La storia di ViboValentia

Ubicata al centro della Calabria, a poca distanza dal mare, Vibo Valentia è situata su una verde collina, che si innalza dalla pianura di S. Eufemia e si allarga verso Sud-Ovest nel vasto e fertile altopiano del Poro, degradando a Sud nella piana di Gioia Tauro e ad Est nella suggestiva vallata del Mesima, un piccolo fiume che la unisce alle montagne delle Serre. Ai piedi di essa, sul mare, c'è Vibo Marina, dotata di un porto turistico-commerciale e di spiagge. Questa felice posizione ha reso la città un centro importante sotto tutti gli aspetti fin dai tempi più remoti. La sua storia è trimillenaria: è stata città greca con il nome di Hipponion, municipio romano con il nome di Vibo Valentia, poi città bizantina. Distrutta nel 983 d.C. dai Saraceni fu ricostruita dall'imperatore Federico II di Svevia con il nome Monteleone, che conservò fino al 1928, per riprendere poi, definitivamente, il nome datole dai Romani.

Hipponion

L'origine della città di Vibo Valentia si perde nel buio dei millenni come quella di ogni città le cui origini sono antichissime. Mentre nulla si sa, nell'area che interessa la città, di ritrovamenti risalenti al paleolitico, ben diversa è la situazione per l'età neolitica. Nella zona di Trappeto Vecchio ed in località Telegrafo, l'odierno Parco delle Rimembranze, sono stati rinvenuti, infatti, resti di antiche "stazioni litiche" che confermano le tradizioni e le affermazioni di antichi scrittori. Per quanto riguarda l'età del bronzo, importante è il rinvenimento, durante gli scavi per la costruzione della sede dell'attuale A.S.L., di una tomba con due corredi distinti: il primo, greco, risalente agli inizi del VI sec. a. C., il secondo, rappresentato da una spada e da un coltello spezzato, databile al XIII - XII sec. a. C.. Quest'ultimo rinvenimento è molto importante sia perché costituisce la prova dell'esistenza di un abitato in tale periodo, sia perché dimostra un legame tra l'abitato locale e civiltà dell'Europa centrale. In località Scrimbia infine sono stati ancora ritrovati resti risalenti alla prima età del ferro. Alla fine del VI sec. a. C. i Locresi fondarono la città greca. Queste sono le notizie più antiche relative alla città di Vibo Valentia, ma accanto ad esse non si devono dimenticare le meno certe, ma non per questo meno affascinanti, leggende legate alle sue origini. I Greci hanno attribuito alla città di Vibo Valentia un fondatore mitologico, Ippone, un eroe focese che, dopo la caduta di Troia, sarebbe approdato su questi litorali e avrebbe fondato la città, alla quale diede il suo nome. Il porto di Hipponion invece lo avrebbe costruito Ercole. Quando tra l' VIII e il VI sec. a. C. le prime colonie greche, Reggio, Sibari, Crotone e Locri, si furono assestate, cominciarono a fondare delle sub colonie. Nel VI sec. a. C. i Locresi, ostacolati nei loro traffici marittimi da Reggio, che era padrona dello Stretto, decisero di crearsi degli sbocchi sulle coste tirreniche. Superato l'Appennino, occuparono Medma e si impadronirono del territorio dell'agglomerato umano già esistente che colonizzarono, trasformando l'antico nome di VIEP in Eipo e, quindi, in EIPONEION (Hipponion). Ciò è confermato da tutte le fonti storiche e dai ritrovamenti archeologici. Tra il VI e il V sec. a.C. la città costituì una solida fortezza della potenza dorica in Italia, e la sua storia si fuse con quella di Locri, che era giunta al massimo splendore. Risale a quell'epoca la costruzione o l'ampliamento delle poderose mura, che la recintavano.

