Direzione didattica di Pavone Canavese


 

(23.01.2011)

Va' pensiero (unico) - di Marina Boscaino e Anna Angelucci

Recentemente alcuni dei  miei interventi  sono stati sottoposti a pesanti giudizi da parte di alcuni esponenti del PD. Alle mie repliche nel merito, nessuno ha risposto. Solo vibrata indignazione per la voce non plaudente.

Non ne faccio una questione personale, e d’altra parte la mia funzione dovrebbe consigliare a loro di fare altrettanto. Credo semplicemente che – in una società realmente democratica – coloro che hanno la responsabilità di fare opposizione in Parlamento abbiano il dovere di analizzare le critiche che arrivano – non solo da parte mia, ma da una parte significativa del mondo della scuola – rispetto al proprio operato, passato e presente. L’atteggiamento nei confronti di chi il mondo della scuola ha preferito in larga parte alle ultime elezioni politiche non è inficiato dal mio pre-giudizio. Mi è capitato infatti – in diversi interventi – di riconoscere capacità, onestà intellettuale e cura della scuola pubblica a chi dimostra – senza ambiguità – un’intenzionalità limpida rispetto alla difesa di certi principi.

Non è però sufficiente enunciare il principio che si lavora tutti per un obiettivo comune per garantirsi l’omertà e l’acquiescenza di chi nella scuola opera quotidianamente e che delle disfunzioni – a livello personale e a livello generale, ma soprattutto delle ripercussioni che esse hanno sui bambini e sui ragazzi – patisce ogni giorno le conseguenze. Non appare precisamente collaborativo e pluralista l’atteggiamento di chi, a precisi rilievi, mossi sempre sulla base di specifica documentazione e studio, reagisce in modo incongruente rispetto ai rilievi stessi. E con la scontata, retorica, enumerazione di principi su cui non si può non essere d'accordo, senza però rinunciare a rilevare le contraddizioni tra gli stessi e le pratiche politiche messe effettivamente in atto.

A tutt’oggi, sul merito, non ho avuto risposte specifiche, ma solo censorie rimostranze di chi assume l’atteggiamento del “non disturbare i grandi manovratori”. Lo sport di criticare la Gelmini vede le anime di quel blob informe che chiamiamo centro-sinistra concordi e solidali: facile! Più difficile è prendere atto del fatto che chi ci rappresenta all’opposizione non risponde responsabilmente alla richiesta di riconsiderare elementi che, nel passato, hanno determinato cambiamenti di rotta propizi per il malgoverno di oggi: autonomia, parità, revisione del Titolo V della Costituzione. Grandi nuclei problematici, di cui (nelle sue diacroniche sfaccettature) il “centrosinistra” si è fatto promotore, e che hanno fornito alla destra che beceramente ci ha governato oggi e in passato la chiave di volta per sovvertire alcuni aspetti costitutivi della Scuola della Repubblica.

Non sarebbe più ragionevole, democratico e dialogico domandarsi per quale motivo una parte del mondo della scuola continua ad esigere risposte (e cambiamenti di rotta) rispetto a quelle strade che – sfruttate abilmente dai nostri avversari politici - hanno dato la stura a conseguenze negativissime? Perché non interrogarsi e non assumersi mai le proprie responsabilità?

Continua invece ad imperversare il Fioroni-pensiero sull’istruzione, proiezione di una parte di quella sfrangiata (dis)unione di anime politiche che è la nostra opposizione, e che preoccuperebbe se fosse l’unico portavoce di sintesi, tanto da far venire in mente che tale attenzione al passato possa significare poca speranza nel futuro. Continua ad imperversare, nonostante le conseguenze della fallimentare politica del “cacciavite” siano sotto gli occhi di tutti e sulle spalle stanche di chi a scuola ci va tutti i giorni; e di chi non ci va più, perché – dopo anni di precariato – è stato eliminato dal sistema. Le precauzioni di non alimentare conflitti dichiarate nel 2006 non hanno evitato, a nessun titolo, l’implosione del 2008.

Qual è la sorpresa se molti insegnanti non ricordano il biennio Fioroni con troppa simpatia, dopo aver sperato che quello che era stato scritto nelle pagine del programma dell’allora Unione potesse finalmente diventare realtà? Qual è la sorpresa, oggi, se questa mancanza di feeling si amplifica e si mischia ad un profondo disagio quando si legge l’ultima delle esternazioni dell’ex ministro, quella a proposito della proposta Pittoni?

