Direzione didattica di Pavone Canavese

L'educazione interculturale nell'anno del POF.....

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(19.05.2002)

 

Tra paure e disincanto
Diario interculturale

Pagine di diario.
Tempi, società, nodi e problemi della società multiculturale
riletti attraverso le pagine sbiadite
di un diario sempre più disincantato.

 

14 maggio – Ricco’

I bambini di quinta elementare mi chiedono se posso farmi intervistare da loro. Vogliono chiudere con me un anno scolastico intessuto di interviste a persone impegnate nel volontariato e pubblicate in rete sul giornalino telematico del Circolo che ha aiutato i bambini delle valli del Taro e del Ceno (dalla pianura di Parma al passo della Cisa) a lavorare assieme per un intero anno scolastico.

"Con che metafora si definirebbe?". Domanda difficile, la prima. Ci penso. Cerco di mettere assieme due elementi della mia vita: la solidità delle colline e delle montagne da dove provengo con la dimensione del mare, della mutevolezza delle onde, che caratterizza da anni la mia flebile postmodernità. Non so se hanno capito la metafora dello scoglio, che unisce mare e roccia: ai loro occhi lo scoglio è forse solo la casa dei naufraghi. Chissà che non abbiano ragione.

La seconda domanda va ancora peggio: "In realtà lei che mestiere fa?". Dio mio… mi viene in mente Pasolini ("Ma allora lei che cosa ha all’attivo?.. Dio mio, nefando, non ho preso l’optalidon…Io? Una disperata vitalità") ma evito di citarlo. Mi passano veloci tra i neuroni le mie troppe vite e identità. Costretto a trovare una sintesi che tenga insieme la pluralità senza negarla (chissà che direbbe Hegel con il suo Aufhebung) dico: "l’intellettuale. Faccio l’intellettuale". Mi tocca spiegare: in un tempo i cui molti intellettuali fanno i clown e sono sostituiti da sondaggi e soubrette sembra quasi una bestemmia. Un marchio infame. Si. Faccio l’intellettuale. Spiego che cosa fa l’intellettuale e vedo i loro occhi sempre più straniti. Chissà se capiscono che pensare ha una dignità irrinunciabile? Nel dubbio lascio alle loro bravissime maestre il compito di provare a spiegare perché imparare a pensare abbia senso.

Esco dalla piccola scuola di Ricco’ e mi fermo a guardare i papaveri che ondeggiano tra le spighe verdi di frumento in un campo che declina verso il Taro. Non sono stato onesto. Avrei dovuto dire loro anche quel che pensa il Quoelet e, sulla sua scorta, Schopenhauer: "chi aumenta il sapere aumenta il dolore". Ma il dolore non è esso stesso vita? I papaveri sembrano onde impazzite in mare rosso-verde e turbinano sotto i colpi di un vento impazzito.

13 maggio. Borgo Val di Taro. Un aereo impazzito

Museo delle Mura. Caldo soffocante salendo lungo la valle ed ancora più caldo dentro la sala convegni affollata oltre ogni limite. Convegno sulla scuola e sulla proposta di riforma targata Moratti. Oltre ai dirigenti scolastici della valle è presente Luigi Berlinguer, l’ex ministro.

