Direzione didattica di Pavone Canavese

(16.10.01)

 

La globalizzazione prima del 11/11/2001
Alcuni dati per riflettere
di Rodolfo Marchisio

 

Mentre la guerra, il terrorismo, la paura mediati dalle ITC occupano i nostri sensi e buona parte dei nostri cervelli, troviamo utile continuare a raccogliere dati e riflettere sul processo di globalizzazione quale si è andato configurando prima dell’11/11.

Sia perché:

  1. i concetti e i fenomeni storici, anche i più nuovi e sconvolgenti (o solo non previsti?) hanno una storia che in parte li spiega, sia perché
  2. la svolta drammatica di questi giorni è un rovesciamento di una logica e di una situazione che si era andata formando già prima.

Bin Laden e la sua guerra santa non sono altro che il rovesciamento (drammatico, delirante, delittuoso) della logica della globalizzazione, delle multinazionali, del neoimperialismo.
Invece di essere conquistati dalla globalizzazione delle multinazionali occidentali rischiamo di essere globalizzati dalla parte integralista e fanatica delle multinazionali (miliardarie) del terrore islamico.
Bella prospettiva. Ma cosa c’è dietro e perché tanti poveri del terzo mondo abbracciano questa guerra santa?
E’ solo un fenomeno culturale e religioso? Come ci siamo arrivati?

Quando e se avremo sconfitto il terrorismo, dovremo comunque ripartire di qui.

Sulla migrazione.

Fenomeno evidente e caldo del processo di g. è la migrazione del lavoro verso i paesi poveri e dei poveri verso i paesi ricchi in cerca di lavoro e di un sistema di vita più elevato.
Si parla di 120 milioni di migranti nel mondo.
Anche la migrazione ha una storia. Dalla tratta degli schiavi (15 milioni), alla migrazione di 30 milioni di lavoratori a contratto dall’Africa alle Americhe, dopo l’abolizione della schiavitù (qualcosa di simile alle proposte in discussione nel nostro parlamento). Alla urbanizzazione della rivoluzione industriale, alle ondate migratorie di fine 800 dall’Europa alle Americhe, a quella successiva alla seconda guerra mondiale verso il nord Europa o le aree più sviluppate (nord->sud, est->ovest, campagna->città). Si dice spesso che siamo (in Italia) un popolo di migranti diventato in fretta un paese di immigrazione, non solo grazie al bisogno di braccia, ma anche grazie al forte calo della popolazione dovuta alla contrazione delle nascite (la più forte in Europa) ed alle nuove necessità legate all’invecchiamento della popolazione (chi sta assistendo i nostri vecchi?).
Non solo una macroeconomia (multinazionali) che esportano lavoro, ma anche bisogno di lavoratori nell’assistenza, nei servizi (specie alla persona o nelle tecnologie), lavoro stagionale (80.000) e nella piccola e media industria. Vedi decreto sui flussi 2001che prevedeva 2000 infermieri, altrettanti tecnici informatici, 15.000, diventati poi 21.000 stagionali per il turismo e l’agricoltura. Chi raccoglie i nostri pomodori?.
In cambio dell’assistenza ai nostri anziani a casa e nei servizi pubblici (continuano a mancare 5.000 infermieri e moltissimi assistenti domiciliari e colf e li stiamo importando col contagocce coi vari decreti sui flussi dai paesi extracomunitari), e dei contributi versati da lavoratori extracomunitari per pagare le nostre pensioni, le ICT ci permetterebbero di contraccambiare con informazioni mediche e scientifiche e telemedicina per affrontare i gravissimi problemi dei paesi poveri. Con il problema però dei brevetti (e dei guadagni) e delle tecnologie che le multinazionali non vogliono mollare.

Il problema di quelli che Zoletto chiama gli e-migranti è quello del dentro - fuori, le frontiere, la società, la cultura, l'economia. Con proposte di tenerli dentro l'economia, perchè ne abbiamo bisogno e fuori da tutto il resto. Vedi la nuova legge in discussione, che prevede non solo permessi della durata del contratto di lavoro, ma anche "foresterie" intorno alla fabbriche per confinare i lavoratori e meno ricongiungimenti famigliari.
Non ci interessano persone, famiglie, ma braccia.

