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(23.04.2013)
Scuola 1.0
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di Marco Guastavigna 

L’immaginario pseudo-pedagogico non finisce di stupire per la sua ingenuità.

Da qualche tempo, tra gli addetti al marketing concettuale a cui è stato ridotto il dibattito sulle pratiche didattiche con gli strumenti digitali hanno guadagnato spazio i visionari degli arredi scolastici. Andiamo dalla sperimentazione dei pc a basso costo incorporati nei banchi all’idea della scuola senza zaino.

Non entriamo nel merito delle singole ipotesi di lavoro, tutte intrise di ingiustificato ottimismo neopositivista e neodeterminista e nobilmente poco interessate al problema delle risorse necessarie a renderle realizzabili nella scuola di tutti e non in nicchie esclusive; destinate comunque a non essere mai verificate secondo parametri ragionevoli, quali l’autentica efficacia nei percorsi di apprendimento. Vogliamo invece compiacerci del nostro sempre più radicato e nostalgico conservatorismo e ricordare che anche la scuola del passato ospitava e impiegava tecnologie della comunicazione e della mediazione culturale e didattica.

Non stiamo soltanto parlando degli altoparlanti delle radio interne, quelle che una inerte scuola di regime utilizzò in una triste mattinata del 1938 per una rapida convocazione degli studenti nelle aule magne, dove gli ispettori della razza lessero gli elenchi di coloro che norme discriminanti appena approvate escludevano dalla frequenza.

Stiamo parlando di lavagne di ardesia; gesso bianco e colorato (quest'ultimo raro); lavagne luminose (altrettanto rare); episcopi, proiettori di diapositive, televisori con VCR, (rarissimi e da prenotare con largo anticipo); quaderni rilegati e a fogli mobili; diari e agende; libri di testo; penne con il pennino e il calamaio, penne stilografiche, biro; matite, anche colorate; gomme; righe e squadre, meglio se di plastica; compassi; temperini; cattedre con il predellino (che negli anni Sessanta e Settanta fu fatto sparire, perché considerato simbolo di rapporti autoritari tra professori e studenti), banchi. Senza dimenticare la voce e la prossemica degli insegnanti e i registri.

Quella scuola elementare, per esempio, che i governi liberali affidarono allo Stato perché la gestione comunale non era in grado di garantire i medesimi standard (rubiamo una parola alla modernità) su tutto il territorio nazionale.

Quella scuola per cui il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione nell'adunanza del 6 febbraio 1861 giudicava "utile e provvida la pluralità dei libri di testo approvati per le scuole mezzane ed elementari qualunque siano i rami di insegnamento cui si riferiscono".

Quella scuola in cui la lavagna di ardesia permetteva una comunicazione sincrona uno-a-molti, sfruttando la quale gli insegnanti (assunti per pubblico concorso, in funzione di canoni culturali nazionali) realizzavano la condivisione delle parole chiave della loro esposizione e gli studenti (la cui frequenza era finalizzata all’acquisizione di titoli aventi valore legale) e gli studenti quella di esercitazioni e interrogazioni, in comunità di pratica trasparenti, se necessario riproducendo quanto fatto in classe sui propri quaderni cartacei, in modo da archiviarlo, obiettivo impossibile con le precedenti lavagnette personali.

Quella scuola in cui con i medesimi quaderni (o con appositi spazi sui libri) quegli stessi studenti potevano svolgere attività domestiche ad alta portabilità, perfettamente interoperabili con i lavori svolti nell’edificio scolastico vero e proprio.

Quella scuola in cui le foglie raccolte in cortile o le cartoline (spesso in bianco e nero) spedite ad amici e parenti, soprattutto durante l'estate, da coloro che trascorrevano le vacanze in località di villeggiatura, ma in qualche caso anche durante le vacanze di Natale, venivano proiettate ingrandite mediante il precursore della webcam e dello streaming, l'episcopio.

Quella scuola in cui fu abbandonato l'insegnamento della calligrafia a favore di quello della scrittura di testi, con la quale si conciliavano meglio strumenti che assumevano su di sé l'incombenza della gestione dell'inchiostro.

Quella scuola in cui i pesantissimi banchi doppi e fissi vennero progressivamente sostituiti da banchi singoli e mobili, parallelamente all'affermarsi di idee da qualcuno considerate ancora adesso eversive, quali il lavoro di gruppo tra pari, la ricerca, la discussione, la cooperazione educativa di matrice freinettiana.

Tutti questi strumenti - insomma - concretizzavano un’idea di scuola e di istruzione. E non viceversa.