Il preside della locale scuola superiore (con 5 o 6 indirizzi diversi, una scuola molto attiva che il giorno primo era stata a premiata a Spoleto quale prima classificata in un concorso europeo di musica) chiude leggendo una risposta fornita al questionario IRRE per dirigenti scolastici. La domanda era: "Descriva il suo lavoro ed il suo stato d’animo usando una metafora". E il preside Angella, barba e capelli fluenti e bianchissimi, la faccia di un saggio Pope ortodosso, dice: "mi sento come un pilota d’aereo che a un certo punto scopre che per il suo aereo non esiste rotta alcuna, gli strumenti di bordo non funzionano più e forse anche la benzina sta finendo. Malgrado tutto – continua – mi metto a pilotare a vista e senza strumenti di bordo. Per fortuna il cielo non è troppo nuvoloso e forse l’aereo non si sfracellerà contro le montagne. Anche stavolta atterreremo…". Metafora stupenda della scuola in questi ultimi anni. Lo vedo sorridere malinconico e guardo oltre le tende bianco candido per controllare se davvero il cielo permette il volo a vista. Di mio aggiungo una riflessione non sulla ingegneria della riforma Moratti ma sulla sua inadeguatezza di fondo a rispondere alla domanda: "che scuola occorre nel tempo della globalizzazione?". Le risposte che si trovano all’art. 2 della legge delega in discussione al Parlamento sono risibili. Non perché in sé errate ma perché non rispondono al problema. Cosa significa infatti dire che la finalità della scuola è la formazione spirituale? Come non essere d’accordo? E cosa significa formare l’identità nazionale quando ognuno di noi ha decine di identità? Non siamo più al tempo di Fichte, la "missione del dotto" è oggi un’altra. O forse non ci sono più dotti? E ricordo che una delle questioni fondamentali segnalate dai Saggi della famosa commissione era proprio quella delle identità (plurale, dio mio, plurale!! Che strana parola identità: rimane uguale e non cambia tra plurale e singolare… un segno forse del suo essere molteplice?certamente complessa!?!..)…Questo è oggi il nodo: come vivere in una società senza centro, senza luoghi egemonici, in una società plurale abitata da soggetti essi stessi plurali. E pensando al fatto che il problema è quello di trovare ciò che connette le plurime appartenenze da cui ognuno di noi è attraversato ricordo il saggio di Davide Sparti (Soggetti al tempo) che a questo problema dedica pagine stupende.

Al tramonto getto a capofitto l’auto verso la pianura. Superstrade tagliano in due la valle come una lingua di fuoco nero che lascia ai bordi i piccoli paesi ormai abitati solo da poche persone, anziani e stranieri. Saluto Ghiare di Bercelo e la sua piccola scuola con due pluriclassi per un totale di 15 bambini. La prima elementare ha 6 iscritti: 5 sono stranieri. La Maestra Avalli mi ha spiegato che Ghiare è stato fino a poco tempo fa un paese molto aperto e disponibile. Non capivo il perché. Me lo ha spiegato con una chiarezza assoluta: "Vede, sin quando era aperta la stazione della ferrovia qui c’era molto via vai di ferrovieri che venivano da tutte le parti d’Italia e così il paese si è abituato a vivere della pluralità. Ora la stazione è chiusa. Il paese rischia di morire ma soprattutto sta iniziando a smettere di pensarsi plurale". Grazie maestra. Ma per i suoi alunni di Prima Elementare cosa vorrà dire identità nazionale? Spero proprio sia una cosa nuova, plurale, costruita assieme, e non la riproposizione della identità tardo ottocentesca.

Dopo 15 chilometri c’è il bivio per Selva Castello. Un’altra scuola inerpicata sugli Appennini. Una scuola buia dalle cui finestre si ha una visuale stupenda sulla valle del Taro e su quei dolci declivi che virano verso il nulla che tutto porta a valle. Gli alunni e le maestre l’hanno resa allegra riempiendola di murales che nascondono pareti mai verniciate. Murales che parlano di pace. Arcobaleni. E storie di compaesani che hanno fatto la resistenza. Ragazze di religione ebraica fuggite a Parigi. Giovani morti nella Resistenza durante lo lotta per la democrazia. I bambini di Selva li hanno studiati per farne memoria Hanno ricostruito la loro memoria ed accompagnati da loro hanno studiato la storia del ‘900. Anche questa è identità nazionale. Giorni fa li ho incontrati e salutandoli avrei voluto suggerire loro di sostituire le rose di plastica nel vaso sotto la lapide ai martiri della lotta partigiana con i fiori di campo della loro colline. Fiori vivi. Da cambiare ogni giorni per rinnovare la memoria. Non ho osato. E adesso guardo verso l’alto alla ricerca della scuola che dalle cime dei colli osserva la valle. Quei bambini sono il nostro futuro. Che ricordino i loro antenati che hanno dato la vita per garantire loro la democrazia mi sembra già molto. Moltissimo. Una scommessa contro il nulla.

13 maggio, mattina

Torno da Bologna.Ho lasciato di corsa l’Irre Emilia Romagna e l’educazione degli adulti. Non so come io ci sia finito in mezzo ma ci sono. Un'altra identità?

