Direzione didattica di Pavone Canavese

(31.10.2005)

Per quest'anno, non cambiare  - di Marco Guastavigna

"Sembra giunta al capolinea la tradizionale erogazione di fondi specifici destinati al rinnovo e alla integrazione delle dotazioni informatiche nelle scuole.
Nella legge finanziaria del 2006 infatti non c’è traccia di cifre destinate a questo scopo, ricavate magari dalle licenze Umts o da altre entrate straordinarie come era avvenuto in passato.
La direttiva ministeriale n. 56 che fornisce indicazioni su come utilizzare le risorse provenienti dalla legge n. 440/97 non parla affatto di tecnologie didattiche.
Ne consegue che, per manutenere le attrezzature disponibili e per rinnovare quelle ormai obsolete, le scuola dovranno contare esclusivamente sui fondi ordinari.
Il problema, forse, è poco sentito nelle scuole superiori e negli istituti tecnici che possono contare sulle pur modesti contributi degli studenti.
Ma nella scuola del primo e in particolare nella primaria la situazione potrebbe diventare drammatica nell’arco di poco tempo tempo.
Forse per il 2006 si riuscirà ancora a sopravvivere “raschiando il fondo del barile”, ma fra un anno il rischio di dover chiudere i laboratori informatici nelle scuole primarie potrebbe diventare molto reale."

Riprendo la notizia dalla sezione News del nostro sito, perché merita senz'altro un commento immediato.

Prima di tutto, devo dire che non c'è nulla di cui stupirsi. Chi esercita (ancora) il senso critico ha capito da tempo che le indicazioni ministeriali in merito alle TIC nella didattica perseguono soprattutto, se non esclusivamente, finalità di immagine, almeno da quando fu concepito da Fierli il piano ForTic, che fin dall'inizio aveva caratteristiche di grande superficialità culturale (basta pensare alla centralità dell'ECDL nella formazione degli insegnanti) e di evidente demagogia politica nella ostinata sottolineatura della quantità delle persone soggette a formazione, senza nessuna verifica autentica della sua efficacia, oggetto di un monitoraggio definibile -eufemisticamente- ridicolo e culminato nella pretesa coincidenza tra attività svolte e finalità della riforma della primaria e della media.

Già a febbraio di quest'anno, per altro, il MIUR ha reso molto chiare le sue attuali intenzioni, scaricando sulle scuole eventuali oneri finanziari di attività di formazione.

Rimando quindi il lettore a quanto ho scritto in altra sede su questo aspetto del problema e provo a fare di necessità virtù.
Un vantaggio nel non avere quattrini da spendere infatti c'è. Possiamo smettere di rincorrere novità ed innovazione ad ogni costo e dedicarci con un po' di calma ad un serio bilancio culturale e pedagogico delle attività svolte fino ad ora.

In particolare, potremmo finalmente verificare se gli allievi dei diversi ordini di scuola con le tecnologie imparano di più e meglio. Questo infatti viene affermato, ripetuto, quasi predicato e per lo più creduto (nel senso della credenza ma anche, ahimè, della creduloneria) in tutte le occasioni in cui si discute il problema. Ma non viene mai verificato. Non ci sono dati, non vi è alcuna ricerca in merito. I soli dati che si possiedono sono le diverse indagini sulla penetrazione delle tecnologie nella vita scolastica ed in quella domestica, ma dal punto di vista di una totale autoreferenza: Internet e l'informatica sono sempre più diffusi, ma assolutamente come strumenti fini a se stessi.

Se smettiamo (qualcuno forse proprio perché forzato a farlo) di pensare che il problema sia avere tecnologie sempre aggiornate e di elevarle di conseguenza allo status di oggetti di apprendimento e ci dedichiamo finalmente al ragionamento sulla loro reale utilità didattica, abbiamo anche parecchio altro da fare:

- Separare concettualmente le competenze comunicative dalle pratiche tecnologiche;

- Concepire le TIC come strumento, ambiente, facilitatore degli apprendimenti, caso per caso, contesto per contesto;

- Analizzare in modo serio (=non subalterno e demagogico) vantaggi (e problemi, difficoltà) dell’uso delle TIC sul piano cognitivo e pedagogico, della mediazione culturale, delle garanzie di inclusione;

- Ridare spazio al senso critico, al modello negoziale dell’innovazione tecnologica;

- Concepire progetti fattibili, non palingenesi d’immagine;

- Recuperare la dimensione collegiale della consapevolezza, delle priorità, della progettazione;

- Inserire davvero la questione dei profili professionali nella contrattazione collettiva, nell’interesse generale, sottraendola all’individualismo corporativo.

 
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