Rimandiamo anche a fronte delle deliranti e inapplicabili proposte della nuova legge sull’immigrazione, ad un manifesto della convivenza possibile, lanciato da un gruppo significativo di intellettuali e riportato in Telema 23 alla pag www.fub.it/telema

Sulla via del sottosviluppo.

Nel 1970 il 20% più ricco della popolazione possedeva 30 volte il reddito del 20% più povero.
Nel 77 i 3 uomini più ricchi del mondo possedevano un reddito 74 volte più grande del prodotto totale dei 48 paesi più poveri. Se il mercato è globale e mondiale occorrerebbe un governo o quanto meno regole planetarie per determinare:

Anche se solo ½ della popolazione mondiale ha sinora fatto una telefonata.

Chi possa costruire queste regole e questo governo è ciò per cui ci si stava confrontando.
Rappresentatività, democrazia, equità restano i problemi nodali.


Rete e sottoviluppo. La rete non è fonte di equità.

L’uso delle ICT sta aumentando velocemente anche nei paesi "in via di sviluppo" (+ 93% in una anno, di 15 volte nello sperduto Buthan), ma non si stanno creando le condizioni per quel modello di sviluppo basato sulle tecnologie auspicato da K. Annan all’ONU.
Anche perché i paesi poveri stanno entrando nella rete in ordine sparso e senza una strategia. Se la speranza era quella che i paesi in via di sviluppo, con le ICT entrassero direttamente nella New Economy, saltando la rivoluzione industriale, gli Africani stanno perdendo questa opportunità. Gli africani che hanno l’accesso alla rete sono solo lo 0,4% del mondo, per il 70% concentrati in Sudafrica.
D’altra parte tutta l’Africa orientale (250 milioni di abitanti) ha la metà dei collegamenti di Buenos Aires che ha 6 milioni di abitanti e l’intero continente ha meno linee telefoniche (14 milioni) di Manhattan; l’80% di queste linee concentrate in soli 6 paesi. Difficile credere che il continente, da solo, possa superare il cronico gap tecnologico.
D’altra parte anche negli USA la differenza di connessioni fra città e campagna è notevole.
Inoltre la rete non sta colmando, ma aumentando le diseguaglianze fra paesi sviluppati e non.
Col 20% di popolazione i nostri paesi hanno l’80% delle ricchezze e l’87% delle connessioni.
La stessa disparità si riscontra nella offerta. L’80% del traffico fra il miliardo e mezzo di pagine in rete (dati 1999) è concentrato su 15.000 siti quasi tutti ideati e prodotti nel primo mondo.
Qualcuno sostiene (Rodriguez, Wilson ) che oggi i poveri hanno più bisogno di penicillina che di Pentium.
Chi muore di fame, sete, malattie non riesce a entusiasmarsi alle parole di Negroponte e Gates (anche perché è analfabeta). Non mancano solo la corrente, le linee telefoniche e i soldi, ma anche la cultura e la educazione per partecipare attivamente all’era della informazione che rischia di creare in quei paesi più alienazione e infelicità che risorse.
Vedi l’articolo su Espresso sulle conseguenze delle ICT nei costumi sessuali dei paesi in via di sviluppo (n. 33/2001 pag. 80)
Dall’altro lato altri sostengono (Castell) che il Pentium sia l’ultima possibilità per i paesi poveri, che devono essere aiutati a sviluppare le tecnologie attraverso una sorta di Piano Marshall. Si pongono ancora i problemi della qualità della partecipazione: egualitaria? Ma cosa ci guadagnerebbero i paesi ricchi? Rispettosa della poliformità delle culture?
Ma cosa ci guadagnerebbero le poche multinazionali e quanti pensano sempre di portare la civiltà agli altri?

 

Aspetti linguistici.