Sul treno concludo la lettura di un piccolo volume di Franco Cambi. Fa il pedagogista, lui. Il libro è in realtà un minuscolo volume di filosofia interculturale. Le leggo con l’ansia di concludere. E’ raro trovare un testo interculturale che analizzi i "paradigmi" (..se così possono chiamare) dell’educazione interculturale. Un volume che non parla quasi mai di immigrazione ma incentra la dimensione interculturale nella dimensione della globalizzazione e della post-modernità. Un po’ quello che da anni io e altri sosteniamo: l’educazione interculturale è l’orizzonte della formazione nel tempo della postmodernità e poco o nulla ha a che fare con l’immigrazione straniera che ne è effetto e non causa.

Certo, la sua riflessione sui diritti universali dell’uomo è almeno in parte oggetto di discussione (come fa, ad esempio, Danilo Zolo, nei suoi ultimi due libri) ma la riflessione complessiva è assolutamente condivisibile. Come pure il giudizio complessivamente negativo sull’educazione interculturale in Italia: preda della approssimazione e dell’emergenza rischia di rinchiudersi nell’angusta dimensione della prassi educativa rivolta agli alunni stranieri invece che essere compresa come nuova dimensione dell’educazione nel tempo della postmodernità.

Ha ragione Cambi. Ma vaglielo a dire tu alla riforma Moratti (dove mai viene citata la dimensione multiculturale della società italiana contemporanea) o al rapporto Bertagna (dove la differenza culturale è citata solo nel capitolo sulla formazione dei docenti dove si sostiene che gli insegnanti oltre che esperti di handicap devono anche essere capaci di gestire la differenza culturale degli alunni stranieri….. E qui sono davvero SENZA PAROLE).

26 aprile Fiorenzuola. La legge Fini-Bossi

Di ritorno da Vicenza dove la CISL si interroga assieme a molti docenti sulla scuola dell’accoglienza arrivo a Fiorenzuola per un dibattito sulla nuova legge sull’immigrazione. L’auditorium del Comune è pieno di persone multicolore. Non c’è molto da dire: gli organizzatori leggono alcuni stralci dell’articolato della legge. Non occorrono commenti, dice tutto il titolo della serata: "Dalle otto alle venti": gli immigrati non sono persone ma solo risorse umane. Vanno bene per lavorare ma se per caso chiedessero cultura, famiglia, umanità… nulla da fare. Ripassino un’altra volta. Non so cosa dire. Chioso gli articoli della proposta di legge e solo sottolineo come alcuni partiti della maggioranza (cattolicissimi, si intende) continuino da anni a sostenere la necessità di mettere la famiglia al centro della attività politica. Leggendo la Bossi Fini si scopre che per i lavoratori stranieri la famiglia è un optional ed è meglio evitare ogni possibilità di ricongiungimento. Sarà perché molti di loro non sono cattolici?

Non ho risposte. Lascio Fiorenzuola con un certo sconforto. La pianura padana mi accoglie nella sua primavera e mi accompagna verso casa. In macchina accendo registratore e lo metto a tutto volume. Ho voglia di stordirmi. Di estraniarmi. E non deve essere solo colpa di Fiorenzuola….

16 maggio. Urbino. Inter-legalità

Mattina frenetica. Firma del protocollo provinciale di intesa sulle legge 104. Alle 12 fuggo verso Urbino. Ore di macchina prima di arrivare alla facoltà di sociologia dove un gruppo di ricercatori guidati da due giovani docenti mi aspettano per una chiacchierata sull’educazione interculturale.

Loro vengono da sociologia del diritto e stanno lavorando ad una ricerca sull’inserimento dei bambini stranieri nella scuola italiana.

A dire il vero non so bene cosa dire loro. Maria Paola Mittica introduce i lavori con una stupenda prolusione sul concetto di inter-legalità. Mi sento a casa: inter-legalità descrive uno dei nodi del diritto contemporaneo ovvero il fatto che nelle società complesse interagiscono diverse e plurime dimensioni del diritto. Insomma, ma non sono certo di aver capito bene, una specie di intercultura "applicata" alla dimensione giuridica.

La facoltà di sociologia è una piccola chicca architettonica. La conosco bene. L’ho frequentata molti anni fa in estati afose inseguendo docenti con cui dar esami. E nella ventosa Urbino ho incontrato la base di quello che so di sociologia delle comunicazioni di massa.

Adesso incontro questi giovani ricercatori, dottorandi, borsisti e quanto altro con cui tiro sera senza neppure farci caso. Discutiamo. E dalle cose che mi dicono in riferimento alle scuole che hanno visitato comprendo che ancora molti ma molti passi devono essere compiuti.

