Direzione didattica di Pavone Canavese

L'educazione interculturale nell'anno del POF.....

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(27.05.2001)

GRAZIE, ANTISERI
la prospettiva interculturale nei nuovi curricoli di storia

Si è molto discusso in questi giorni post-elettorali dell’avvio (o meno) della riforma dei cicli mentre si è messa ai margini la diatriba che ha visto intellettuali, studiosi, storici e pedagogisti italiani dibattere sui nuovi curricoli di storia.
Buona parte del dibattito è stata seriamente viziata dalla tornata elettorale e dalla ovvia radicalizzazione delle posizioni in campo. Come andrà a finire, a proposito di cicli, non è dato sapere ma in fondo basterà attendere ancora poco se è vero, come preannunciato, che all’ordine del giorno del primo consiglio dei ministri della nuova legislatura c’è proprio il rinvio della riforma. Ma non è di questo che vogliamo occuparci qui, quanto piuttosto tornare alla discussione sui curricoli di storia ai quali, riforma o non riforma, è comunque il caso di porre attenzione.
Ne offre l’opportunità un preciso intervento di Dario Antiseri, sollecitato dal quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana "L’Avvenire" (25 maggio 2001, sezione Agorà).

Antiseri risponde piccato ai molti critici (alcuni accusati, e credo a ragione, di non aver neppure letto i testi messi a punto dal gruppo di lavoro guidato proprio da Antiseri ed a cui questa rubrica ha già dedicato un intervento), sottolineando le due scelte di maggior rilievo operate dalla commissione:

1) la storia nel suo sviluppo cronologico non si studia più tre volte (nelle elementari, alle medie e alle superiori) ma due volte: la prima volta dal quinto anno della scuola di base al secondo anno della scuola superiore - quindi ai 10 ai 15 anni -; e la seconda volta nei tre anni del liceo;
2) l'apertura ad una più ampia prospettiva mondiale.

La posizione di Antiseri

Antiseri così ne argomenta la ragionevolezza:
"La prima scelta trova il suo fondamento nel fatto che l'obbligo scolastico termina a 15 anni. E siccome al termine della scuola dell'obbligo non pochi dei nostri ragazzi scelgono e sceglieranno percorsi formativi più vicini al mondo del lavoro, si è creduto più che opportuno che negli ultimi due anni dell'obbligo, nell'orizzonte di un quadro storico-cronologico completo, questi ragazzi vengano a conoscenza degli ultimi due secoli di storia e che, più specificamente, escano dalla scuola dell'obbligo sapendo come è nata la Repubblica, conoscendo le sue istituzioni, come queste sono venute mutando, quale è stato il prezzo della libertà riconquistata; e con l'ulteriore consapevolezza dei movimenti, delle idee e degli sforzi di quanti ci hanno fatto passare dall'orrore dei lager e dei gulag all'Unione europea. Come è facile vedere, si è trattato di una scelta civilmente responsabile, tesa alla formazione di cittadini culturalmente equipaggiati, capaci di "leggere" la realtà socio-istituzionale che li circonda e in grado di non farsi ingannare dal primo "falso profeta" che incontrano sulla loro strada".

A ciò Antiseri aggiunge che questa scelta rispetta in particolare gli studenti che frequenteranno gli istituti tecnici e non licei per i quali alcuni avevano osato sostenere che in fin dei conti per loro poteva bastare un po’ di educazione civica.

La seconda novità, continua Antiseri, consistente nell'apertura dell'insegnamento-apprendimento della storia ad una più ampia prospettiva mondiale - è stata, tra l'altro, motivata dal fatto che con i loro 136.000 compagni di scuola extra-comunitari, i nostri ragazzi il più vasto mondo con le loro tante storie differenti dalla nostra, ce l'hanno già in classe. E tutto ciò senza tener conto delle tante tragedie e dei diversi usi, istituzioni che la televisione porta ogni giorno nelle nostre case dalle più disparate parti del mondo. Di conseguenza, che la scuola si faccia carico di un ragionevole ampliamento di prospettive nel curricolo di storia, geografia e scienze sociali dovrebbe apparire come cosa più che ragionevole, scontata. Nell'orizzonte di questo necessario ampliamento di prospettiva la Commissione ha insistito sulla costruzione - che in cinque anni può venir sviluppata nel modo più disteso - dei tratti di fondo della cultura occidentale: Grecia, Roma, Cristianesimo, Umanesimo, Rinascimento, Riforma e Controriforma, Rivoluzione scientifica, nascita degli Stati moderni e così via. Questo perché unicamente sapendo chi siamo e da dove veniamo potremo seriamente dialogare con quelle culture "altre" che non sono più fuori dai nostri confini. Di siffatte sacrosante ragioni i vari "critici" non paiono essersi accorti. I più, tra loro, hanno ripetuto sino al fastidio che nei tre anni conclusivi della scuola superiore scomparirebbe la storia nella sua scansione cronologica. Nulla di più falso, come ben sanno quanti hanno partecipato (con assiduità e non solo sporadicamente) alle riunioni della Commissione.

