Direzione didattica di Pavone Canavese

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La rubrica quindicinale
n. 4 del 20.10.1998

HOMO MIGRANS

In questo numero della rubrica Educazione interculturale ci si sofferma a riflettere sul fenomeno delle migrazioni con i seguenti obiettivi

  1. evidenziare come il dato migratorio sia una costante delle società umane
  2. analizzare un tipo particolare di migrazione, la transitività cognitiva
  3. fornire alcune indicazioni bibliografiche utilizzabili da quanti vogliano affrontare didatticamente il problema migratorio

1. L’uomo migrante

Da sempre l’uomo ha intrapreso la via dell’emigrazione, ovvero la via della mobilità geografica che lo ha portato ad abbandonare il proprio territorio al fine di cercare altrove risposta ai bisogni che la terra dove abitava non era più in grado di soddisfare (ma, occorre dirlo, si sono avute anche forme gravissime di emigrazione coata quale, ad esempio, la tratta degli schiavi).

Non è qui il caso di ripercorrere la storia delle migrazioni dall’antichità ad oggi (esistono al riguado ottimi saggi) quanto piuttosto è utile sottolineare, per quanto riguarda il caso italiano, che il nostro paese è stato sino a pochi decenni fa investito radicalmente dal processo migratorio sia verso l’estero che rivolto all’interno.

Gli studiosi distinguono per l’Italia tre ondate migratorie

a. Fine’800 - inizio ‘900: milioni di italiani emigrano soprattutto verso gli Stati Uniti, il Canada, l’America del sud. Si tratta di un processo enorme: si pensi che tra il 1908 ed il 1913 ogni anno sono partite dall’italia circa 400.000 persone verso i paesi americani e 250.000 verso i paesi europei (tra il 1911 ed il 1913 sono espatriati in media ogni anno 25 persone su mille abitanti)

b. Una seconda ondata si colloca tra le due guerre mondiali ed è modesta e breve sia perchè frenata dalla politica fascista che dall’Immigration Act degli Stati Uniti che tentano di regolare il flusso verso il loro paese.

c. Una terza ondata, diretta soprattutto verso i paesi europei maggiormente industrializzati, si è infine verificata dopo la seconda guerra mondiale, toccando l’apice nel 1963 (310.000 persone).

Nel frattempo lo sviluppo industriale dell’Italia del nord portò a vistosi processi migratori che dal sud del paese si dirigevano vero i poli del boom economico.

I processi migratori dall’Italia si sono sostanzialmente conclusi verso gli anni ‘70, quando è iniziata l’immigrazione verso l’Italia da parte di persone provenienti per lo più dai paesi del sud del mondo. Secondo l’ISTAT al gennaio 1997 gli stranieri regolarmente presenti in Italia superano di poco il milione. Ad essi vanno aggiunti gli immigrati irregolari o clandestini che secondo alcune stime sono circa mezzo milione.

Questi dati dovrebbero far riflettere quanti, a corto di memoria, si stracciano le vesti pensando all’Italia come luogo d’arrivo di lavoratori stranieri.

Dal punto di vista sociologico (e quindi anche dal punto di vista di un’indagine "didattica" ) nei fenomeni migratori occorre distinguere:

a. I motivi che spingono le persone ad emigrare con conseguente analisi delle condizioni storico-sociali del paese di appartenenza e del paese verso cui si intende emigrare (elementi di attrattività) distinguendo i seguenti fattori:

b. Le tappe di realizzazione della decisione di emigrare

c. Le ricadute dell’immigrazione sulla società d’arrivo e sulla società di partenza

Senza alcuna pretesa di analizzare specificatamente quanto sopra esposto ci pare utile ricordare il pensiero di P.C. Emmer (Intercontinental Migration, in "European Review" vol 1 gentile. 1993): "Dopo il 1800, il rilevante incremento dello sviluppo economico nell’euorpa occieentale poté essere mantenuto soltanto attraverso l’espulsione demografica. L’emigrazione - successvia al 1800 - di 61 milioni di europei permise alle economie nazionali europee di creare un mix di fattori produttivi tale da consentire una crescita economica record, evitando nel contempo che questa crescita venisse assorbita dall’aumento demografico. Anche dopo la Seconda guerra mondiale gli europei trassero vantaggio dall’emigrazione intercontinentale, in quanto gli imperi coloniali obbligavano molti cittadini delle colonie a trasferirsi nei territori metropolitani. (...) Molti di quelli che emigravano dalle colonie verso l’euorpa avevano qualificazione professionale e arrivarono proprio nel momento in ci il lavoro specializzato era assai richiesto per la ricostruzione dell’economia europea"