Vibo Valentia

Strabone dice che i Romani sottrassero Hipponion ai Bruzi intorno al 275 a.C. Nel 194 a. C. in Hipponion venne fondata una colonia di diritto latino col nome di Valentia unito a quello di Veip latinizzato in Vibo. La colonia era formata da 3.700 fanti e da 300 cavalieri. A ciascun fante vennero assegnati circa 15 iugeri di terreno (circa 12.500 mq.), mentre ai cavalieri ne toccò il doppio. Successivamente, intorno al 90 -89 a.C., dopo la fine della guerra sociale, tutte le colonie divennero municipi romani, per effetto della "Lex Plautia Papiria ". Come conseguenza di detta legge la colonia Valentia, che aveva l'obbligo di sorvegliare la costa, divenne municipio romano, col doppio nome di Vibo Valentia. Gli scavi archeologici documentano come durante l'età imperiale la città sia andata acquistando sempre maggiore importanza e ricchezza. Sono venuti alla luce numerosi resti di ville patrizie che indicano senza ombra di dubbio che Valentia era diventato il centro vitale ed attivo di un importante e prospero circondario. Il suo porto, dal quale partivano i prodotti locali e nel quale arrivavano i prodotti di importazione, era l'unico scalo tra Napoli e la Sicilia.

Vibona

Con il declinare dell'Impero e l'avvento del Cristianesimo comincia anche la decadenza della città il cui nome romano, Valentia, scompare per lasciare il posto a Vibona la cui storia possiamo conoscere dalle poche notizie tramandateci dagli atti cristiani dei Pontefici e dai Concili. Nel 451, per la prima volta negli atti della Chiesa, si ha notizia dell'esistenza di un vescovato a Vibona. Nel V secolo e nella prima metà del VI, Vibona subì diverse incursioni di barbari. I primi a devastarne il territorio furono i Goti di Alarico durante la discesa del 410 verso Reggio e poi al ritorno verso Cosenza dove Alarico morì; seguirono, sul finire del secolo, gli Ostrogoti, comandati da Alarico, i Vandali di Genserico e, infine i Longobardi di Autari. Conquistata nel 536 da Belisario, fu, da allora in poi, sotto il dominio bizantino, salvo forse qualche breve parentesi. Venne in seguito più volte aggredita e saccheggiata dai Saraceni: una prima volta nell'850, poi ancora nel 915 finché nel 983 venne definitivamente distrutta. Dovranno passare oltre due secoli prima della sua rinascita, ma ciò avverrà con un nome nuovo: Monteleone.

Monteleone sotto il dominio normanno-svevo

Nel 1056 Roberto il Guiscardo inizia la sua avventura in Calabria e conquista Martirano, Maida e Nicastro. Nel 1060 Reggio e il resto della Calabria si arrendono a Roberto e a suo fratello Ruggero. Per abbellire Mileto, Ruggero sottrae a Vibona, ormai rasa al suolo e spopolata dai Saraceni, insigni monumenti marmorei, fasti della sua grandezza e del suo splendore passato. La tradizione narra che la Chiesa della Santissima Trinità e il Duomo di Mileto siano stati edificati da Ruggero con i resti del Tempio di Proserpina. Nel 1130 Ruggero II trasferì la capitale da Mileto a Palermo e la Calabria venne divisa in due Giustizierati, uno dei quali era Terragiordania, con capoluogo Catanzaro. In questo contesto storico l'antica Vibo Valentia riprende qualche segno di vita. Analogamente a quanto aveva già fatto altrove in Calabria, Ruggero, colpito dall'importanza strategica dell'altura vibonese, decise di costruire una fortificazione. Esauritasi la dinastia normanna, subentrò quella sveva che diede un decisivo impulso alla rinascita della antica Vibo Valentia. Federico II, lo "stupor mundi", diede incarico a Marco Faba o Marcofava di costruire , o aggiungere, nuovi bastioni e di favorire lo sviluppo del borgo concedendo, a chi li si trasferiva, immunità e privilegi. Nel Regesto di Federico II del 16 dicembre 1239 compare il nuovo nome di quella che oramai è a tutti gli effetti una cittadina: < Monsleo>. Esso deriverebbe secondo alcuni dal suo aspetto simile ad un leone poggiato su un monte, secondo altri dall'insegna dei Normanni, secondo altri ancora gli sarebbe stato dato dallo stesso Marco Faba. La città andò sempre più ingrandendosi e popolandosi, anche per la presenza degli ebrei che importarono diverse produzioni e favorirono il commercio, tanto che nel 1276 contava già ben 5.000 abitanti.

