Direzione didattica di Pavone Canavese

NUOVO CORSO: materiali e documenti della politica scolastica del dopo-Moratti


06.07.2007

LE NUOVE "INDICAZIONI PER IL CURRICOLO"
NOTE CRITICHE DI LETTURA
di Ermanno Puricelli

 

Indicazioni per dove?

Ma dove indicano queste nuove Indicazioni provvisorie e segrete della Commissione Ceruti-Fiorin che però stanno circolando in ogni dove e che il ministro vuole per ora anticipare solo con un documentino di poche pagine? Verso qualche direzione indicano, oppure indicano nelle più svariate direzioni? Qui, per quanto si tratti di materiali ancora di lavoro riservati e quindi suscettibili di cambiamenti, è necessario distinguere tra superficie e profondo.
In superficie, sembrano attraversate da un desiderio di enciclopedismo e di ecumenismo pedagogico e didattico, che non vuole dimenticare niente e nessuno (basta considerare l’elenco dei temi trattati: life long learning, scuola/extrascuola, territorio, comunità educate, convivialità, persona, stato, autonomia, uguaglianza/differenza, successo formativo e standard, ecc.).
Ma, attraversato lo spesso strato di verbosità e di banalità pedagogico - didattiche (una perla: "Si impara inoltre mediante l’ausilio di strumenti materiali -libri, quaderni, computer…- e simbolici"), ci si rende conto del fatto che queste Indicazioni indicano, ossessivamente, una sola direzione: compito centrale della scuola è quello di generare e forgiare l’ "uomo nuovo". Come nei regimi vecchi stile, alla scuola è affidata addirittura una mutazione antropologica. Nientemeno.
Dietro queste Indicazioni non sembra, dunque, esserci solo un pedagogia, c’è di più: un’ideologia globalista e mondialista, che ha il suo punto ultimo di ricaduta nel cittadino cosmopolita, di illuministica memoria - colui che ha lasciato alle spalle i propri limiti culturali ed i vecchi valori ed è diventato parte di una "comunità di destino planetaria". Ma questa è la conclusione del processo. Nel frattempo occorre convivere con una cittadinanza stile matrioska: "La nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo." E questo crea qualche contorcimento logico: "Per educare a questa cittadinanza unica e plurale ad un tempo (teologia della Trinità), una via privilegiata è proprio la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni e memorie nazionali." Perché? Non si sa.
Non sarebbe più opportuno, visto lo scopo, partire da una artificiale cultura mondiale, al cui interno collocare un poco di tradizioni e memorie nazionali?

Continuità o discontinuità?

La lettura del primo capitolo del documento "Cultura scuola persona", ed in particolare del paragrafo 1.2 Centralità della persona, può ingenerare l’errata sensazione di una certa continuità tra la riforma Moratti e le linee programmatiche dell’attuale governo. Come non riconoscersi in affermazioni come queste: "Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale …Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti…"(p. 7)?
In realtà, una lettura più attenta e meditata consente di vedere come tra le precedenti Indicazioni e le attuali esiste una profonda frattura, una discontinuità chiaramente rimarcata già a partire dal titolo: non più "Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati", ma "Indicazioni per il curricolo".
L’elemento che più di ogni altro consente di cogliere, in tutta la sua ampiezza, il radicale cambiamento di rotta tra i due documenti è il sistematico lavoro di espunzione, dalle attuali Indicazioni, di pressoché tutti gli oggetti pedagogico-didattici, che sostanziavano il precedente progetto di scuola, ricavato dall’art. 8 del Dpr. 275/99 e dalla legge n. 53/03. L’elenco delle assenze è molto lungo. Sono rimasti fuori: il PECUP, gli Obiettivi generali del processo formativo di cui parla l’art. 8 del Dpr. 275/99 (per la verità qui e là c’è qualche fugace accenno), gli Obiettivi formativi, le Unità di apprendimento, i Piani di studio personalizzati, il portfolio, il tutor, le attività facoltative opzionali, il monte ore su base annuale; persino gli obiettivi specifici di apprendimento dell’art. 8 del Dpr. 275/99 sono diventati semplicemente gli "obiettivi di apprendimento" (il termine "specifico" inviterebbe ad una qualche analiticità che si vorrebbe evitare o delegare ai docenti).
Sul piano dei principi spariscono, in particolare, il principio dell’ologramma (che lascia il posto, coerentemente, ad una meno problematica "unitarietà del sapere"), quello della sussidiarietà (che lascia il posto alla collaborazione con i genitori e ad un lavoro ‘sui’ genitori piuttosto che ‘con’ i genitori) ed il reticolo concettuale delle capacità, conoscenze, abilità e competenze. L’opera di demolizione del lavoro del precedente governo non poteva essere più sistematica e mirata.

