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Blowin’ in the wind
(The answer, my friend, is blowin' in the wind
Bob Dylan, 1963)

Da alcuni anni nelle scuole si sta parlando del "lessico" della Riforma, definendo in questo modo le nuove terminologie nate dal Gruppo di lavoro diretto da Giuseppe Bertagna e confluite nelle Indicazioni nazionali allegate ai decreti legislativi 59/2004 e 226/2005. Su questo lessico si sono costruite alcune piccole fortune professionali di chi si è assunto l’onere e l’onore (con l’imprimatur ministeriale) di spiegare alle scuole italiane cosa volesse veramente dire questo lessico (Ermanno Puricelli, Gregoria Cannarozzo, Elena Vaj i nomi più gettonati). Ora, dopo un paio d’anni di battaglie, studi e seminari gli Obiettivi Specifici di Apprendimento, gli Obiettivi Formativi, le Unità di Apprendimento, i Piani di Studio Personalizzati, il Portfolio delle competenze, il Profilo Educativo Culturale e Professionale sono entrati nel linguaggio e nella pratica di molte scuole ed hanno mostrato una certa coerenza.

Analizzando e studiando si è potuto constatare che non tutto era campato in aria e che molte delle cose previste dalla Riforma Moratti avevano una loro tenuta teorica e pratica in quanto si riferivano direttamente a tendenze europee (gli obiettivi di Lisbona, Edgar Morin, la società della conoscenza più competitiva del Mondo, ecc.). Le scuole si sono addentrate nella ricerca didattica e hanno accolto l’innovazione proposta in modo spesso costruttivo e realmente approfondito. Il dibattito sugli OSA si è invece fermato subito, non perché fosse inutile, ma perché era troppo complesso: quasi tutti si sono dichiarati d’accordo sull’eccesso di 800 OSA per la Scuola del 1° ciclo e sull’abnorme numero di OSA per le Scuole del 2° ciclo, ma nessuno – dico nessuno – ha finora messo nero su bianco i 400 o più OSA da cassare per riportarli ad un numero logico. Gli OSA poi generano imbarazzo perché nascono in risposta al DPR 275/99, cioè al Regolamento dell’autonomia emanato dal Ministro Berlinguer.

La Riforma Moratti è entrata ("a gamba tesa") su questioni didattiche profonde, che non si possono esorcizzare sostenendo che è una Riforma classista, familista e di destra e che dunque bisogna tornare ai Nuovi Programmi della Scuola Media (1979), ai Programmi della Scuola Elementare (1985), agli Orientamenti per la Scuola materna (1991) e ai Programmi delle Superiori (che – visto il numero di sperimentazioni presenti in Italia – non si sa più bene neppure quali sono). Bisognerebbe entrare nel merito, anche se l’orientamento politico pare avviato verso due scenari molto complicati: il colpo di spugna se vince l’Unione e il mantenimento della Riforma così com’è se vince la Casa delle Libertà. Speriamo che a qualcuno venga qualche dubbio e cominci a valutare se non sia meglio cercare una soluzione didattica, pedagogica, culturale, formativa e non giudiziaria o politica.

I nomi si possono cambiare, le cose no. La risposta anche oggi come quarant’anni fa "soffia nel vento", va cercata cioè leggendo umori, idee, pratiche, opinioni delle scuole e sulle scuole. L’apprendimento dovrebbe tornare ad essere una questione pedagogica ed educativa, non un nome da dare a concetti "di destra" o "di sinistra".

 

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