Il sole cala alle nostre spalle e io riprendo la strada in mattoni che porta alla piazza sotto il palazzo ducale. Altre ore di macchina prima di arrivare a casa. Mi porto dietro l’idea di una complessità crescente che forse molti fanno fatica a comprendere. E un breve saggio di Maria Paola Mittica dove trovo citato un passo di Michel Maffesoli che mi lascia interdetto: "La lezione delle cose, per quanto relativistica, non implica affatto l’abdicare della mente. Si tratta più semplicemente di una sfida alla quale si deve rispondere. In altri termini, è opportuno elaborare un sapere capace di integrare il caos o per lo meno di accordargli lo spazio che ad esso spetta. Un sapere che sappia, per quanto paradossale possa sembrare, disegnare la topografia dell’incertezza e del rischio, quella del disordine e della vitalità, quello del tragico e del non-razionale. Elementi, tutti, incontrollabili imprevedibili, ma non per questo meno umani. Elementi che, a diversi livelli, partecipano alle storie individuali e collettive". Commenta Mittica: "si tratta di un pensiero che, aderendo il più possibile all’oggetto, possa diventare realmente molteplice proprio perché è in grado di esserne determinato. E’ necessario che il pensiero moderno, prima oggettivo, poi riflessivo, diventi ora reversibile…"

Sulla via del ritorno la radio insiste con forza sulla operazione di polizia chiamata "Alto impatto" che ha portato all’arresto, su 19 province italiane, di ben 270 persone, di cui il 66% extracomunitarie…. Sembra tanto uno spot pre-elettorale: 260 persone arrestate è una cosa assolutamente risibile. Più o meno fanno 14 persone per provincia. Insomma normale amministrazione. Solo che occorreva dire che qualcosa si sta facendo contro gli immigrati che delinquono. E siccome non si può certo dire che sono stati fermati i flussi migratori clandestini (certo: nessuno ne parla più perché non è bello ma nel 2002 i flussi di clandestini sono assolutamente in linea con i flussi del 2001: della serie la povertà non è né di destra né di sinistra…) allora che almeno si dica che qualcosa si fa contro i delinquenti.

Sia chiaro: i piccoli delinquenti. Gli altri, come ben sostiene Vincenzo Ruggiero, sono i colletti bianchi che, seppure delinquano, sono anche quelli che fanno le leggi e quindi…..(…lascio a voi continuare…). Gli stessi GR mi dicono anche che i 15 paesi dell’Unione Europea non sono ancora riusciti a dividersi i 13 palestinesi di cui l’Europa si è fatta carico per risolvere la crisi della Basilica della Natività di Betlemme. 13, dico 13…. Ridicolo: 15 paesi con 300 milioni di abitanti non sanno dove mettere 13 persone…. Ridicolo. Ma di un riso tragico.

Maggio 2002. Francia – Olanda

La sicurezza e gli immigrati paiono essere il nodo centrale su cui hanno ruotato le elezioni in Francia ed in Olanda. Falso stupore divampa in Europa.

La lista Pim Fortuyn (ucciso da un attentatore durante la campagna elettorale) ottiene una importante vittoria elettorale. Il sociologo olandese non è Le Pen: il suo rifiuto della società multiculturale è molto meno arcaico. Si tratta del rifiuto di quanti non accettano il pluralismo di valori e di riferimenti culturali. In sintesi: i musulmani in Olanda li vogliamo solo se accettano la nostra cultura aperta che prevede, ad esempio, il pieno rispetto delle coppie omosessuali.

Non è una presa di posizione peregrina. Solo che, a rigor di logica, la stessa cosa si potrebbe dire anche di molti olandesi o europei che per motivi religiosi non accettano eutanasia, aborto, coppie di fatto omosessuali. Insomma il problema è, al solito, un altro: come far vivere assieme culture, visioni del mondo, riferimenti valoriali diversi?

Mentre la mia macchina taglia la pianura padana ripenso alla nozione di interlegalità di cui abbiamo discusso a Urbino. E ascolto GR sempre più preoccupati per la criminalità degli immigrati. E non so se ridere o piangere.

Mi vengono in mente le ricerche sociologiche realizzate dalla Fondazione Nord Est che dimostra con dovizia di numeri e particolari che la paura degli italiani nei confronti degli stranieri è in sensibile calo.