Un passo in avanti o uno indietro?

Questo lavoro di smantellamento non lascia naturalmente il posto ad un terreno vuoto. In realtà, l’opera di demolizione procede di pari passo con il lavoro di restaurazione del modello pedagogico, didattico e persino organizzativo, che la riforma Moratti aveva cercato di modificare: precisamente il modello pedagogico e didattico della progettazione/programmazione curricolare in vigore negli ultimi trent’anni del secolo scorso.
Si potrà obiettare, ed è legittimo farlo, che la riforma Moratti rappresentasse una "fuga in avanti", che non tenesse conto delle reali condizioni della scuola (spesso ancora più indietro della stagione del curricolo), che contenesse punti oscuri ed elementi di ambiguità; persino che non fosse in grado di proporre un modello completo e articolato in ogni sua parte, ecc. Ma almeno si sforzava di guardare avanti. Ora ci viene proposto semplicemente un ritorno agli anni ’80, con un linguaggio mutuato pari pari e senza imbarazzi da quella stagione didattico pedagogica. Fa una certa tenerezza risentire certi discorsi che gli ispiratori di questa svolta facevano già negli anni ‘80: "Se, nel caso del programma, agli insegnanti si richiedeva di essere buoni esecutori di un testo elaborato altrove, nel caso del curricolo si chiede loro di essere co-elaboratori protagonisti e responsabili delle scelte effettuate. La professionalità è dunque fortemente valorizzata…". Questa novità bisognerà spiegarla bene ai docenti. Tale è la volontà di evitare, ad ogni costo, di fare i conti con i piani di studio personalizzati (reale termine di confronto), che non si teme il ridicolo di riattualizzare, a distanza di 30 anni, la contrapposizione tra programma e curricolo. La carica fortemente innovativa, utopica e di respiro internazionale che pure la riforma Moratti portava è del tutto sparita: nessuna novità, nessun sussulto, tutto è normalizzato; a parte l’impianto ideologico che costituisce la vera novità (con cui si dovranno fare i conti).

Centralità della persona o centralità della cultura?

Il paragrafo 1.2 si intitola Centralità della persona, ma si tratta, sembra di capire, solo di uno specchietto per le allodole. Verrebbe da osservare che già il titolo del capitolo "Cultura scuola persona" smentisce implicitamente questa centralità: prima la cultura, poi la scuola, infine la persona. Dunque, al centro del disegno c’è la cultura e, di conseguenza, il processo di trasmissione culturale, che la scuola opera nei confronti della persona: cultura->scuola->persona. Nella logica delle precedenti Indicazioni l’ordine appariva rovesciato: persona->scuola-> cultura. Al centro la persona e, di conseguenza, il processo di crescita e maturazione personale (con l’enfasi sul successo formativo), a cui la scuola avrebbe dovuta lavorare, utilizzando il dato culturale una funzione strumentale. Sottigliezze? Forse. Quel che è certo, però, è che, se si vuole un fine, si devono volere anche i mezzi necessari a conseguire il fine, altrimenti si tratta di velleità o, peggio, di malafede. Ora come si presume di mettere al centro la/le persona/e, se si procede alla messa al bando dei mezzi (certamente perfettibili), che dovevano servire allo scopo? Come è possibile spostare l’attenzione dalla cultura alla persona se si elimina il Profilo educativo, culturale e professionale che era la sanzione istituzionale e ordinamentale di questa strategica svolta? Quello morattiano può non piacere, lo si sostituisca con un altro: l’ eliminarlo e addirittura "tabuizzarlo", nel significato dirompente che aveva per la nostra tradizione, è perlomeno segno di complicità con la vecchia idea di scuola apparato ideologico più che dello Stato del governo di turno. Da questo punto di vista, non è certo sufficiente, per lavarsi la coscienza, parlare di "insegnamento individualizzato negli obiettivi da raggiungere e di un apprendimento personalizzato nei modi per conseguirli." Questo è solo un gioco di parole dietro cui non si avverte alcuna concettualità sostenibile, sebbene tutte le pagine grondino di sussiego.