2. La transitività cognitiva

Se le migrazioni possono costituire oggetto privilegiato di indagine entro percorsi didattici interculturali, va tuttavia sottolineato che l’ottica dell’educazione interculturale chiede di prestare la massima attenzione alla specifica forma di apprendimento che può definirsi, appunto, interculturale.

Ciò che chiamiamo interculturalità - scrive Duccio Demetrio - poggia su forme di apprendimento trans-cognitive: ovvero sulla maggiore o minore capacità di locomozione da un atto cognitivo all’altro, da una forma mentis all’altra. La pedagogia interculturale trova qwui le sue vere origini. Essa consiste nell’educare non semplicemente alla conoscenza delle differenze, riscontrabili in soggetti di origine culturale diversa, ma nell’educare alla transitività o mobilità cognitiva.

Il riferimento va, ovviamente, alla fondamentale ricerca di H. Gardner (Formae mentis, Milano, Feltrinelli, 1987) ed in particolare al terzo tipo di intelligenza da egli identificata, l’intelligenza relazionale.

Il pensiero relazionale ci abitua a qualcosa di molto più significativo rispetto alla tolleranza e/o all’accoglienza. Noi cioè abbiamo bisogno di educarci e di educare ad un pensiero che non si irrigidisca mai, ad un pensiero in movimento capace di operare e costruire entro una cultura polidimensionale, dinamica, processuale. Una cultura e una educazione aperta al cambiamento e, quindi, alla differenza. Una cultura pluriculturale (e non è un gioco di parole!) che riconosce come proprio luogo di nascita proprio le differenze.

Insomma: educazione interculturale è anche, e sopratutto, imparare ad "emigrare", allenare la propria mente al viaggio, ai trasbordi, ai passaggi, all’"andare" e all’"incontrare". Costruire la propria identità al plurale.

3. Indicazioni bibliografiche

A puro titolo indicativo si vedano alcuni volumi che affrontano, da punti di vista molto diversi, il fenomeno migratorio.

E. Damiano presenta lo studio delle migrazioni come base per una adeguata formazione interculturale: il testo raccoglie scritti di diversi autori che, assumendo diversi punti di vista (antropologia culturale, sociologia, geografia, storia, ecc) esaminano il fenomeno migratorio proponendo un curriculum di formazione per docenti ed educatori che intendano farsi promotori a loro volta di percorsi di educazione interculturale.

P. Khouma racconta la propria storia di migrante dall’Africa a Milano passando per Rimini: una "soggettiva" con occhi "altri"

A. Zameenzad, raccontanto la storia di un gruppo di bambini di un villaggio di un qualunque paese dell’Africa sub-shariana, mette in evidenza le migrazioni interne ai paesi del sud del mondo (dal villaggio alla città) che in genere precedono la migrazione verso i paesi industrializzati e sottolinea con crudezza i motivi che "costringono" ad emigrare e le sofferenze ad essi connesse..

Bianchi - Di Giovanni, autori di un fortunato corso di scienze umane per le sperimentazioni socio-psico-pedagogiche, hanno invece appena dato alle stampe un libro di testo per il biennio del nuovo Liceo delle scienze sociali che dedica un interessantissimo approfondimento proprio al fenomeno migratorio.

Come a dire che, anche se pochi lo sanno, l’approccio interculturale è non solo teoricamente possibile ma, per molti, è già lavoro quotidiano.

E. Damiano (a cura di) Homo migrans, Milano, FrancoAngeli, 1998
P. Khouma, Io venditore di elefanti, Milano, Garzanti 1994
A. Zameenzad, Il mio amico e la puttana, Firenze, Giunti, 1994
A. Bianchi - P. Di Giovanni, Uomini e società, Torino, Paravia, 1998