Direzione didattica di Pavone Canavese

L'educazione interculturale nell'anno del POF.....

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(01.07.2001)

Verso il G8 di Genova
Globalizzazione e dintorni

 Molto si discute e si discuterà in questi giorni del summit del G8 (gli otto più importanti paesi industrializzati del mondo) che si terrà il 20 luglio a Genova.

Chi ha seguito in questi anni la rubrica educazione interculturale su Pavonerisorse non dovrebbe avere dubbi sulla posizione del sottoscritto. E del resto il sito ospita molti dei riferimenti (sia bibliografici che sitografici che di contenuto) oggi al centro della discussione.

I media, tuttavia, stanno in questi giorni montando e cavalcando la tigre delle possibili violenze a cui il cosiddetto popolo di Seattle potrebbe lasciarsi andare a Genova.

Voglio essere esplicito: si tratta di una ignobile mistificazione che puntando il faro mediatico su alcuni scalmanati tende a nascondere la realtà del problema, ovvero il fatto che nel mondo il gap, il fossato, tra ricchi e poveri tende ad ampliarsi sempre di più e che, in secondo luogo, la pretesa legittimità dei grandi della terra a decidere per tutto il globo è tutt’altro che provata, anzi.

Ma andiamo con ordine. Affrontando alcuni nodi.

Il popolo di Seattle (?)

Con questa dizione si identifica in modo generico il movimento anti globalizzazione nato appunto a Seatle in concomitanza con un altro summit internazionale. La sintetica definizione fornita chiede almeno due approfondimenti:

a) cosa significa popolo di Seattle? Quali i soggetti reali che lo compongono?

b) anti-globalizzazione o globalizzazione della solidarietà e governo solidale della globalizzazione?

Per quanto riguarda la prima questione (chi è il popolo di Seattle) occorre precisare (come bene ha fatto il prof. Antonio Papisca su L’Avvenire del 21 giugno) che il Popolo di Seattle è in realtà un insieme composito di soggetti, persone, movimenti. Identificare il Popolo di Seattle con alcuni facinorosi e violenti è totalmente errato. I soggeti che interagiscono dentro questa definizione vanno infatti dai giovani dei centri sociali e delle organizzazioni antagoniste alle suore ed ai missionari. Dai volontari che operano nel sud del mondo a quelli che agiscono nel sociale in Italia. Dalla Caritas alle Acli all’Arci. Dai gruppi culturali che operano con il sud del mondo alla rete Lilliput- Dai movimenti nonviolenti a quelli per i consumi equi, solidali, critici. Dagli ecologisti che lottano contro gli OGM ai rappresentanti delle comunità locali del sud del pianeta. Insomma, un arcobaleno.

Pretendere di sintetizzare tutte queste realtà dentro la targhetta di "guerrieri anti G8" è disonestà intellettuale. In fin dei conti uno dei massimi sostenitori della necessità di "regolare" i processi di globalizzazione è proprio Giovanni Paolo II, il papa, quando sostiene che l’economia non può prevaricare l’uomo o quando (enciclica Centesimus Annus) scrive chiaramente che il capitalismo, tutto le volte che inverte la relazione tra mezzi e fini trasformando l’uomo in un mezzo di un fine chiamato pura realizzazione di profitto costituisce un peccato capitale.

Come si vede....grande è la varietà che interagisce dentro il popolo di Seattle e Genova.

La seconda questione: cosa significa anti-globalizzazione? Per quanto mi riguarda questa sintetica definizione è perlomeno imprecisa se non errata. Non esiste infatti oggi la possibilità di fermare la globalizzazione (a meno di non voler tornare ad impossibili autarchie). Il problema è un altro: è auspicabile e possibile governare la globalizzazione? E se si, come? In base a che principi?

Qui le posizioni divergono. I teorici estremi del libero mercato (a parole molto diffusi anche in Italia, vedi Confindustria. Ma solo a parole....e quando conviene...) ritengono che governare la globalizzazione non sia per nulla auspicabile. Tutto verrà messo a posto dalla magica mano nascosta del libero mercato mediante competizione e deregulation (talmente invisibile e nascosta che nessuno l’ha mai vista in azione in senso positivo). Per costoro la politica (intesa come governo dei processi) è tramontata, si è eclissata. Adesso siamo non nella democrazia dei cittadini ma in quella dei consumatori. Nella "democrazia delle carte di credito": se ce l’hai esisti, se non la possiedi sei fuori.

Altri invece ritengono non solo auspicabile ma anche possibile un governo dei processi di globalizzazione ispirato alla logica del bene comune, dei diritti universali, della pari dignità di ogni persona esistente al mondo. Abiti essa in un villaggio africano o nel centro di New York.