Autonomia o neocentralismo mascherato?

Ci sono due altri aspetti in questo documento che saltano immediatamente all’occhio, ma il cui senso non è di immediata lettura: a) da un lato, l’enfasi sul concetto di curricolo; b) dall’altro, il continuo richiamo al valore dell’autonomia. C’è un qualche nesso tra queste due cose? Cominciamo con il curricolo. Che queste intendano essere le Indicazioni per il curricolo è dichiarato fin dal titolo; non può sorprende allora che ci venga proposta una nozione molto forte di curricolo:

"Il curricolo organizza e descrive l’intero percorso formativo che uno studente compie, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria, nel quale si intrecciano i processi cognitivi e quelli relazionali." Come intendere questa impegnativa assunzione? Ipotizziamo: il curricolo è onnicomprensivo, in senso longitudinale, perché abbraccia l’intero percorso formativo e ne fissa le tappe di sviluppo dall’infanzia alle superiori, in senso latitudinale, perché ogni esperienza deve confluire nel curricolo di istituto (non ci possono essere esperienze di apprendimento extracurricolare). Il fatto, poi, che il curricolo "organizzi e descriva" fa pensare che debba essere elaborato ed esplicitato a priori per ogni disciplina e attività ("organizza"), e che tale esplicitazione debba avere un taglio di tipo analitico ("descrive").

"Gli itinerari dell’istruzione, che sono finalizzati all’alfabetizzazione (linguistico- letteraria, artistico-musicale…), sono inscindibilmente intrecciati con quelli della relazione…- ossia- interazione emotivo-affettiva, comunicazione sociale ed i vissuti valoriali…"(p. 12) Ipotizziamo: ci sono gli itinerari dell’istruzione (che sviluppano gli obiettivi di apprendimento) e quelli dell’educazione (che sviluppano le finalità educativa); tali itinerari si devono, però, intrecciare perché il curricolo costituisca un unico "percorso formativo", al cui interno i fili siano distinguibili. I percorsi dell’istruzione e dell’educazione sono scanditi nella scuola dell’infanzia per campi di esperienza (" il curricolo si struttura in aree e campi di esperienza"), nei primi anni di scuola primaria in aree ("l’organizzazione degli apprendimenti si struttura in maniera più esplicitamente orientata ai saperi disciplinari"), più avanti emergerà la nozione di disciplina come elemento d’ordine. Dunque, si tratta alla fine di un percorso a base disciplinare: "i principali assi del curricolo, le discipline" (p.13). Da qui l’appello all’unitarietà dell’apprendimento, inteso però come unità del sapere "l’insegnamento mira a favorire un apprendimento unitario…Unità, in questo caso significa, unità del sapere". (p. 15)

"La progettazione curricolare…coinvolge tutti i fattori connessi con il processo educativo, dai contenuti agli esiti formativi, dalle modalità di realizzazione ai condizionamenti dovuti alle situazioni socioambientali…la problematica curricolare è il terreno su cui si muove l’innovazione educativa." (p. 14) Dunque il curricolo, non solo organizza e descrive ogni aspetto del processo di apprendimento, ma costituisce anche il termine di riferimento per qualunque attività dei docenti.

Entro questa logica, diventa del tutto "naturale" l’affermazione secondo cui: "Il cuore didattico del Piano dell’Offerta Formativa è il curricolo, che viene disposta dalla comunità professionale nel rispetto degli orientamenti e vincoli posti dalle ‘Indicazioni’…il curricolo si afferma (da solo?) come principale strumento della progettazione didattica." (p. 12). Interpretiamo: in questo modo il POF, ossia il documento fondamentale dell’autonomia delle scuole, viene svuotato per trasformarsi nel semplice involucro del curricolo: POF = curricolo. Con questa mossa le Indicazioni nazionali, anziché fare da cornice ai processi dell’autonomia, si impiantano nel cuore stesso dell’autonomia.

