Direzione didattica di Pavone Canavese

NUOVO CORSO: materiali e documenti della politica scolastica del dopo-Moratti


04.04.2007

LA COMPLICATA ERA DEL BAMBINO COMPLESSO
di Raffaele Iosa (per gentile concessione dell'autore e del sito WEB Scuolaggi)


Ai tempi del primo documento Bertagna scrissi un articolo ad alto rischio licenziamento dal titolo “Tra Erode e Iva Zanicchi”. Da quello nacque la marcia di Barbiana, alla quale si presentò anche il neo ministro Fioroni nel maggio scorso, mi è sembrato quanto meno come risarcimento a don Milani dopo un quinquennio duro. A proposito: la prossima marcia di Barbiana (quella dei 40 anni della Lettera) è prevista per il 20 maggio prossimo. Preparatevi le scarpe e i panini. Criticherei uguale adesso se fosse necessario, anche se ora c’è un governo che ho votato, perché la libertà di pensiero è costituzionale e morale. Dunque ammetto onestamente e senza piaggeria che a me piace questo documento Ceruti/Morin come prima cornice culturale della nostra scuola di base. Ne parlo bene perché è netta la differenza dal passato e finalmente torna un respiro culturale che cerca di andare verso l’alto dopo qualche mese di gestione ciclotimica dell’istruzione.
Soprattutto mi auguro che al di là dei differentissimi contenuti tra i due documenti, ben diversa sia questa fase rispetto alla precedente, quando era vietato parlare e dominava la vendetta culturale e non il dialogo. C’è bisogno oggi di parola aperta e franca, dopo cinque anni di militarizzazione.


Il documento è, prima di tutto, breve. E’ una cornice, appunto, fortunatamente scritta quasi tutta in un italiano leggibile, a parte qualche solita retorica del pedagogese.
Ci sono tutte le cose che una normale e seria pedagogia del presente dovrebbe dire quando l’orizzonte di senso della politica vuole democrazia, cittadinanza sociale, cooperazione, sviluppo di tutti, consapevole che la globalizzazione è contemporaneamente rischio e opportunità. Insomma parole dignitosamente uliviste/unioniste. In epoche di conflitti fondamentalisti, un testo laico consapevole della crisi della modernità con un approccio creativo alla complessità. Un testo in cui la scuola non diventa cloaca dei mali del mondo né gabbia di tante oche da ingrassare per fare il patè, ma luogo dell’ermeneutica che va oltre gli steccati disciplinari, le mode del momento, cerca e dà senso. Forse pensa anche ai bambini come bambini.
Dunque, parole in cui ritrovo alcuni dei miei pensieri di questi anni: nessuna apologia della “società della conoscenza”, l’analisi non trionfalistica dell’epoca, la “complessità” come stato di quell’ uomo planetario che retoricamente conclude il documento. E un possibile ruolo della scuola un po’ dewejniano di società/presocietà, teso al futuro possibile senza enfasi o catastrofismo ma, appunto, con una complessità che può essere sciolta solo dal pensiero critico, dalla relazione comunitaria sul comune destino.
Mi pare dunque un documento fortunatamente normale. Che colloca la scuola in un alveo culturale e politico onesto, di comune ricerca di un “nuovo umanesimo” che non è tema della scuola ma di tutta una società che rischia il declino per troppa tecnologia, troppa conoscenza, troppo consumo. Che colloca gli insegnanti come interlocutori attivi tra cultura, generazioni, società con una missione non trasmissiva né di intrattenimento né di psicoterapia ma di socratica crescita della cultura che si fa con i bambini e i ragazzi, non per riproduzione ma per ri-costruzione.
Non si arrabbi l’amico Tiriticco, ma questa volta ha visto più lungo Boselli anche con i suoi coloriti termini fenomenologici. Non è più l’epoca del disciplinismo, soprattutto non è più l’epoca della somma ma quella della complessità, che non ha steccati, ma anzi ibrida saperi, mescola storie, teorie e sogni. In un qualche modo l’epistemologia classica lascia il posto all’ermeneutica. Perché di saperi si può anche morire come suggerisce Fioroni (nel suo intervento) citando il preside che è stato da bambino ad Auschwitz e ha visto medici, ingeneri militari nazisti “competenti”.
Mi pare che con questo documento si sia fatto un ulteriore passo verso un sano “relativismo culturale” che non è quell’agnosticismo becero e sporcaccione verso cui si scaglia il papa tedesco, ma il riconoscimento che non c’è nessun Logos e nessun Marx che ci aspettano dietro l’angolo per darci il Pensiero Totale sulla Terra. C’è invece l’umana appassionante e tragica ricerca dei possibili, la comune ricerca del migliore possibile. Perché da soli non si va da nessuna parte, uscirne insieme è la Politica (è Don Milani, oh yes). E’ la vita.
Fa piacere fino ai brividi, ad esempio, non sentire nel documento l’apologia della tecnologia e di internet che aveva incantato Maragliano e Berlusconi, ma anzi la necessità di dominare la tecnica con disincanto e senza farsi dominare. Fa piacere sentire come l’esperienza è considerata la base di ogni conoscenza, che ogni conoscenza non ha senso se non ha un senso. Forse c’è troppo poco sulla “crisi dell’infanzia” travolta dalla sur-modernità, e sulla necessità che la scuola sia un’oasi critica, ma sparso qua e là un’ecologia della scuola come luogo di libertà critica c’è. Forse si poteva dire di più sull’autonomia delle scuole non solamente come funzionale al territorio, ma anche come autonomia didattica e anche autonomia culturale. Forse si poteva anche essere un po’ più di sinistra sui temi dell’eguaglianza sociale (esco da congressi di sezione per il futuro pd sfiancanti di nostalgia sinistra), ma insomma le cose ci sono un po’ tutte, e per quelle appena accennate comincia oggi la fiera della discussione... Fiato alle trombe dopo cinque anni di fischi!
Mi ha sorpreso positivamente anche l’intervento del ministro Fioroni. Mi hanno raccontato anche di un appauditissimo intervento di Luigi Berlinguer (onore agli ex) alla presentazione a Roma.
L’intervento di Fioroni è importante perché “offre la parola”, dà spazio al confronto, innalza il livello della discussione dopo un periodo di cui si è molto chiacchierato su alcuni suoi interventi aspri, se non ad alcuni scaricabarili. Questa volta il suo intervento sembra “escatologico”, a differenza di un suo pesante intervento che ho sentito a Modena a febbraio, dove con giolittismo iperrealista, sputtanava continuamente i troppi “escatologi” che a suo dire pretendono troppo e vogliono sempre approfondire troppo. La scuola è complessa anche per i ministri.