Poiché il villaggio globale (come la rete su cui si regge) è fatto di persone e non di macchine o fili il problema diventa: quanta capacità (voglia, interesse) abbiano le persone di rappresentare idee, metafore, valori da condividere con altri.
Il vantaggio legato alle ICT è anche, dal punto di vista linguistico, che, usando canali percettivo- motori, saltano i problemi dei linguaggi simbolici- ricostruttivi, (anche se, al momento attuale è ancora più facile avere a disposizione un libro che un PC).
Windows 2000 è uguale per tutti e ci metterebbe in grado di dialogare meglio...
Si rifà comunque viva una situazione comunicativa-lavorativa da bottega, scomparsa con l'invenzione della stampa e insita nel modo di lavorare connettivo, collaborativo delle ICT; si sta globalizzando anche la parola, nel senso di una nuova koinè. Una specie di inglese per il momento (cultura dominante e lingua usata dal 51% in rete), presto un linguaggio più moderno e universale. Il linguaggio comune crea comunque intelligenza collettiva, pensiero, cultura.
I pensatori più critici, come De Kerkcove, sostengono che, se abbiamo studiato la storia non possiamo cadere in nuove forme di dittature delle coscienze, in una coscienza collettiva (cervello globale), mentre dovremmo puntare a coscienze connettive, consapevoli.
L'arte col suo linguaggio metaforico universale può essere, per lui, un ponte fra ICT e psicologia e può salvare la nostra identità, scongiurare il cervello globale e la collettivizzazione delle coscienze.

 

Aspetti psicologici.

Un altro rischio è che il concetto di individuo possa lasciare nella rete delle ICT in cui sono interconnessi gli uomini, il posto a quello di interfaccia.
Dal punto di vista psicologico si è insieme, più vicini e più lontani (Carotenuto), perchè la g. è un modus vivendi che influenza la nostra vita, le nostre abitudini, il modo di percepirci come individui e come membri di una comunità.
Il mondo è più piccolo (più vicino) ma non unificato e da questo deriva la paura (che si fa avversione, senso di minaccia e quindi lotta) verso il diverso.
L'omologazione dio - mercato porta o a questo o alla competizione spietata.
Il rischio è quello, già citato, di perdere la propria identità personale.
La strada della accettazione, del pluralismo culturale presuppone una sorta di socializzazione al plurale.
Più che in un villaggio globale viviamo in villaggio virtuale, molto appiattito sul modello USA e che solo i più colti possono percepire ed i più potenti indirizzare. Si modificano, in questo contesto, i concetti di spazio, tempo, rischio, responsabilità che sinora ci hanno aiutato a crescere e ad essere responsabili verso gli altri.
A proposito di responsabilità, ritorna di attualità la storiella del mandarino cinese che potremmo uccidere solo col pensiero, senza vederlo e senza portarne la responsabilità.

 

Quanto africani muoiono per una decisione sfavorevole dei G 8?
Quanti occidentali possono morire per una mail o una videocassetta dei terroristi miliardari?

Sinora la persona ha definito la sua personalità in base alle sue esperienze, fra cui hanno molta importanza la rete di esperienze e relazioni con ciò che intorno a noi ci è più vicino. Oggi però "vicino" è un concetto molto diverso e le esperienze e le relazioni che possiamo sperimentare saltano lo spazio ed il tempo, il concetto di locale.
Per alcuni la frammentazione è maggiore della globalizzazione, il nostro io, non più unitario da tempo, rischia di diventare frammentario o in crisi (uno, centomila, ma anche nessuno, ).
La regionalizzazione può corrispondere allora ad una reazione di difesa dovuta all'istinto di conservazione della identità. Possiamo essere vicini tanto da poter comunicare sensazioni ed emozioni, senza fisicità e compresenza fisica. Possiamo essere lontani perché si rompono gli schemi di identificazione. Andiamo verso un io "funzionale", ma rischiamo di smarrire la progettualità personale.
Un individuo ha bisogno di vivere nel passato (le sue radici), nel presente (la sua quotidianità) e nel futuro (la sua progettualità), ha bisogno di famigliari, amici, persone da amare fisicamente e mentalmente.
Sulle prospettive i preoccupati (come Carotenuto) e i positivi (come Turkle) divergono sostanzialmente.

 

Conclusioni provvisorie.

Torneremo per cercare di tirare alcune conclusioni aggiornate.
Per ora limitiamoci a constatare che qualcuno (la multinazionale miliardaria del terrore islamico) ha studiato molto bene i meccanismi della globalizzazione ed il ruolo delle ITC e le sta usando, contro di noi, per la sua guerra "santa". Non più "libro e moschetto", ma ITC, Corano e terrore.

 

Bibliografia.

1- L’approfondimento dei dati su rete e sottosviluppo in http://www.fub.it/telema/TELEMA21/Greco21.html

2- Il tema della globalizzazione è stato trattato in Telema www.fub.it/telema 20, ma anche 21/22 e 23.
Sul n. 26 una serie di pareri sul terrorismo.

3- L’appello degli intellettuali per una convivenza possibile in Telema 23. 

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