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30.10.99

Dell’amicizia, dell’amore


L’occupazione del liceo, la politica come iniziazione al mondo giovanile, al gruppo, a un ruolo; magari al palcoscenico della leadership. Ma fondamentalmente come iniziazione all’amore. Per i ragazzi di Come te nessuno mai il grande evento, la vera iniziazione, la grande passione è l’amore. Un po’ anche il sesso, con i suoi problemi di occasioni mancate e di "durata", ma tutto sommato non c’è paragone. Sono romantici i ragazzi e le ragazze di Muccino; dolci e gentili, in confusa ricerca di una loro strada – fatta eccezione per i leaderini politici, figli di avvocati, retorici e teatrali, tutti "privatizzazione della scuola" e "omologazione del sistema" (ma tutti così sempre, possibile?).

Ogni tanto, mi pare, ci si sente pericolosamente vicini agli spot sui telefonini dai numeri "amorosi", tipo schiocchino, il tuo è il primo in memoria e roba del genere, spia del terrore di restare soli un attimo, irraggiungibili. I sentimenti giovanili, come la felicità familiare – pensate alle campagne antidroga sulla gioia del "preferisco vivere" che erano da suicidio di massa – sono assai difficili da raccontare. Oppure troppo facili. E tuttavia nel film di Muccino la storia d’amore non è affatto male, per quanto super-romantica: nuvole che si rincorrono alla grande nel cielo su un imperversare di violini per la prima volta sul terrazzo… Ma la ragazza innamorata e non riconosciuta (non si accorge di me, mi vede solo come amica: quello del passaggio dall’amicizia all’amore rappresentando una specie di "rottura epistemologica" del mondo emotivo giovanile) è bellissima. Bellissima la sua dichiarazione d’amore nello spazio strano e nel tempo eterno dei dinosauri. Quello che si prova bisogna dirlo, non giocare ruoli che non ti corrispondono; poi si può restare disponibili anche ad altro magari (alla famosa amicizia), ma con se stessi non si può fingere, né accettare surrogati. Anche se l’altro entra in confusione (ma ha un fratello maggiore grandissimo, "esperto" come tutti i maggiori delle pratiche amorose; uno che possiede la teoria e il tono giusto da sapere superiore, e però resta splendidamente sfigato nelle relazioni con arianne e maddalene).

Succede a lei un po’ come ai bambini, che arrivano subito a queste cose grandi - ma non "da grandi". Mi piace quella bambina zio, come faccio a dirglielo. – Mica glielo devi dire per forza, magari la metti in imbarazzo. – Ma che dici zio, mi piace e non glielo dico, me lo tengo per me, che sei grullo? E via ad inventare un gioco e con la complicità della cugina perdere, scegliere la penitenza, dire fare baciare… dire! E allora dichiararsi – ma a richiesta, come penitenza. Grandi avventure le storie dei bambini. Grandi storie d’amore. Leggere.

Invece la vicenda collettiva del liceo occupato è una mezza tragedia, anche se ha raccolto non pochi consensi (sarò io, da insegnante, al solito troppo esigente?). Una grande pratica d’imitazione del sessantotto, bandiere e pugni chiusi alla fine degli interventi e hasta la victoria siempre; ore e ore a sciropparsi film di rivolta sullo sfondo della musica latino-americana…Boh, abbastanza scontato e insieme improbabile. Come il conflitto canonico con i genitori che-hanno-fatto-il e ora sono autoritari e sprezzanti del pressappochismo filiale. Ma quanti sono gli italiani che hanno vissuto il ’68, ce ne sarà qualcuno rimasto normale? (Notevole però il ruolo della psicanalisi "materna" per il figlio maggiore: eri depresso o no quando ci sei andatoperché mi aveva lasciato Arianna, mamma - poi sei stato meglio però: perché mi sono messo con Maddalena …).

Come mai è tanto difficile per il cinema raccontare la politica?

Forse c’entra anche la nostra disponibilità a stare al gioco delle storie d’amore: si rivestono delle proiezioni della nostra adolescenza, con i nostri sogni sempre anche un po’ da baci perugina, e il gioco è fatto.

Nel paesaggio del liceo, è come se la narrazione cedesse il passo alla saggistica, come se si sentisse subito il punto di vista sociologico o il quadro culturale di riferimento, prima dei personaggi, prima delle loro storie. Malgrado le intenzioni magari.

Meglio allora A domani di Zanasi, che non prova nemmeno a far recitare una parte ai suoi giovani: gli fa dire semplicemente delle cose, filosofico-sconclusionate assai, ma capaci anche di esprimere una certa paradossale saggezza del mondo, una specie di grado zero della partecipazione emotiva al gioco adulto della società. Girano in tondo i ragazzi di questa provincia emiliana. Intorno a un albero. E quando immaginano il viaggio e la fuga, gli basta il Motorshow e inventarsi un’altra identità come figli di Manfredini, mitico meccanico del team Ferrari.

Tutto con una certa strana serenità, nel vuoto della presenza adulta (genitori tranquilli e gentili, in fondo non autoritari ma nemmeno confusivi: un po’ lontani un po’ vicini, come tutto). Un film "piano" e inconcludente. Fratello e sorella innnamorati-rivali-complici, senza possibilità né interesse a un bildungs roman. Giovani in pianura padana: pianura di vita, facile e vuota.

Tutt’altra provincia quella di La guerra degli Antò, e tutta un’altra storia collettiva. Punk. Che funziona forse perché abbandona la politica diretta delle assemblee e la ritrova nella microrivolta della microprovincia di Montesilvano (Pescara), in storie di vita un po’ goffe ma a modo loro, poco per volta, grandissime. Grandi rivolte umane, storie di fuga verso Bologna o Amsterdam (ma con porno-trash antagonisti e salamino del paese nel fagotto). Materialità leopardiana del piccolo borgo selvaggio.

Piccoli gli eroi, piccoli gli avversari (famigliola con zio nella Gladio, ingegnere reazionario cementificatore con figlie cozze gemelle etc.) piccola la città, centro politico il Bar Zagabria con tivu-color. Eppure le scelte dei quattro Antò, filozingari e profeti nella loro "analisi di fase" della futura Guerra del Golfo, sono straordinariamente intense. Segnate da altri destini. Davvero ribelli (strepitosa la partecipazione a "Chi l’ha visto?", rigorosa manifestazione di una sotto e contro cultura capace di dare una grande lezione situazionista agli studentelli del Dams – e ai liceali della sinistra-bene di Muccino).

Forse davvero nel cinema, come diceva il produttore nel camper de "Lo stato delle cose", ci vogliono storie. Storie e personaggi.

Anche piccoli punk di provincia se hanno grandi viaggi anche solo da immaginare.

E tentare.

andrea bagni