Ma vedo già all’orizzonte le complicazioni, che non peggio delle complessità, sono veri e propri accidenti che questo documento di per sé non riduce. So per esperienza lo scarto tra il dire e il fare.
Ad esempio, si veda l’enorme differenza tra il documento dei saggi del 98 e i programmoni di De Mauro. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo ….i disciplinisti, gli ispettori, gli editori, i formatori, tutti allupati e pronti allo sbranamento e al mercato. Una righina nel paese di Giolitti non si leva a nessuno. E così si fa ancora un poema enciclopedico. I Bertagna di sinistra sono sempre in agguato.
Ci vuole quindi l’onestà e il coraggio di dirci (senza escatologismi) che il brutto potrebbe cominciare adesso, nella fase di scrittura materiale delle nuove Indicazioni. Se il buon giorno si vede dal mattino mi auguro che si scelga il pluralismo di vere competenze, superando una certa aria da “amici degli amici”, anche per evitare che i migliori se ne vadano, come accade in questi giorni. Mi auguro che chi ci lavorerà usi la forbice piuttosto che la colla, eviti di insegnare la didattica, non spettegoli di psicologismi, rifugga da sigle e orpelli organizzativi. Si dicano gli essenziali saperi (ermeneutici e critici) che si vogliono dalla scuola e olè! Piacerebbe pensare ad una sobrietà di contenuti e di linguaggi simile a questo documento. Poche pagine, tanto succo e tanta discussione. E non si parli di formazione nazionale guidata degli insegnanti, né di chiacchiere on-line che non se ne può più. Si faccia “comunità di ricerca” nelle nostre scuole, ognuna nella propria realtà, partendo da ciò che si è (spesso già buono). Promuovendo radicalmente l’autonomia delle scuole. Evitando infine il monitoraggismo a crocette su superflui tests.
Ma la complicazione non è solo questa, per quanto importante. Questi mesi e questa finanziaria non sono state una fase felice per il Governo e il Ministero, anche negli stili in cui si è condotta. Ne fanno fede i moltissimi malumori che provengono da molte parti, e di cui scuolaoggi raccoglie sistematicamente la problematicità. Ci è voluto nonno Romano (Prodi) e zia Mariangela (Bastico) per far quasi contenti gli emiliani romagnoli sul tempo pieno, dichiarandosi pronti sia a cambiare il famigerato decreto Moratti sia trovando nuove risorse docenti. Forse prima ci voleva almeno qualche discorso di umana comprensione per far capire agli insegnanti e ai cittadini che “dispiace” questa situazione finanziaria, che si condivide la speranza di fare di più. Un po’ di coccole, insomma, dopo anni di penuria, piuttosto che considerare insegnanti e cittadini “ladri di posti”, come pensano ancora molti ministeriali. Perché questo è il punto delicato. Ai tempi della cosiddetta “commissione Fassino” (anni 80, domina Falcucci), la commissione fin dal documento iniziale pose il problema che la “cornice culturale” e poi il “quadro dei programmi” avessero bisogno di chiarezza sul modello materiale e di risorse ritenute necessarie dalla cornice e dal quadro. Una cornice moriniana così elegante frana nel patetico se pensiamo alla storia degli stipendi non pagati ai supplenti, o alla ridicola rincorsa a posti di tempo pieno dove riceve di più chi grida o ha santi in paradiso, o alla gustosissima querelle sulla Tarsu.
In questi anni si è smantellata, giorno per giorno, non solo la quantità di risorse ma anche la loro qualità, degradando presidi e insegnanti a rincorrere le ore e le mezzore per far quadrare una scuola appena dignitosa, o a pietire con il progettume per tirare fuori soldi dalle rape o un posticino da arcigni guardiani del budget. Soprattutto si è castrata l’autonomia. La finanziaria del 2007 non è grave di per sé, ma è gravissima perché è la sesta consecutiva che pensa alla scuola in termini di risparmi. Non invece la prima che ripensa alla scuola in termini di risorse. Si poteva almeno dire: “Ragazzi, mi spiace, ma la destra con i condoni fiscali generalizzati ha prosciugato la cassa, aspettate un po’ che tiriamo su soldi freschi”. Ma non si può oggi rincorrere le grida dei cittadini se non c’è una testa progettuale di lungo periodo sulle risorse. Questo è il complicato del complesso documento Ceruti/Morin. Per il “bambino complesso” il rischio di una scuola complicata.

