Progetto Storia del '900. Strumenti didattici


Indicazioni per riconoscere
i tratti del negazionismo

(a cura di G. Cimalando)


Obiettivo del testo che segue: riconoscere ed individuare le strategie interpretative utilizzate dai negazionisti per sostenere la tesi in base alla quale l’Olocausto non sarebbe altro che una invenzione della propaganda negazionista.

Quale struttura logica è sottesa agli scritti dei negazionisti?

Innanzitutto occorre premettere che negli ultimi anni (anni 80/90) accanto ad una serie di divulgatori piuttosto grossolani si è affiancata una serie di studiosi dotati di uno stile in apparenza più accademico e "scientifico" e che quindi non enunciano astrattamente dei principi, ma lavorano direttamente sui documenti per far assumere alle proprie considerazioni un aspetto metodologicamente più rigoroso.

Cito, quali esempi i nomi di alcuni studiosi che appartengono a questa schiera:

Questi studiosi hanno in comune l’obiettivo di legittimare il negazionismo utilizzando strategie retoriche "oggettivanti". In questo modo il discorso negazionista diventa più sfumato e tende a confondersi con le teorie revisioniste dei primi scritti di Irving o di Nolte

Dunque

Scopo principale dei ricercatori negazionisti è quello di dare l’impressione che si stia affrontando un serio dibattito storiografico tra storici "ufficiali" ("sterminazionisti")e storici "revisionisti"


E’ dunque possibile a questo punto indicare le strategie adottate:

  1. Una drastica selezione, di tre tipi, del materiale documentario di partenza.
  1. non disponendo di prove concrete che avvalorino l’ipotesi negazionista (l’unico testo disponibile e utilizzabile a riguardo è quello, sempre citato, di Thies Christophersen, La fandonia di Auschwitz, La Sfinge, Parma, 1984), ci si limita a cercare di smontare le testimonianze ed i documenti che sono alla base dell’esistenza dello sterminio. Si tratta di una prima importante differenza rispetto al metodo storiografico comunemente utilizzato, che parte da una serie di materiali documentari per avanzare ipotesi interpretative ritenute abbastanza attendibili.
  2. i negazionisti operano una riduzione drastica del materiale documentario e delle testimonianze utilizzate dalla storiografia scientifica, non prendendo in considerazione, ad esempio, le testimonianze dei Sonderkommandos e il contenuto dei discorsi pronunciati da Hitler (o da altri gerarchi nazisti) in cui si fa chiaramente riferimento alla operazione di pulizia etnica che stanno avvenendo in Europa. I negazionisti si concentrano quindi soprattutto su due tipi di testi: 1. le testimonianze registrate nel dopoguerra; 2. alcuni registri di campi da cui ricavano dati statistici sui rapporti fra amministrazione dei lager e le aziende che utilizzavano la manodopera concentrazionaria. Quando poi citano le opere di Poliakov, Wellers o Hilberg, lo scopo è solo quello di sottolineare eventuali contraddizioni ed errori. Il metodo è quindi quello di tenere a distanza le fonti primarie per concentrare l’attenzione sulle interpretazioni che sono state fornite dalla storiografia concentrazionaria; dunque: ci si allontana dall’oggetto della discussione per concentrarsi su ciò che l’avversario ha detto.
  3. I negazionisti nei loro scritti trascurano del tutto le testimonianze di persone il cui nome ha scarsa risonanza per scegliere invece bersagli ben noti e che assicurano una vasta risonanza. Tale scelta deriva evidentemente da motivi di "marketing": è infatti molto più facile che trovi eco sulla stampa un attacco ai diari di Anna Frank piuttosto che la discussione in merito alle affermazioni di un deportato dal nome sconosciuto.

E’ pertanto possibile assimilare lo storico negazionista al pubblico ministero, il quale (contrariamente al giudice) sceglie solo le prove a sostegno della sua tesi e trascura invece quelle contrarie.

  1. L’isolamento della testimonianza dal suo contesto immediato.
  2. Chi fa storia sa che ogni testimonianza, per essere valida deve essere corroborata da una serie di altri elementi documentari che possano avvalorarla. I negazionisti, al contrario, estraggono la singola testimonianza dalla rete di rimandi documentari all’interno dei quali questa è inserita e la rendono in questo modo più vulnerabile agli attacchi che intendono rivolgerle.

  3. Il gettare dubbi sulla credibilità del testimone.
  4. Al fine di dimostrare che non si tratta di un testimone affidabile si avanzano dubbi in merito ai motivi che l’anno indotto a raccontare la propria storia: speranza di ricavarne un ritorno economico, desiderio di notorietà, influenza subita da altri testimoni, essere stato sottoposto a torture o intimidazioni, essere un esponente della propaganda sionista, ecc… .

  5. La ricerca ossessiva di qualunque, anche minima, imprecisione.

I negazionisti prendono spunto da ogni minimo errore commesso dai testimoni nel corso dei loro racconti per proporre immediatamente la conclusione che se il testimone si è sbagliato su un dettaglio, nulla garantisce che non si sia sbagliato anche sul resto. Si tratta di un meccanismo abbastanza efficace del quale è possibile portare un esempio: l’SS Kurt Gerstein, nel descrivere la visita che ha fatto nel 1942 al lager di Belzec, parla di montagne di vestiti alte 30-40 metri. Anziché constatare l’evidente esagerazione, i negazionisti prendono spunto da questa affermazione per affermare che il testimone ha mentito in toto e che pertanto la sua testimonianza sarebbe stata estorta dagli Alleati durante la sua prigionia. Come è possibile constatare, vi è dunque in queste situazioni e deduzioni una evidente sproporzione tra l’entità della inesattezza individuata e le conclusioni cui, partendo da essa, vengono tratte.

In conclusione

  1. Chi non ha sufficienti informazioni per rispondere a ciascuna delle obiezioni sopra riportate si trova in uno stato di disorientamento che porta alla prima fase dell’operazione negazionista:
  2. la rottura del consenso

    ciò si verifica quando nella mente del lettore "sprovveduto" viene insinuato il seme del dubbio circa la realtà dello sterminio.

  3. i negazionisti si limitano ad enunciare la propria tesi (la Shoah è un’invenzione propagandistica) senza mai argomentarla con solidi documenti storiografici. L’unica tesi di fondo ramane quella della cospirazione ebraica per la conquista del mondo, del controllo ebraico dei media, ecc…….

dopo aver confuso il lettore

con la seconda fase si approfitta dunque di questo "stordimento" per proporre con tono perentorio una chiave di lettura che dissolve, con apparente facilità, tutti i dubbi e le incertezze.

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