Direzione didattica di Pavone Canavese

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L' intervento dell'ispettore Alberto Alberti

è ripreso (per gentile concessione dell'editore)

dalla Rivista I diritti della scuola

(n. 18 del 1.06.1998)

I diritti della scuola è pubblicata dal gruppo editoriale Petrini

 

Tanti pregi e una grave dimenticanza

 

Leggibilità immediata del testo, chiarezza dei fini, visione formativa delle discipline: questi tre pregi sono messi in discussione dall’incapacità di cogliere i processi vitali che caratterizzano la crescita e la formazione dei giovani di oggi.

Il documento sui "contenuti essenziali" della formazione di base che il ministro Berlinguer ha inviato a dirigenti e docenti, per avviare una consultazione e aprire un confronto con chi "fa scuola tutti i giorni", si segnala in primo luogo per la sua chiarezza espositiva.

La sintesi operata dal ristretto gruppo di esperti sul più ampio lavoro della cosiddetta Commissione dei Saggi, riesce a tenere alto il livello del discorso, coniugando il rigore scientifico con la brevità della descrizione puntuale dei singoli argomenti.

Non si tratta di piccolo pregio, di un aspetto puramente formale. Se è vero quel che scrive il ministro, – che, cioè, si vuole un momento di partecipazione e di proposta, perché gli esiti della consultazione possano costituire contributo "indispensabile" per la fase successiva, quando apposite commissioni di esperti lavoreranno alla definizione degli obiettivi formativi specifici, – allora, la chiarezza del discorso non è un semplice ornamento ma un elemento decisamente funzionale. Ognuno può discutere e approfondire i concetti senza incorrere in equivoci, può operare scelte e correzioni incanalando correttamente critiche e proposte.

Ma, certo, non è solo l’aspetto metodologico e procedurale che stimola e interessa. Occorre subito aggiungere che, nella sostanza, anche le tesi e le indicazioni di merito suscitano attenzione e apprezzamento. In misura notevole, se considerate partitamente, una per una. Un po’ meno, tuttavia, come dirò, se si fa attenzione all’ordine in cui sono confezionate.

La premessa

La "premessa" mi piace senza riserve. Sia quella parte che viene espressamente indicata con tale nome, sia quei periodi messi all’inizio del capitolo sui "contenuti irrinunciabili", mi sembrano opportuni e ben calibrati. Contengono, sia pure in termini generali, i principi fondamentali di un curricolo e, in qualche misura, se non una "paideia", almeno l’illustrazione della funzione che deve riconoscersi oggi a una scuola pubblica.

Alla base c’è la ragione del vivere civile in democrazia: l’abbandono di ogni a priori ideologico e la scelta per saperi e valori "comuni a tutti i cittadini, indipendentemente dalla religione, dall’etnia, dallo stato sociale, dal sesso". C’è un forte richiamo alle attese di ragazzi, famiglie, mondo del lavoro ma anche a quelle dei professionisti della scuola. Sono ribadite le indicazioni metodologiche contenute nella relazione dei saggi sulla forma dei programmi, sulla professionalità docente, sul ruolo delle tecnologie della conoscenza. La "fondazione" dei programmi è affermata sia in rapporto all’esigenza soggettiva di un patrimonio individuale di conoscenze e abilità, necessario in un mondo in trasformazione, sia in rapporto a orizzonti planetari che si vanno facendo sempre più attuali, sia, infine, in rapporto allo specifico didattico e a un impegno generale nella ricerca di approfondimenti culturali e linee operative. Sta in questa "fondazione", a ben considerare, la legittimazione di scelte che possono essere "parziali" e perciò soggette a discussioni e contrasti.

Sviluppare intelligenze

Di più. Per quanto riguarda il primo aspetto (il patrimonio culturale personale, necessario all’uomo di oggi e di domani), i periodi introduttivi del capitolo sui "contenuti irrinunciabili" forniscono ulteriori coordinate, sempre di carattere generale, ma più specifiche. Al centro di tutto viene posto il soggetto in apprendimento per il quale si vuole garantire non tanto lo sviluppo di tutte le potenzialità e le capacità di orientamento, quanto la conquista di un "equilibrio attivo e dinamico" con il mondo in cui vive.