I nodi: cittadinanza ed orizzonte interculturale

Come si può vedere il ragionamento di Dario Antiseri ruota attorno ai nodi della cittadinanza e della ricaduta a livello glo-cale dei processi genericamente definiti "globalizzazione", che richiedono nel contempo preciso riconoscimento della propria identità, ma anche altrettanto precisa interazione con le differenze che oggi non si collocano più fuori le mura della fortezza occidente ma al suo interno, come segnala continuamente anche Umberto Galimberti che proprio a partire da questo nodo rilegge la necessità di ridefinire categorie portanti dell’occidente quali cittadinanza, nazione, …
Ridurre il dibattito a sterili prese di posizione dal sapore ideologico non conduce da nessuna parte. Riforma o no dei cicli la scuola italiana, come i processi formativi di tutti i paesi del mondo, è seriamente sfidata dalla evoluzione sociale, dalla società della conoscenza, dai processi della globalizzazione.
E allora, prima di parlare più o meno a vanvera, sarebbe utile, (oserei dire necessario se si è intellettuali….), andare a leggere e studiare.

Il rapporto OCSE sulle politiche educative

Il rapporto 2001 sulle politiche educative pubblicato il 4 aprile dall’ OCSE a Parigi delinea per la scuola del futuro cinque scenari

  1. lo status quo: continuare come oggi, navigando a vista, malgrado tutti siano insoddisfatti di un sistema giudicato inefficiente, burocratizzato e politicizzato;
  2. re-schooling sociale: la scuola viene vista come baluardo fondamentale contro la frammentazione e la crisi dei valori. Aumenta la quota di autonomia, l’innovazione si fa diffusa. L’insegnamento convive con un sempre più esplicito coinvolgimento nel contesto sociale.
  3. re-schooling cognitivo: la scuola si concentra su se stessa come "sistema per l’apprendimento". Con una grande attenzione alla specializzazione dei curricola, alle forme innovative di verifica dei risultati e di valutazione delle abilità. Il tutto con l’obiettivo di conciliare qualità dell’istruzione ed equità sociale.
  4. de-schooling e mercato. La scuola come la conosciamo oggi è una istituzione storica nata con la rivoluzione industriale e che oggi è giunta al capolinea. La scuola, così come la conosciamo, non serve più. Ciò che serve è competizione, privatizzazione, patnership pubblico-privato. Insomma la scuola va smantellata lasciando al mercato il compito di formare le nuove generazioni.
  5. de-schooling e formazione in network. Anche la scuola vive nella società del "tutti in rete". L’apprendimento è sempre meno legato alla compresenza fisica di una comunità di persone ed avviene mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione. Al contrario del precedente questo modello non privilegia la competizione ma la cooperazione sociale finalizzata alla costruzione di comunità di apprendimento.

Con tutta evidenza si tratta di tipologie "astratte" ma la posta in gioco, in particolare nella contrapposizione tra de-schooling e re-schooling, è chiara e netta. Scegliere un modello invece che un altro significa compiere una opzione chiara anche a livello sociale.
Risulta anche evidente come la riforma della scuola italiana si sia mossa nell’alveo del re-schooling, ovvero lungo il sentiero che ritiene che oggi sia necessaria "più" scuola (anche se certo una scuola "diversa") per vivere da cittadini responsabili nella società globale.

Quali strade per l’orizzonte interculturale?

Si può essere o non essere d’accordo con le posizioni sia filosofiche che politiche di Dario Antiseri (che, tra l’altro, è molto vicino a Berlusconi, con il suo tentativo di coniugare solidarietà e pensiero liberale alla Von Hayek - il padre teorico dei buoni scuola), ma di sicuro il filosofo che per primo ha fatto conoscere in Italia Karl Popper richiede di riportare entro il dibattito argomenti piuttosto che battute, riflessioni piuttosto che anatemi, ragioni ed idee piuttosto che spot.
In sostanza Dario Antiseri ricorda che oggi dobbiamo fare i conti con una pluralità di storie che interagiscono nella società globale multiculturale e che l’educazione alla cittadinanza è la vera sfida nelle società complesse.
Si tratta di nodi che non possono essere elusi né da destra né da sinistra. Che cosa sarà, che logica assumerà l’orizzonte interculturale nella scuola italiana dei prossimi anni non è ad oggi dato sapere. Ciò che è certo è che non si potrà far finta di nulla, nascondere il problema.
E’ qui che, ancora una volta con argomenti piuttosto che con facili slogan, avremo ancora modo di configgere e dibattere. Magari anche con Dario Antiseri nel caso in cui le sue indicazioni venissero stravolte dal nuovo ministro della Pubblica Istruzione.
Del resto (e lo dico con cognizione di causa) non è che il governo D’Alema prima e Amato poi abbiano brillato in campo interculturale visto che i sottosegretari Carla Rocchi e Giovanni Manzini sono riusciti in quasi tre anni a convocare la commissione nazionale per tre o quattro volte in tutto senza mai volerla realmente utilizzare. Ed in questi ultimi anni tutto il lavoro svolto dal MPI sull’educazione interculturale è stato sostanzialmente realizzato "malgrado" ministri e sottosegretari. Quasi se ne vergognassero, come se l’intercultura fosse una rogna marginale piuttosto che lo snodo centrale della società italiana europea di oggi e di domani.
Ma su questo, e non è solo un’impressione, avremo modo di discutere e molto nel prossimo futuro. La lezione fornita da Dario Antiseri è, in questo caso, soprattutto una lezione di stile. Anche per il futuro.

Aluisi Tosolini

P.S. Una nota a margine merita il quotidiano della Conferenza Episcopale "L’Avvenire" che, con una buona dose di cerchibottismo, ha sollecitato il parere di Dario Antiseri dopo il 13 maggio e non prima…. Prima, forse, anche il quotidiano della CEI era in campagna elettorale e non riteneva utile fornire ragioni ed argomenti per un confronto vero.
Ma forse la mia è solo malizia. ….anche se mi sovviene un celebre motto del senatore Andreotti che rivendica lo statuto epistemologico di tale propensione….

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