Capisco così perché Ilvo Diamanti sostenga (La Repubblica, 19 maggio 2002) che è la politica ad inventare le paure. Come dire che la politica ha fallito. Infatti la politica è chiamata a governare le paure, non ad inventarle, a crearle. E quando le crea significa che sta facendo dell’altro, che le utilizza a proprio uso e consumo, come uno spot.

Spot per evitare di affrontare il vero problema: come essere cittadini nella società globale. Con o senza immigrati in casa poco importa. E questo nodo non si risolve negandolo o drammatizzandolo. Si risolve solo calandocisi dentro, affrontandolo per quello che è: la nuova dimensione del vivere sociale nel tempo della postmodernità.

E’ quello che la nostra povera scuola cerca di fare ogni giorno, con solerzia ed in silenzio. Pochi se ne accorgono ma è qui che si crea il futuro della società italiana. Qui, dove si impara a confliggere senza uccidere, ad ascoltare prima di giudicare, a giocare assieme anche se di diversa religione, a ridere e a lavorare assieme per costruire una società che sia casa di tutti.

Questa la nostra scommessa.

 17 maggio. Firenze. Venerdì.

Torno dall’Indire. Firenze mi mette sempre tristezza. Troppi ricordi.

A Firenze ho incontrato amici con cui abbiamo lavorato per due mesi dimostrando (a noi stessi in primo luogo) che il lavoro cooperativo e collaborativo a distanza mediante internet non è una palla ma può essere realtà.

L’intercity Cisalpino sta arrivando puntuale a Parma. Mi preparo a scendere e mentre mi avvicino alla porta vedo sopraggiungere un giovane padre che tiene in braccio una bambina disabile. Al suo fianco una grande carrozzina. Lo guardo. Ci capiamo. "Non si preoccupi – gli dico – l’aiuto io a far scendere la carrozzina". "Grazie - mi risponde – ma dovrebbe esserci una persona della cooperativa portabagagli. Ma chissà se c’è" – aggiunge con un po’ di comprensibile dubbio.

Il treno rallenta. Guardo oltre il finestrino del treno e vedo il fattorino che corre verso la porta del vagone n. 7. Il treno si ferma di botto e lui è lì davanti. Sorridente nella sua divisa verde.

Mi giro per guardare il mio coetaneo con bambina in braccio per sottolineare la puntualità e la precisione del servizio. Lui fa un sorriso ironico e dice: "Sarà incazzato nero", sottolineando la parola nero.

La porta si apre e il fattorino ci accoglie con un grande sorriso. E’ un giovane africano: l’avevamo visto correre lungo il binario per venirci incontro. E non era incazzato. Era solo nero.

Avrei voglia di urlare. Invece scendo in silenzio.

Ripenso ai bambini di Riccò. Un’altra cosa non ho detto loro: non abbiate paura. Non fatevi mettere paura da nessuno.
E mentre in bicicletta attraverso il parco Ducale (filologicamente riportato alla fine del ‘700 con tutte le siepi in ordine e le luci che ne segnano i confini nella notte) mi chiedo come è possibile che quel mio coetaneo non riconoscesse nel fattorino solerte e celere una persona ma solo un nero.

Sarà così anche per le colf e le badanti. Non-persone, come direbbe Dal Lago.

Esco dal Parco. Ormai è notte. Non provo paura. Solo disincanto.

 Suggestioni, letture e altro ancora

1. Pier Paolo Pasolini, Una disperata vitalità. In Poesia in forma di rosa 1961-1964. Il movimento IX [Clausola] così recita:

"Dio mio, ma allora cos’ha lei all’attivo?…"

"io? – [un balbettio, nefando non ho preso l’optalidon. Mi trema la voce di ragazzo malato]  Io? Una disperata vitalità."

2. Davide Sparti, Soggetti al tempo, Milano, Feltrinelli, 1996.

Il saggio di Sparti ricostruisce il problema-nodo dell’identità da un punto di vista costruzionista, genealogica. Un saggio difficile, complesso, che predilige le domande alle risposte e che sostiene, con ottimi argomenti, che la fonte delle identità è da ricercare nelle pratiche di identificazione e nel ruolo da queste svolte nella nostra vita e nella società. Nessuno di noi, sostiene Sparti, ha un’unica identità ma ognuno di noi gode di una identità approssimativa, imperfetta, data dalla relativa continuità di quei riconoscimenti interpersonali che ci assicurano una reidentificabilità come membri di una comunità.