Su quali siano i modi non è qui possibile dilungarsi. In senso generale si va da chi sostiene la priorità della riforma e della democratizzazione dell’ONU e delle istituzioni finanziarie internazionali (vi veda ad esempio in Italia Antonio Papisca) a chi invece propone soluzioni intermedie più concrete quali la Tobin Tax, l’azzeramento del debito del sud del mondo, il rispetto di protocolli internazionali (quali quello di Kyoto sull’ambiente), la definizione di una vincolante legislazione sociale planetaria. Altri ancora sostengono più complessi processi di democratizzazione (si veda ad esempio Jurgen Habermas di cui molto abbiamo parlato in questa rubrica). Su questo tema si permetto di rinviare, per un approfondimento, ad un recente volume curato da Marco Deriu e di cui è stato parte anche il sottoscritto: "L’illusione umanitaria. La trappola degli aiuti e le prospettive della solidarietà internazionale" (Bologna, Emi, 2001)

Ricchi e poveri

A Genova si incontreranno i più ricchi paesi del pianeta. Dibatteranno e decideranno per tutti. Qui sta il nodo: cosa vuol dire per tutti? Certo, le loro decisioni ricadranno su tutti ed i costi saranno pagati da tutti. Ma non così per i benefici che, al solito, andranno solo a quanti già appartengono al gruppo dei benestanti.

Non occorre che mi dilunghi molto su questo punto: chi segue questa rubrira sa quanta attenzione sia dedicata ai rapporti dell’ONU (UNDP, UNICEF, ecc) che fotografano la realtà di apartheid planetario.

Voglio solo riportare un fatto. Un quotidiano nazionale (La Repubblica) del 22 giugno ospita, accostate l’una all’altra, le seguenti notizie:

1. Un intervento molto duro di Kofi Annan, segretario generale dell’ONU, intitolato "Il pianeta spezzato". Con molta brutalità Annan dice che oggi nel mondo ci sono ricchezze e risorse più che sufficienti per permettere a tutti gli oltre 6 milioni di abitanti del pianeta di vivere dignitosamente. Eppure ciò non succede. E conclude con una dura accusa ai globalizzatori a senso unico, ai neoliberisti della domenica così diffusi anche a casa nostra: "Chi fa affari globali dovrebbe sollecitare l’apertura dei mercati affinché i prodotti dei paesi poveri possano raggiungere i paesi ricchi, dovrebbe perorare una generosa remissione dei debiti, chiedere nuovi aiuti per i paesi che effettivamente si sono impegnati a migliorare le condizioni dei propri popoli. Questo ruolo sociale va percepito sempre di più come complementare e non contradditorio rispetto agli sforzi per realizzare profitti. Insomma occorre capire sempre di più che il mercato globale richiede una cittadinanza globale".

2. Una pagina dedicata ai tre miliardi di poveri che sul pianeta "vivono" con un reddito di due dollaro al giorno (poco più di 4 mila lire). Una pagina che riprende dati Onu su accesso a risorse, reddito, distribuzione, produzione, ecc. Mettendo in evidenza come le economie dei povei poveri sono solo state sfiorate dal boom economico degli anni novanta. Detto altrimenti: i ricchi sono diventati sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri.

3. Una tabella dedicata alle imprese transanazionali, oggi il vero potere mondiale, i cui bilanci sono spessissimo superiori anche al Prodotto Interno Lordo di grandi paesi quasi Thailandia, Norvegia, Polonia, ecc..

4. In altra parte del quotidiano (pagina 4, politica interna-parlamentare) troviamo invece una tabella che riporta la classifica dei ricchi pubblicata annualmente dalla rivista Forbes.

Solo per curiosità riporto alcuni nomi e corrispettivo patrimonio personale in miliardi di dollari

Bill Gates 58,7 miliardi di dollari
Warren Edward Buffet 32,3 miliardi di dollari
Paul Gardner Allen 30, 4 miliardi di dollari
tra gli italiani
Silvio Berlusconi 10,3 miliardi di dollari
Leonardo Del Vecchio 6,6 miliardi di dollari
Luciano Benetton e fam. 5,5 miliardi di dollari
Giovannia Agnelli e fam 3,1 miliardi di dollari
Ennio Doris 3,1 miliardi di dollari

Lascio a voi i calcoli (a quante lire equivale un miliardo di dollari? E dieci? E a quanti farmaci anti-aids, o pozzi, o borse di studio, o vaccinazioni antimorbillo, ecc... equivalgono?) ricordando solo che due anni fa il rapporto sullo sviluppo umano dell’ UNDP segnalava che la ricchezza complessiva dei quasi 300 miliardare (in dollari) esistenti al mondo corrispondeva al reddito annuo di metà popolazione mondiale.

