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Il dibattito (sulla scuola, ma non solo...) - a cura di Enio De Marzo

(01.09.2012)

Quando il Cardinale Martini venne nel mio quartiere ....

Ricordo Carlo Maria Martini quando venne a far visita alla parrocchia del mio quartiere. Erano i primi anni Ottanta. Frequentavo la terza liceo scientifico.
Ero un ragazzino che passava le giornate a fare politica. Ma gli anni Settanta erano oramai solamente un ricordo.

Milano si era rifatta il look, presentandosi al mondo come città dinamica, moderna, “da bere”, come recitava lo spot di una nota marca di aperitivi, nel tentativo di fare dimenticare gli "anni di piombo". Uno spot, quello dell’aperitivo, che si apriva con l’immagine del Duomo alle prime luci dell’alba, per poi dare spazio a facce di giovani tutte sorridenti e spensierate e soprattutto laboriose, baciate da un sole che è rarissimo vedere in città. Con il tramontare del medesimo, ecco che ritornava l’immagine del Duomo, ma questa volta sullo sfondo, per lasciare spazio ad un’enorme bottiglia dell’aperitivo. La Milano da bere!
Milano, anni Ottanta. Sarebbe meglio dire Centro di Milano, anni Ottanta, perché al di fuori di quel piccolo perimetro la realtà era ben diversa. Certo, la conflittualità permanente del decennio precedente era cessata, anche se i terroristi continuavano a mietere vittime. E tuttavia le pesantissime ristrutturazioni nel settore industriale avevano portato a licenziamenti di massa e i primi a farne le spese erano stati i settori più combattivi e sindacalizzati. Il numero dei suicidi si era impennato come mai era accaduto prima, nemmeno negli anni della guerra, così come quello degli sfratti: in una Milano da bere non c’è spazio per chi non ha soldi. Infine l’eroina, che si spazzava via i sogni di una intera generazione, popolando di incubi quella che stava subentrando.

Era questa la situazione del mio quartiere quando giunse Carlo Maria Martini: una zona periferica ma non troppo, un tempo fiore all’occhiello della Milano industriale, dove il Partito Comunista e Democrazia Proletaria detenevano la maggioranza assoluta in Consiglio di Zona. Di quel quartiere non rimanevano che le macerie. Ogni giorno decine di famiglie erano costrette a cambiare casa. Ogni giorno decine di famiglie piangevano i loro figli morti di overdose.
Carlo Maria Martini venne accolto dagli applausi di una folla mai vista prima in quella chiesa.

Noi, come ogni domenica, anzi come ogni giorno, ce ne stavamo lì a pochi metri, sui muretti, a discutere, a fumare, a bere, a giocare. Sapevamo tuttavia che quella non era una domenica come le altre. Lo avevamo capito dai manifesti affissi su tutti i muri della chiesa, dall’ansia dei sacerdoti della parrocchia, dal numero di poliziotti che si aggiravano in zona.
Guardavamo quella folla con astio, ma non per motivi ideologici. Per molti di loro, noi eravamo la feccia, i cattivi del quartiere, quelli che facevano casino e che turbavano i loro sonni. Come dargli torto? In una Milano che si stava rifacendo il trucco, noi rappresentavamo il vecchio, l’obsoleto: metallari, punk, cinesi, new hippy e via dicendo. Un microcosmo di un mondo destinato a scomparire, ma che faceva sentire la sua presenza, eccome se la faceva sentire!
All’uscita della messa, le stesse scene di giubilo dell’entrata. Carlo Maria Martini stringeva mani e accarezzava i bambini. Una scena patetica, che contribuiva ad accentuare il nostro astio nei confronti di quella folla, di quella kermesse. Ma poi, tutto d’un tratto, il suo sguardo si posò su di noi. Carlo Maria Martini cominciò a parlottare con il parroco, quindi con il prete dell’oratorio tenendo fisso lo sguardo su di noi. Panico! Che facciamo? Scappiamo o insceniamo una contestazione e vada come deve andare? Mentre decidevamo sul da farsi, un piccolo corteo si mise in movimento verso di noi: c’erano Carlo Maria Martini, i suoi collaboratori in borghese, il parroco e il prete dell’oratorio.

Man mano che quel corteo si avvicinava, si faceva sempre più imponente la figura di Carlo Maria Martini, un omone che ci avrebbe certo fatto comodo sia in manifestazione sia nelle diatribe con le bande nemiche.  “Salve. Come va?”
La sorpresa fu enorme. Carlo Maria Martini aveva varcato un confine sino ad allora considerato invalicabile, quello tra la bontà e la cattiveria, tra la fede e l’eresia, tra la pace e la guerra, lasciandosi dietro il suo seguito e lo sgomento di quella folla.
Fu un mio amico metallaro a rompere il ghiaccio, avvicinandosi a Carlo Maria Martini e stringendogli la mano alla maniera dei neri americani. Quindi fu la volta del new hippy, capelli lunghi fino al sedere, jeans stracciati, simbolo della pace sulla camicetta. Lui sorrise ad entrambi. Quindi ci chiese chi fossimo, che cosa facessimo nella vita, che cosa pensassimo dell’oratorio, del quartiere, della città, del mondo. A colpirci fu il tono di voce, un timbro forte ma al tempo stesso tenero. Nessuno rispose!
Alla fine decisi di farmi avanti io, in qualità non tanto di capo banda, quanto di persona autocosciente, in virtù dei miei studi liceali (gli altri o lavoravano o frequentavano scuole professionali) e del mio attivismo politico nella sinistra più radicale di allora. E lo feci in malo modo, rilanciando sullo Ior, sul cardinale Marcinkus, sulla P2, sull’aborto, sulla condanna vaticana della Teologia della Liberazione, il tutto per riconquistare gli occhi dei miei amici e soprattutto delle mie amiche, letteralmente folgorate da quell’omone.
Ma Carlo Maria Martini non si scompose e rispose a tutte quelle “domande” con calma serafica, voce suadente e continui sorrisi. E che risposte! Quello che avevo davanti non era certo un burocrate conservatore, ma un uomo di larghissime vedute e di una cultura stratosferica.
A lui non interessava che fossimo o ci dichiarassimo fedeli, ma che fossimo e dimostrassimo di essere persone pensanti e come tali interessati alle cose della vita, mali della chiesa compresi!

L’incontro durò una buona mezz’ora, tra gli sguardi sorpresi della massa di fedeli. Alla fine gli stringemmo tutti la mano (questa volta in maniera “educata”), tra mille sorrisi, compresi i miei. Ma prima di andare via il mio amico metallaro fece il colpo della sua vita: “bello quel crocifisso, cardinale!”.
Era davvero bello. Non so se fosse d’oro, ma era grande e brillava parecchio. “Prendilo. È tuo!”. Lo prese e se lo attacco al chiodo!

Ciao, Carlo Maria Martini

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