Si potrebbe obiettare: ma le scuole, una volta rispettati gli "orientamenti ed i vincoli posti dalle Indicazioni", sono libere di progettare il proprio curricolo! Ma è proprio così? Qualche dubbio viene: ciò che solo qualche anno fa era chiamato "programmazione curricolare", oggi viene chiamato "progettazione curricolare" (p. 14). Cos’è accaduto di nuovo? E’ cambiata la cosa o è cambiata solo la parola? Vediamo.

"le Indicazioni Nazionali …sono un testo volutamente aperto che la comunità professionale è chiamata ad assumere e a contestualizzare…" (p. 11). Dove sta la progettazione? Assumere e contestualizzare significa "adattare" alle situazioni locali. Questo è il margine di libertà. Negli anni ’80, F. Frabboni parlava dei programmi come dell’edizione nazionale e del curricolo come dell’edizione locale dello stesso documento. Da lì non ci si è mossi. Possibile che il mondo si sia fermato a quegli anni?

"Il curricolo che ogni scuola elabora, pur nella originalità che lo contraddistingue, deve tenere conto delle richieste che il centro fa attraverso le Indicazioni, ma questo non significa che il progetto della scuola sia altra cosa, che si giustappone alle richieste del centro senza integrarsi. In realtà, Indicazioni nazionali e scelte della scuola si fondono in un unico progetto." (p. 13) C’è bisogno di commentare? Dove pende la bilancia: dal lato del rispetto delle direttive centrali o dal lato dell’autonomia delle scuole?

"Il restituire all’autonomia della scuola la piena responsabilità didattica non significa legittimare qualsiasi impostazione pedagogica, metodologica, organizzativa, valutativa." Che idea si ha mai dell’autonomia delle scuola e della loro responsabilità? E se una scuola volesse continuare con l’esperienza delle Unità di apprendimento e dei piani di studio personalizzati, che accadrebbe? E se lo chiedesse la comunità di riferimento?

I riferimenti prescrittivi contenuti nelle Indicazioni non sono numerosi, ma essenziali: "a)le finalità e gli obiettivi generali del processo formativo; b) gli obiettivi di apprendimento relativi alle competenze degli alunni; c) le discipline e gli insegnamenti ritenuti indispensabili. (p. 13). Il punto è che queste finalità, questi obiettivi di apprendimento e relative competenze (tra l’altro vincolate agli ambiti disciplinari) non sono concepiti come livelli essenziali di prestazione (LEP) a cui le scuole sono tenute, ma come standard di apprendimento dei ragazzi. Questo modo di porre le cose introduce una forte rigidità nel sistema. Mentre nelle precedenti Indicazioni esisteva una "camera di compensazione" tra gli Osa e l’attività didattica delle scuole, rappresentata dagli "obiettivi formativi" (che, non a caso sono stati eliminati, per essendo contemplati dal DRR 275/99), oggi il transito tra riferimenti prescrittivi e attività didattica è diretto. L’unico spazio di libertà lasciato alle scuole è la "specificare" questi obiettivi mediante un processo di tipo analitico deduttivo, tenuto conto delle caratteristiche della classe.

E veniamo, infine, ai richiami al valore dell’autonomia, altro dei leitmotiv di queste Indicazioni. Inutile tediare con lunghi elenchi di citazioni. Basta una considerazione: vista la tendenza neocentralista che attraversa il documento, si potrebbe osservare che questi continui richiami, ricordano gli elogi alla fedeltà intessuti dai fedifraghi, i quali desiderano compensare sul verbale ciò che non garantiscono nella realtà. Che tutto questo accada senza un dibattito reale e libero nelle e tra le scuole e che tutto si riconduca verticisticamente alle determinazioni di alcuni ‘illuminati" lascia sconcertati soprattutto chi, come il sottoscritto, ha sempre creduto che quando si invocava il dibattito, nella precedente legislatura, non lo si facesse per motivi strumentali, ma di rispetto sostanziale della dignità dei docenti e dei dirigenti, oltre che per la qualità dei processi educativi. Ci manca ancora che queste Indicazioni siano sottratte anche ad un controllo parlamentare (come ha annunciato il Ministro, informando di un’apposita delega inserita nel Bersani ter), e dovremmo davvero concludere che, forse, la democrazia, nella politica scolastica, è più proclamata che praticata.