Cifre scioccanti. Allegramente messe una vicino all’altra su un grande quotidiano italiano. E, sinceramente, se voi ed io fossimo eritrei, o angolani, o abitanti delle favelas brasiliane, o indios dell’Amazzonia potremmo seriamente pensare che quanti si incontrano a Genova abbiano in cima ai loro pensieri la nostra situazione? La nostra morte quotidiana?. Suvvia, siamo seri...

 Empire

Ero giovane studente quando a Padova impazzava Autonomia Operaia e il Toni Negri di "Dominio e sobatoggio". Giovane ma attento: c’ero. A 25 anni di distanza (dove distanza non è solo sinonimo di transizione temporale...) Toni Negri pubblica in Francia un volume sulla globalizzazione intitolato Empire (con Michael Hardt, edizioni Exils, Paris). Quale la tesi di Toni Negri? Semplice e chiara: l’impero è il nuovo potere planetario che si fonda sull’aristocrazia delle imprese transnazionali ma nel quale convivono anche il potere monarchico del presidente degli USA (molto condizionato dal potere delle transnazionali) e quello democratico degli sfruttati e degli esclusi. E rispondendo ad Attilio Giordano in una recente intervista chiarisce: "La globalizzazione, al contrario di quel che alcuni credono è un fatto certamente positivo, da salutare con entusiasmo, nato dalle lotte degli sfruttati. Opporsi all’idea globale è una operazione perdente e reazionaria. E chi oggi viene definito, come quelli di Seattle, antiglobalizzazione, paga il prezzo di un equivoco, di una incomprensione: la lotta è contro il capitalismo globalizzato, non contro la globalizzazione".
Permettetemelo: sono totalmente d’accordo con le affermazioni di Toni Negri (anche se ci metterei meno enfasi...). Come concordo al 100% con Ignatio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique, che in una intervista al Corriere della Sera dichiara i che violenti a Genova fanno il gioco del potere transnazionale che combattono. Vero. Verissimo. Aggiungerei solo che i rappresentanti del G8, delle imprese transnazionali, delle istituzioni finanziarie internazionali non democratizzate, i ricchi del pianeta e tutti i loro amici ringraziano sentitamente, e in anticipo..., quanti vorranno buttarla in scontro violento: così le ragioni di chi viene quotidianamente strozzato ed ucciso dal capitalismo globale scompariranno dietro le quinte del teatrino dei media. L’apartheid globale potrà continuare indisturbato. E arrivederci a tutti al prossimo vertice a giocare a colpi di estetica invece che di etica.

Sentieri

Impossibile esaurire il numero di siti che seguono e seguiranno quotidianamente le vicende riferite al G8. Ne indico solo alcuni, tra l’altro già noti agli amici di Pavonerisorse:

http://www.unimondo.org
http://www.carta.org
http://www.retelilliput.it
http://www.peacelink.it
http://www.manitese.it
http://www.nigrizia.it

Buon viaggio a tutti. E come ulteriore possibile mappa per nuovi approfondimenti allego una possibile definizione di globalizzazione e dei suoi nodi problematici ripresa dal cd-rom "Percorsi interculturali" realizzato dal Centro Interculturale Città di Torino.

Aluisi Tosolini

 GLOBALIZZAZIONE

Il concetto di globalizzazione estremizza quello di interdipendenza intesa come espansione e accelerazione degli scambi (dentro e fuori i confini nazionali) di beni, servizi, capitali, informazioni, lavoro,... La globalizzazione fotografa dunque un pianeta ove la mobilità di servizi, informazione, beni finanziari, ... è altissima ed avviene in simultanea (tempo reale) con conseguente azzeramento sia del fattore tempo che del fattore spazio e sostanziale diminuizione della possibilità dei singoli di incidere sui processi globali. Nella logica della globalizzazione il pianeta è visto come un unico grande mercato che finalmente realizza la possibilità di piena competizione. Il processo di globalizzazione (ma sarebbe più corretto parlare di più processi diversi: politico, culturale, tecnologico, finanziario...) va dunque inteso come processo di comunicazione globale che chiama in causa l’espansione di tutti i sistemi di comunicazione. I principali problemi e nodi discussi dagli studiosi a riguardo dei processi di globalizzazione possono così riassumersi:

Il dibattito sulla globalizzazione, sulla ideologia neoliberista che ne governa l’andamento economico (e quindi anche politico), sulla possibilità di giocare in chiave positiva il processo, costituisce uno dei più problematici nodi del nostro tempo. Per un primo approccio alla problematica consiglio la lettura di un interessante (e non difficile) saggio di Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso (Mondadori 2000) 

Aluisi Tosolini

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