3. Franco Cambi, Intercultura: i fondamenti pedagogici, Firenze, Carocci, 2001

Il volume raccoglie sette saggi che evidenziano come la dimensione interculturale costituisca l’orizzonte formativo delle società postmoderne a prescindere dai processi migratori. L’educazione interculturale si afferma infatti a partire dal pluralismo di valori, identità, culture ecc.. che sono compresenti in modo strutturale nella società contemporanea. Cambi è anche uno dei pochi che riconosca come il punto d’avvio dell’educazione interculturale si debba al pensiero femminile (Luce Irigaray ed il pensiero della differenza). Se un appunto può e deve essere fatto alla riflessione di Cambi questo ha a che fare con i nuovi universali sui quali incardinare una neo appartenenza, ovvero i diritti umani. Certo, Cambi sostiene trattarsi di dimensione etica e non ontologica (pag. 95) ma, stando sempre a Firenze, città dove insegna Cambi, occorrerebbe forse fare i conti con le riflessioni di Danilo Zolo che, a partire da una posizione di "realismo giuridico" risulta essere molto ma molto più critico sulla possibilità di usare i diritti umani come chiodo a cui appendere la riflessione sulle dimensioni etiche nella postmodernità

4. Danilo Zolo, Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Torino, Einaudi, 2000.

Un volume dedicato alla guerra "umanitaria" in Kossovo. Terribile, preciso, tragico. Zolo smonta, con argomenti giuridici e poi politici la plausibilità e la giustificabilità della guerra umanitaria in Kossovo così come di ogni altra guerra umanitaria. Il volume, uscito nel 2000, dopo aver dimostrato la dimensione ideologica della autodefinizione di "guerra umanitaria" sostiene, e con buone ragioni, che "paradossalmente, dal punto di vista delle sue conseguenze distruttive, la guerra moderna non è facilmente distinguibile dal terrorismo internazionale, se per terrorismo si intende un uso della forza che colpisce persone innocenti e che per questo diffonde il panico. Con argomenti analoghi a quelli usati da Kelsen si potrebbe dunque proporre una teoria del terrorismo giusto come sanzione giuridica internazionale e ritenere che una azione terroristica possa essere un valido atto giuridico. In realtà la guerra moderna, esattamente come il terrorismo, all’applicazione di ogni possibile regolazione, sia di carattere giuridico sia, e tanto più, di carattere morale…".[pag. 114]. Sulla "debolezza intrinseca dei diritti dell’uomo come "chiodo" a cui appendere la riflessione inerente un diritto sovra nazionale si veda anche il volume "Cosmopolis" (Feltrinelli, 1995) dedicato alla guerra nel Golfo. In tutta sincerità attendo con ansia il prossimo volume di Danilo Zolo sulla guerra in Afganistan… Anche se ho l’impressione, terribilmente narcisistica e presuntuosa, di saper già osa ci sarà scritto. Per non dire che è di questi giorni il fatto che il Presidente degli USA, Bush, è sotto accusa nel suo paese per non aver dato seguito ad una segnalazione della FBI o CIA che già da luglio 2001 indicavano i rischi di attentati con aerei su città americane. Le vittime di New York e quelle afgane ringraziano. Intanto, che io sappia, sia Bin Laden che il mullah Omar sono liberi. E in Israele, con la scusa della guerra al terrorismo globale, intere città palestinesi sono state messe a ferro e a fuoco con un numero di vittime complessivo non molto differente da quello di New York (2853). Che abbia ragione Danilo Zolo?

5. Michel Maffesoli, Elogio della ragione sensibile, Seam, Formello, Roma, 2000, p. 15-16

6. M.P. Mittica, Fabbricare il tempo, in via di pubblicazione.

7. V. Ruggiero, Economie sporche, Torino, Bollati Boringhieri, 1996. Si vedano anche "Delitti dei deboli e dei potenti. Esercizi di anticriminologia, Torino, Bollati Boringhieri, 1999 e "Globalizzazione ed economie sporche" in AAVV Al di là dello sviluppo, Bologna, EMI, 2000.

Aluisi Tosolini

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