La città sotto gli Angioini e gli Aragonesi

Durante la dominazione angioina la città si ingrandì nel territorio e negli abitanti che diventarono 6767 di cui156 ebrei. Si continuò a parlare di due borghi distinti, come è facile constatare da due pergamene della biblioteca Capialbi, nelle quali si fa espresso riferimento a Borgonovo e Terravecchia che appaiono ancora non contigui. Venne costruito da Carlo II nel 1304 il castello di Bivona a difesa del porto, rimesso in attività dopo che, nei secoli precedenti, era stato interrato per evitare le incursioni dei Saraceni. Una grave epidemia di peste, scoppiata nel 1328, aggravò notevolmente in Monteleone una crisi economica che già si era cominciata ad avvertire. I successivi eventi storici, dominati da una lunga ed estenuante guerra tra Aragonesi e Angioini, non fece che peggiorare le cose se la città, alla metà del secolo successivo, poteva contare soltanto 2.500 residenti. La crisi del trecento era costata a Monteleone la perdita di oltre 4.000 abitanti. Con la conquista definitiva della Calabria da parte Aragonese, Monteleone subì le conseguenze del dissesto economico degli Aragonesi. La perdita della libertà non significò però per Monteleone decadenza civile. Anzi le attività economiche e culturali ebbero un apprezzabile risveglio. La presenza ebrea, favorita dagli Aragonesi, divenne massiccia e, con essa, si svilupparono attività artigianali e commerciali di notevole importanza. Culturalmente questo periodo fu caratterizzato dall'arrivo in Monteleone di alcuni ordini religiosi, come gli Agostiniani, e dalla creazione di una scuola da parte dei Benedettini.

Monteleone sotto i duchi Pignatelli

Tra gli ultimi anni del 1400 e l'inizio del 1500 si consumò il dramma dell'Italia meridionale in generale e della Calabria e di Monteleone in particolare. Furono anni, quelli che intercorrono tra il 1496 e il 1506, dominati da una guerra continua, che sconvolse l'assetto territoriale del Sud, e da un susseguirsi di re, di origine diversa, ma tutti accomunati da un bisogno disperato di denaro che cercarono di reperire sia con tassazioni esasperate, che ridussero in miseria le popolazioni del Sud, sia con la vendita di tutto ciò che potettero vendere di proprio e d'altrui. In una tale situazione, Monteleone, che già precedentemente aveva perso il proprio carattere demaniale, che a stento aveva poi riconquistato, perse definitivamente la sua libertà subendo una infeudazione che durerà fino al 1806. Le vicende che portarono la città ad essere feudo della famiglia Pignatelli non sono accertabili con sicurezza. Comunque siano andate le cose è certo che Ettore Pignatelli prese possesso della città e che molte famiglie di Monteleone preferirono allontanarsi da essa e rifugiarsi nella libera città di Tropea piuttosto che sottomettersi al potere feudale.

Monteleone durante il vicereame spagnolo

Il lungo periodo del cosiddetto vicereame spagnolo sull'Italia Meridionale inizia quando Filippo il Cattolico, dopo aver sconfitto i francesi, nel 1506 ritorna in Spagna e lascia al suo posto per amministrare queste terre un Viceré. Quello che era stato un grande regno rimarrà, fino al 1734, una semplice propaggine del regno spagnolo. Per Monteleone questo lungo periodo coinciderà con la soggezione feudale ai Pignatelli che prima ne saranno signori col titolo di Conte e, successivamente con Carlo V, con quello di Duca. Se la lunga signoria dei Pignatelli significò per Monteleone la perdita di alcune libertà, è però altrettanto vero che essi diedero un notevole impulso alla città sia culturalmente che economicamente. Monteleone andò allargandosi sempre più fino ad occupare l'intera collina, dal Castello fino agli estremi declivi. Vennero costruiti grandiosi edifici pubblici, principalmente conventi e chiese, che divennero il centro di molteplici attività culturali tali da rendere la città uno dei centri più importanti dell'intera Calabria. Della vivacità della vita culturale della città è prova l'esistenza a Monteleone di alcune tipografie già dal 1635. Il XVI fu per Monteleone un secolo molto positivo sotto il profilo economico. Alle tradizionali culture agricole dell'olivo, del grano e del vino che continuarono seppure in misura ridotta, si aggiunsero quelle del cotone e del cannamele, che diedero origine, assieme alla coltivazione del gelso, ad attività artigianali da esse derivate. Nella marina, e specialmente nella zona di Bivona e Briatico, si diffuse la coltivazione della canna da zucchero e di ciò sono testimonianza diversi atti notarili della metà del '500 in cui si fa espresso riferimento a stabilimenti per la produzione di zucchero. L'attività artigianale che maggiormente si sviluppò a Monteleone fu quella della seta tanto che era proprio da questa città, ad agosto di ogni anno, prima della fiera di S. Domenico, dopo una solenne cerimonia, che dalla Chiesa dello Spirito Santo partivano i corrieri che avevano il compito di comunicare il prezzo della seta stabilito dal Duca o dal suo vice.