Io non credo vi sia solo una questione di quantità (anche se c’è eccome), ma anche di qualità. E’ ora ad esempio di riparlare di vero organico funzionale, non nel senso di posti classe + qualcuno (che è lo spreco corporativo), ma della possibilità data alle scuole di optare tra varie soluzione su soglie ragionevoli di posti gestiti in modo funzionale e non calibrati sulla misura delle classi (che è la più iniqua, visto che va da 12 a 28 alunni!). Non posso neppure pensare che la risposta sul tempo pieno continui ancora ad essere solo quella alla middle class del nord che ha cetimedizzato il tempo pieno. Dobbiamo pensare anche allo Zen di Palermo e a Secondigliano, un giorno o l’altro. Due anni fa ho scritto un articolo molto letto, “il tempo (non) è denaro” e lì rimando perché i temi sono sempre gli stessi, ma sono convinto che oggi rischiamo che il tempo sia sempre più scarso e sempre più vuoto. Piuttosto, nel rispetto dell’autonomia didattica, merita una radicale discussione l’organizzazione del lavoro dei docenti non tanto nella scuola elementare (anche se una serena discussione a quasi 20 anni dalla 148 si impone) ma nella scuola media, nella quale rischiamo che tutte le discussioni sulla complessità ermeneutica della cultura del presente franino in modo ridicolo con programmi centrati…sulle cattedre e sugli eventuali perdenti posto!
Credo quindi che serva coraggio (e un po’ di escatologia) per cominciare presto a definire i livelli essenziali di organizzazione dell’offerta scolastica, sia nei termini di equivalenza dell’offerta in tutto il paese sia di perequazione nelle aree sociali in difficoltà. Bisogna farlo parallelamente alla discussione culturale, altrimenti oggi festeggeremo solamente una della varie occasioni di dibattito colto ed elegante, ma a rischio chiacchiera. Di queste occasioni ne faremmo volentieri a meno.

Le complicazioni sono complesse. Basterebbe non nasconderle e avere il coraggio orizzontale di discuterne con tutti e con la scuola, non contro la scuola. Che nonostante le chiacchiere sui bulli e i cellulari, è ancora considerata dagli italiani un luogo di speranza che ai nostri figli sia dato un futuro gentile e ottimista. Con una scuola complessa sì, ma non complicata.

 

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