A tale effetto non si può non tenere in massimo conto l’esperienza quotidiana. Il documento ministeriale vi fa riferimento in diversi passaggi e segnatamente al punto 2, quando mette in rapporto i linguaggi della mente e quelli del corpo, processi cognitivi ed emozioni, e rivendica pari dignità per i diversi saperi. La scrittura, l’immagine, il suono, il colore, l’animazione fanno parte dell’universo pre/scolare, extra/scolare e post/scolare. Il bambino, il ragazzo, il giovane si muovono in mezzo a fenomeni culturali complessivi e polimorfi, che vengono indicati come le "matrici" principali dell’esperienza ma che sono verosimilmente anche matrici dell’apprendimento e modelli concettuali.

La funzione della scuola è quella di far sì che ogni allievo riesca a "dare significato alle proprie esperienze", a difendersi dai messaggi "truccati in termini di verità e di valori". E quindi: "capire, fare, prendere decisioni, progettare e scegliere in modo efficace il proprio futuro".

Lo sviluppo di capacità e potenzialità e la stessa acquisizione di conoscenze (il valore imprescindibile della tradizione storica e culturale), si assumono come beni "strumentali". La vera e ultima finalità del processo formativo pubblico non è quella di riempire le teste di nozioni, ma piuttosto di sviluppare intelligenze. Il "quadro dei saperi di base" serve per poggiarvi sopra le "capacità di adattamento e di cambiamento" richieste oggi dalla società in trasformazione.

Le discipline: qualità, non quantità

Questo non vuol dire che le discipline non ci debbano essere. Tutt’altro.

Sappiamo bene che, per sviluppare capacità matematiche, è necessario operare con oggetti della matematica, per sviluppare il pensiero storico o la padronanza nel campo della lingua occorre "maneggiare" materie storiche o linguistiche, e così via. Ciò che mi pare si possa dire oggi, dopo questa premessa, con maggior forza che nel passato, è che non ci si dovrà più chiedere quanti teoremi, quanti capitoli di storia, date e trattati, quante letture, quanti esercizi di scrittura ecc. Piuttosto occorrerà centrare l’attenzione sul come. Sulla "qualità", non sulla "quantità".

Ora, in senso assoluto, il valore formativo delle discipline non è una novità, così come non è una novità il richiamo all’esperienza. Chi ha appena letto qualcosa di Dewey, sa bene quanto siano antiche e autorevoli queste tematiche. E però, se riferiamo le prospettive prima accennate, non alle impostazioni teoriche, ma alla pratica scolastica, possiamo dire che esse rappresentano una vera e propria rivoluzione.

Non tanto per la scuola elementare, direi, dove certe indicazioni hanno diritto di cittadinanza da molti anni ormai e caratterizzano la didattica quotidiana della stragrande maggioranza dei docenti. In altri ordini di scuola, piuttosto, la concezione della disciplina come un "a sŽ", un dato quantitativo (forma e contenuto) depurato da ogni rapporto con la realtà, è dura a morire. Molti insuccessi scolastici affondano verosimilmente le loro radici in quell’elemento di estraneità che rende l’apprendimento lontano dalla vita e quindi dall’interesse dell’allievo. Non degno di essere perseguito. Analogamente, molte resistenze soggettive e molti ostacoli giuridico/formali messi in campo nei confronti di innovazioni introdotte negli ultimi anni (penso, in particolare, a due episodi: ai corsi di recupero e alla normativa sulla storia del Novecento), hanno le loro radici proprio nella visione squisitamente quantitativa dell’insegnamento/apprendimento. Si dice, per esempio: non si può recuperare in una settimana o in quindici giorni quanto non si è fatto in un anno. Oppure: non c’è tempo per aggiungere alla storia dei secoli passati anche quella dell’attuale. E non si capisce che bisogna uscire da questo arido terreno, dove conta solo l’accumulo o la riproposta inerte e statica delle cose; non si capisce che occorre esplorare piuttosto modalità nuove dell’azione didattica, qualitativamente diverse, dove conti la forma mentis disciplinare più che il contenuto della disciplina.

Che tutti questi fraintendimenti, resistenze e ostacoli siano messi da parte una buona volta è altamente auspicabile. Il documento ministeriale ci conforta nella speranza e ci aiuta a lottare per migliorare le cose, anche nei confronti di pratiche scolastiche più vetuste.

Vecchia gerarchia

Ma non fino in fondo. E qui sta il punto dolente.