Monteleone dal1734 al1799

La fine del vicereame spagnolo che aveva comportato tante vessazioni, soprusi e povertà per il Sud d 'Italia, segnò l'inizio di una ripresa economica e sociale che, purtroppo, non risultò compiuta per le diverse epidemie e terremoti che colpirono la Calabria nel '700. Carlo III, salito nel 1734 al trono di Napoli, volle immediatamente rendersi conto di persona delle condizioni dei suoi sudditi e delle sue terre. Il 15 febbraio dello stesso anno giungeva a Monteleone, tra le entusiastiche acclamazioni della popolazione, gli spari dei mortaretti e il suono a distesa delle campane. In questa città ricevette l'omaggio del Senato e della nobiltà di Messina venuto ad ossequiarlo, e poi quello della delegazione di Tropea. Nel 1759, quando Carlo III succedette al trono di Spagna, divenne re di Napoli Ferdinando IV, suo figlio terzogenito, il quale proseguì nelle riforme avviate dal padre. L'arrivo in Italia di Napoleone e la creazione della Repubblica Cisalpina, fece divampare anche nel meridione la rivolta. Il 23 gennaio 1799 venne proclamata a Napoli la Repubblica Partenopea e Monteleone, come quasi tutte le città calabresi, vi aderì, innalzando in piazza Maio, oggi piazza E. Buccarelli, l'albero della libertà. Questa ventata rivoluzionaria durò però poco: il 1 marzo dello stesso anno il Cardinale Ruffo entrava in Monteleone, abbatteva l'albero della libertà ed al suo posto innalzava il simbolo della "Santa Fede".

Monteleone sotto i francesi (1806 - 1815)

Napoleone, dopo la vittoria di Austerlitz, dichiarò decaduto Ferdinando IV e mise sul trono di Napoli il fratello Giuseppe. Nel febbraio del 1805 i francesi iniziarono la guerra per la conquista del Regno. Dopo alterne vicende il 7 settembre di quell'anno, dopo una breve occupazione delle truppe inglesi, i generali Reynier e Massena entrarono da vincitori in Monteleone accolti trionfalmente dai cittadini in festa. Ebbe così inizio il periodo della dominazione napoleonica dal marzo 1806 al giugno 1808 sotto il Re Giuseppe Bonaparte, dal luglio del 1808 all'ottobre 1815 sotto il Re Giocchino Murat. Con quest'ultimo la Calabria venne divisa in due province: Calabria Citeriore con capitale Cosenza, Calabria Ulteriore con capitale Monteleone. Il controllo di Monteleone e del suo territorio da parte francese non fu agevole fino al 28 maggio 1807 quando il generale Reynier non riuscì a sconfiggere a Mileto le truppe borboniche affiancate da numerosi briganti. Questo delle bande brigantesche, fu un fenomeno che però continuò a tormentare la zona a lungo. Aizzati e riforniti dai borbonici e dagli inglesi, numerosi banditi scorrazzavano nei territori intorno a Monteleone, distinguendosi per atrocità e violenze. Per domare il brigantaggio, politico e delinquenziale, il Murat inviò a Monteleone il generale Manhés che, giuntovi il 9 ottobre del 1810, iniziò una spietata repressione resasi necessaria per gli enormi danni provocati dai banditi.

Monteleone dalla Restaurazione all'Unità

Con il ritorno di Ferdinando IV che assunse il titolo di Ferdinando I Re Delle Due Sicilie, inizia la Resturazione che per Monteleone significò la perdita di tutti quei privilegi di cui aveva goduto al tempo dei francesi. La sua decadenza, non solo politica, ma anche economica e sociale, durò fino al 1860 e oltre. Da ventimila i suoi abitanti si ridussero a meno di diecimila, le attività economiche languirono. Ciò spiega come proprio in questa città si manifestò presto un movimento di opposizione ai Borboni, che sfociò nella creazione di due vendite carbonare che presero il nome di Valle del Mesima e Valle d'Angitola.