Facciamo un passo indietro. Il capogruppo leghista alla Commissione Istruzione del Senato, Mario Pittoni, ha presentato una disegno di legge che, qualora fosse attuato, consentirebbe strade privilegiate nel reclutamento (docenti e dirigenti scolastici) ai nativi, in virtù di una maggiore conoscenza delle tradizioni locali. Lo straordinario numero di posti da dirigente disponibile nelle regioni artatamente identificate con la Padania rischia di essere occupato da personale indesiderato, proveniente dal Sud: ed ecco la proposta ad hoc. Per omogeneizzare la differenza di valutazione che ci può essere tra un ateneo e l’altro, il voto di laurea perderebbe qualsiasi valore: in primo piano le conoscenze di cultura locale degli aspiranti docenti. Gestione delle scuole delegata alle regioni, con un ruolo del ministero limitato alla definizione di livelli essenziali di prestazione, programmi base, esami finali ed alcune indicazioni nazionali. Il progetto di legge rischia di rivitalizzare il minaccioso disegno di legge Aprea sullo stato giuridico dei docenti, con il quale non pochi sono i punti di contiguità. Pare che intenzione della maggioranza sia quella di far confluire le proposte leghiste nei 22 articoli di Aprea. Insomma, una scenario desolante. Rispetto al quale ci si aspetterebbe una presa di distanza inequivocabile da parte della cosiddetta opposizione. Invece, ecco Fioroni, che da Trieste sostiene «È un’idea da valutare e lo faremo nei prossimi giorni».

 

Nello stesso pezzo potrete trovare un florilegio di posizioni differenti espresse da altri esponenti del PD . È evidente che l’elettore/insegnante viene colto da disorientamento immediato nel comprendere come non esista una “linea” omogenea nemmeno su questioni che tirano in ballo principi come quello di uguaglianza e la libera circolazione dei lavoratori.

Altrettanto disarmante è la situazione quando si vogliano considerare i contenuti dell’ultimo evento sulla scuola organizzato dal PD.


Essendo impegnata altrove, non avendo potuto partecipare all’iniziativa e non essendo ancora i materiali disponibili in rete, lascio la parola ad Anna Angelucci, amica, collega, come me coinvolta da anni sul fronte della difesa dei diritti, della scuola pubblica e in un implacabile esercizio di sollecitazione dell’opposizione affinché eserciti in maniera efficace la propria funzione rispetto a quelle istanze.

"Cominciamo con una citazione. "La storia politica e parlamentare degli ultimi 20 anni ci dice che la legge sulla parità, la legge sull'autonomia e la modifica del titolo V della Costituzione non costituiscono un incidente di percorso, bensí  una linea strategica dell'azione di governo del centrosinistra" : così Giovanni Bachelet, presidente del Forum Istruzione, in apertura dei lavori.

Di una riflessione critica preliminare sul fatto che quelle leggi comportino, rispettivamente, il finanziamento anticostituzionale delle scuole paritarie e lo smembramento e la privatizzazione della scuola statale, neanche l’ombra. Piuttosto, “occorre completare il decentramento iniziato con le così dette riforme Bassanini ed applicare il nuovo titolo V della Costituzione attraverso il federalismo fiscale e la gestione decentrata del personale”, si ribadisce nelle due paginette di sintesi presentate in cartellina ai partecipanti ai lavori, tutte incentrate sul roboante annuncio che “il primo imperativo politico è dunque portare a compimento il processo di autonomia e rivedere il ruolo e la presenza sul territorio dell’amministrazione scolastica”.  Un convegno leghista in salsa kantiana?

Autonomie, territori, servizi, amministrazione, comunità, enti locali, imprese, privati, fondazioni, associazioni, statuti: questo il repertorio lessicale e l’impalcatura concettuale che ha animato un fine settimana di riflessione in cui i relatori hanno discusso di governo interno, governo territoriale e supporti all’autonomia scolastica senza mai essere neppure minimamente sfiorati dal dubbio, pure alimentato da qualche intervento critico, che la solidarietà virtuosa, le reti di scuole, il principio di sussidiarietà non bastano a garantire il sistema dal rischio di derive particolaristiche e di sperequazioni geografiche, economiche e socio-culturali che calpestano il principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione.

Il PD, nel Forum, ha addirittura invocato una legge nazionale sull’autogoverno degli istituti scolastici in modo che ciascuno possa elaborare il proprio statuto, così da rendere possibile, in futuro, a molti, quello che fino ad ora non è stato possibile al sindaco di Adro. In nome di un malinteso concetto di modernità, si propone una forma di autogoverno che, nel quadro di un decentramento regionale finanziato dalla fiscalità locale,  produca curricoli autonomi, gestioni del personale autonome, nuove forme di rappresentanza, interne e esterne, autonome.

