando escono da scuola.

Io ogni tanto fantastico di cambiare aria. Penso al mio esame preparato con gli amici in una casa di campagna (ma non si studiava gran che, poi odio gli insetti che volano, presi pochissimo alla maturità). Oppure immagino un’aula di tappeti e cuscini, sdraiarsi a leggere o scrivere in silenzio. (Mi viene in mente anche la luce azzurrina, filtrata dal lenzuolo tenuto alto da una gamba, tipo tenda, sotto la quale leggevamo da bambini io e mio fratello: un rifugio per l’immaginario, il mito intimo del "capanno"). Ma vai a trovarlo uno spazio così nel mio ITC ipertecnologico, multimediale (forse però se si chiamasse "Progetto Capanno Globale" potrei ottenere anche finanziamenti).

Si possono acquisire delle conoscenze senza un po’ di adesione e passione?

E ci si può preparare efficacemente a qualcosa di pesante (questa scuola orribile che arreda cupa la mente) senza un po’ di leggerezza?

Ogni tanto, giù di morale come sono, li vedo già a luglio collocati mediocremente nella fascia media degli studenti standard della graduatoria finale; pronti per il livello "sufficiente" della vita.

Ma poi mi dico, solo a meno di imprevisti (mai smettere di provare). Perché il cinema e la poesia sono forti, spesso antidepressivi.

Come forti sono le anime salve di ragazzi e ragazze, a saperle ascoltare.

andrea bagni