L'arrivo di Garibaldi a Monteleone

Il periodo borbonico della città si chiude con l'entrata di Garibaldi in Monteleone, avvenuta il 27 agosto del 1860. Il racconto di questo importante evento è contenuto in una cronaca dell'avv. Domenico Mantella, testimone oculare dell'avvenimento. Dice il Mantella: " ... La nostra città era in un terribile orgasmo; l'irritazione nella truppa era giunta al colmo; sparita la disciplina e gli ordini dei superiori sprezzati; i soldati ad ogni costo volevano finirla col sacco e fuoco; ......... entra in città dalla via della fontana grande un manipolo di soldati borbonici, trascinandosi un nostro concittadino, l'armiere Leoluca Antonio Tavella, gravemente ferito ed intriso di sangue. I militi dicevano di aver ucciso un soldato dei loro (menzogna! Essi volevano far vendetta). Era giorno di mercato che ha luogo nel largo di S. Maria la Nuova dove prospetta il quartiere ed un contadino correndo verso l'entrata, accrebbe il tumulto chiamò all'arme col grido: " Viva Francesco II, fuori i cannoni". Per converso nella via Forgiari allo ingresso della città, un altro contadino levò la voce annunziando che arrivava Garibaldi. Quel che avvenne allora è indescrivibile: i soldati borbonici fuggirono a gambe levate ....... ed i cittadini credendo che la truppa si era data a saccheggio, sbarravano le porte per lo spavento. ..... ma quella ridda d'inferno fu sedata ed il paese fu salvo mercè il patriottismo del Marchese Enrico Gagliardi. Nella notte del 26 agosto la colonna del gen. Ghio, decimata dai disertori, abbandonata la piazza, si accampò fuori paese in vicinanza del cimitero e la mattina del 27 partì. .................. Abbandonata la piazza, Garibaldi, senza resistenza e scortato da poche guide, nelle ore pomeridiane dello stesso giorno 27, entrò in carrozza nella Città assieme al gen. Medici ed al Marchese Enrico Gagliardi che andò ad incontrarlo a Mileto. ............... Garibaldi alloggiò nel palazzo del Marchese Gagliardi che prospetta a ponente ed alle incessanti acclamazioni si affacciò al balcone che guarda via Indipendenza. ............. Poco dopo uscì a cavallo e corse ove era sito il telegrafo per osservare con suo cannocchiale il campo di Angitola dove si combatteva contro i regi comandati dal gen. Ghio." Il giorno dopo Garibaldì partì da Monteleone e, al comando della piazza, rimase il maggiore ungherese Freigesy.

Da Monteleone a Vibo Valentia

Il plebiscito indetto per il 21 ottobre 1860, per quanto riguarda Monteleone diede un risultato di unanimità: tutti i 1946 votanti furono per il "Sì". Ma, come altrove del resto, qualche broglio ci dovette pur essere, se il giorno prima delle votazioni erano stati arrestati alcuni individui colti a gridare "abbasso Garibaldi e Vittorio Emanuele", "viva i Borboni". Negli ultimi decenni dell'Ottocento videro la luce a Monteleone molti fogli periodici sui quali le migliori penne della città diedero risonanza ai problemi cittadini e locali, si fecero interpreti delle esigenze, degli interessi e delle opinioni delle diverse componenti sociali. Su tutti primeggia "L'Avvenire Vibonese", diretto per lunghi anni da Eugenio Scalfari, difensore strenuo ed appassionato degli interessi locali a proposito del tracciato della ferrovia tirrenica e del porto di S. Venere. All'indomani della Prima Guerra Mondiale, a cui Monteleone aveva contribuito col sacrificio di circa duecento vite umane, la vita amministrativa della città riprese il solito ritmo caratterizzato da una asfittica attività dovuta per lo più alle scarse entrate che consentivano, naturalmente, ridotte spese. La tranquillità della vita politica cittadina finì con gli scontri che in tutta Italia caratterizzarono gli anni immediatamente precedenti l'avvento del Fascismo. I primi scontri in città si ebbero il 19 e 20 aprile del 1921 e si conclusero con l'assalto alla locale sezione socialista. Il 9 novembre 1922 il sindaco Froggio salutava l'avvento al potere di Benito Mussolini in una città che, a dire il vero, non si era distinta molto per zelo fascista. Il 19 gennaio 1928, come molte altre città dell'Italia meridionale, riassunse l'antico nome latino di Vibo Valentia, in omaggio alla politica fascista di romanizzazione dell'Italia.