E cosa resta, in questo scenario, della scuola della Repubblica? Cosa resta del principio della pari dignità sociale, delle pari opportunità, della garanzia su tutto il territorio nazionale dei diritti sociali e civili, che è proprio la scuola, in primis, a trasmettere ai giovani?

Se già la legge sull'autonomia ha trasformato un'istituzione garantita dalla Costituzione in un servizio locale all'utenza, variamente declinato e declinabile sul territorio, e ha trasformato i presidi in impresari, costringendoli a far riecheggiare nella scuola le parole d'ordine della flessibilità e del mercato per finanziare con quattro soldi attività di gestione, di orientamento, di recupero, di sostegno o di ampliamento dell’offerta formativa, pensare addirittura ogni singola scuola come una singola monade statutariamente autonoma, che in nome della competitività sia disposta a mettere in rete piccole porzioni della propria autoreferenzialità, appare francamente grottesco.

Da molti anni ormai la scuola statale pubblica non esiste più. Esiste un sistema misto, pubblico-privato, in cui i cittadini pagano, oltre al contributo volontario, molte altre attività didattiche, anche curriculari, dall’'insegnante di madrelingua straniera che affianca il docente titolare, a molti degli insegnamenti attivati con le sperimentazioni cancellate da Gelmini, oggi affidati a privati, quasi mai abilitati, pagati dalle famiglie.

Il PD ci dice che “occorre fidarsi delle scuole autonome”. Ma noi, che la scuola autonoma la conosciamo, non ci fidiamo. Se c’è qualcosa di buono (corsi di lingue straniere, certificazioni, progetti di educazione alla salute o contro la dispersione) va reso ordinamentale e offerto a tutti, il resto non ci interessa. Noi preferiamo una scuola libera dalle pastoie burocratiche e da logiche aziendalistiche; una scuola pubblica, laica e statale, con una gestione nazionale affidata a rappresentanti della società civile che rispondano direttamente al Parlamento, senza insegnanti scelti dal Vicariato e pagati dallo Stato o insegnanti scelti dai dirigenti e pagati dalle famiglie; una scuola che non cambi da quartiere a quartiere, da città a città, da regione a regione, da nord a sud. Che garantisca i più alti livelli d'istruzione a tutti gli studenti, in classe e non nell'apprendistato, con lo stesso congruo numero di ore di italiano, latino, inglese, matematica, storia, filosofia, geografia, arte, diritto, scienze e educazione fisica; una scuola che sia aperta tutto il giorno, in tutti i luoghi della penisola, soprattutto i più impervi, senza dimensionamenti o razionalizzazioni o essenzializzazioni, per fornire cultura, laboratori, musica, mediazione, sostegno, italiano L2, ai giovani e agli adulti.

Che abbia un'unica, sola, grande autonomia, quella dalla burocrazia, dalla politica, dal mercato, dalle sirene del neoliberismo e dalle catene del pensiero unico, e non tante, piccole autonomie quante sono le singole scuole. E che garantisca i principi immodificabili di solidarietà, unità e indivisibilità  che la Costituzione ha sancito per questo nostro sciagurato Paese."

Unitarietà del sistema scolastico nazionale: questo è il principio che – più di ogni altro -  configura per tutti i cittadini dello Stato e anche per i non cittadini (“La scuola è aperta a tutti…”) un modello di pari opportunità. La rimozione degli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini è compito dello Stato, che individua nella scuola pubblica il più potente strumento per impegnarsi in questo civilissimo e democratico compito. Non si tratta di un’opzione come un’altra: e non si può credere che – rincorrendo una “modernità” velleitaria, superficiale e discriminante si possano allentare i cardini della scuola della Repubblica. Occorre scegliere da che parte stare. Ogni scelta è legittima. Ma è sbagliato confidare nel silenzio acquiescente di quella parte della scuola che da anni studia, elabora e propone. Che soprattutto quotidianamente si misura con il senso e le conseguenze della mancata applicazione di quei principi. La nostra è una scuola dialogica, che individua nel confronto – in quel confronto che ogni giorno proponiamo come modello di scambio cooperativo – un elemento fondamentale della necessaria dialettica democratica. Ma credere che stare teoricamente e storicamente dalla stessa parte implichi posizioni acritiche e acquiescenti significherebbe credere di poterci far rinunciare alla nostra essenza di cittadini e di docenti.

 

 

 

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