Il fatto è che i singoli punti trattati sono inseriti in un impianto generale che ne contraddice e distorce i valori. Per esempio, si afferma la "pari dignita" dei diversi saperi "in quanto tutti prodotti dalla mente umana".

Ma poi si segue alquanto rigidamente una vecchia gerarchia delle conoscenze, mettendo al primo posto la lingua, orale e scritta, e poi (dopo un capitoletto innovativo dedicato appunto alla pari dignità e alla didattica organizzata "per temi" e non "per discipline"), si prosegue con il solito schieramento: scienze fisiche e matematiche, con appendice geografica; storia, società umane, educazione civica; filosofia; cultura classica (greca e latina). In fondo, separate, al punto 7, quella che oggi è la vita dei giovani, la cultura musicale, esposta anch’essa come un "insegnamento" e non come una "matrice" di esperienze (megaconcerti, discoteche, industria culturale legata alla musica); la figurativa (trattata allo stesso modo) e l’artistico/ambientale (idem); nonché, al punto 8, finale, l’operatività e la tecnologia dell’informazione, ovvero proprio quelle forme di conoscenza e di impegno che vanno sempre più strutturando la vita quotidiana, lavoro e tempo libero, di tutti noi – e dei giovani e giovanissimi in particolare.

Come si può ritenere più valido il messaggio, che ci sembrava evidente nella premessa, secondo cui al centro di tutto sta il soggetto in apprendimento?

Omissioni negative

A questo punto, guardando all’architettura del documento, i discorsi dei singoli capitoli acquistano un significato diverso. E alcune omissioni che sembravano veniali, appaiono assolutamente negative. Penso al capitolo sulla comprensione e produzione del discorso parlato e scritto, che, preso a sè, contiene indicazioni assolutamente condivisibili, dalla pluralità di testi possibili alla validità dei ragionamenti, dalla qualità della comunicazione alla lettura dei classici, dalla critica al tema come esercizio retorico alla scoperta del libro e al coinvolgimento nell’esperienza di lettore cooperante, anzi, di "lettore/autore". Si può pensare che il valore della ricerca in campo linguistico e psicologico, qui si congiunga con le migliori esperienze didattiche, a cominciare dal rapporto con la produzione scritta propria delle scuole attive (e, segnatamente per me, del movimento di cooperazione educativa: il testo libero, la messa a punto, la tipografia a scuola, il giornalino).

Tuttavia, l’aver trattato questi temi prima e separatamente dalle forme di comunicazione di massa e dai fatti vitali complessivi in cui il bambino (o il ragazzo, l’adolescente) agisce le sue competenze linguistiche (e non solo linguistiche) fa riemergere il vecchio modello di disciplina "scolastica" (cioè, pensata solo per la scuola). Aggiornato quanto si voglia nei profili epistemologici, strutturali e amministrativi (vedi la polemica contro il "tema"), questo modello resta sempre privo di un vero contenuto reale, astratto nel senso peggiore, lontano dall’esperienza e dalla cultura dell’allievo. Perciò può essere solo imposto con un insegnamento cattedratico, dogmatico, trasmissivo e duro.

Il "consumo" e la "produzione" di fatti linguistici (ma potremmo dire la stessa cosa dei fatti matematici, scientifici, storici, geografici ecc.) oggi non sono separabili dall’insieme dei processi vitali in cui ogni giorno ci confrontiamo con le cose e con gli altri. La lingua sta con l’immagine, fissa o in movimento, il fumetto e il cinema, la televisione, il CD e il computer, i cartelloni pubblicitari, l’edicola e le insegne luminose, il concerto e la discoteca, il parco giochi e la partita di calcio, il videogioco, il telefonino, Internet, e così via, in una elencazione volutamente disordinata e non gerarchica.

Si può dire che, con quanto ci succede intorno, è la struttura complessiva del sapere a dover essere rivisitata e ricontestualizzata. Più che le singole discipline, sono da riconsiderare l’insieme del curricolo e le sue gerarchie, antiche e nuove. La disposizione in cascata, dalla lingua alla matematica, alle scienze fisiche, per finire all’operatività e alla tecnologia, non ha molto senso pratico e forse nemmeno teorico. Sicuramente non ha senso didattico.

Un discorso sui "saperi essenziali" non può dimenticarlo.